Patto per il Lavoro a Livorno, il PCI: "Tutto cambia perché nulla cambi con il requiem della pace sociale"

Tutto cambia perché nulla cambi, questa e l’essenza profonda di un documento con cui le parti datoriali incatenano le parti sociali al sistema di divisione del lavoro e di rapporti di produzione attualmente in essere. Il documento infatti è la plastica rappresentazione ideologica delle classi dominati che si riverbera nella centralità del mercato e dell’iniziativa privata come unico fattore di sviluppo, di cui il lavoro ne è una variabile dipendente da piegare all’esigenze del profitto e di cui anche le istituzioni devono essere promotrici. Un colpo egemonico totalizzante a cui non si contrappone una cultura alternativa di classe delle parti sociali, anzi si assumono l’onere, andando oltre la concertazione e facendosi carico della pace sociale abdicando al proprio ruolo di rappresentati di interessi contrapposti, una caporetto ideologica che non lascia spazio ad un pensiero alternativo che possa contrastare il pensiero unico dominate espresso dalle classi datoriali. Su questo piano si misura la sconfitta culturale di un’intera classe dirigente che ci lascia in eredità solo macerie, sulle quali costruire da capo.

La legge 84/94 promulgata grazie a condizioni politiche sorte all’indomani della storica sconfitta del sistema socialista, da parte del sistema capitalista sorretto dalla logica liberista, logica incentrata sulla libera concorrenza e sulla centralità dell’impresa che attraverso le parole d’ordine di competitività, produttività e sviluppo ha disarticolato il mondo del lavoro. La legge include norme che sposano appieno l’ideologia liberista attraverso un numero minimo di prestatori di manodopera che operando in appalto e subappalto garantisce ai terminalisti un modello che invece di basarsi sull’ammodernamento dei mezzi di produzione ed una migliore qualità dei servizi offerti, crea una competizione al ribasso tariffario, l’intensificazione dei ritmi di lavoro, la riduzione dei diritti dei lavoratori e della loro sicurezza. Ed è proprio questo modello di lavoro a cui la classi datoriali non vogliono rinunciare che viene dichiarato come indispensabile e di cui tutti i firmatari si fanno garanti per il mantenimento della pace sociale, una locuzione che in questo contesto ha il sapore della resa e come contropartita ottiene la garanzia attraverso programmazioni di politiche pro attive di avere lavoro di qualità.

Ma quale qualità e possibile in un modello di lavoro che presenta le caratteristiche descritte e che è creato appositamente per competere a ribasso sul costo e la qualità del lavoro in cui la sicurezza diventa un cappio alla produzione e agl’interessi della libera impresa, per rendere tutto più digeribile si è coniato la parola sviluppo competitivo che sintetizza efficacemente l’ideologia neoliberista. Non ci addentriamo poi nel confutare questa qualità che permane nella sua indefinitezza, un insieme di ovvietà demagogiche e buone intenzioni di cui è lastricato l’inferno.

Tutta questa presa di coscienza da parte della comunità portuale scaturisce in fin dei conti dalla crisi che la pandemia ha prodotto, sottacendo la verità che è questo stesso modello di lavoro portuale che ciclicamente crea crisi ora all’uno o all’altro soggetto prestatore di manodopera, l’uno in competizione con l’altro che la pandemia a solo aggravato e reso evidente tale aspetto.

L’unica certezza sta nella visione di sviluppo del porto che viene descritta e sulle infrastrutture che vengono elencate come prioritarie, ci trovano concordi e necessitano, al di là delle passerelle e dei proclami, di una reale accelerazione perché il porto sia effettivamente il centro di un rilancio globale della costa, non solo dal punto di vista commerciale ma cosa sottaciuta in questo documento, anche dal punto di vista turistico e cantieristico. Ma un quesito vorremmo porre, a chi andranno i benefici di ingenti investimenti pubblici all’interno di questo modello di lavoro? Non vorremo assistere all’ennesima socializzazione dei debiti e privatizzazione dei profitti.

Come Partito Comunista Italiano siamo convinti che vi sia bisogno di reintrodurre una visione altra dei processi incorso che si contrapponga agli interessi della classe datoriale, alla narrazione dominante per cui la classe operaia e quella padronale devono unirsi in una lotta economica contro il competitore straniero, una cultura storicamente conosciuta come terza via e che ha prodotto risultati disastrosi per i lavoratori, siamo convinti che vi sia la necessita di operare, attraverso la contrattazione e la contrapposizione di classe, reali mutamenti nel quadro del modello di lavoro vigente che portino ed un effettivo mutamento del quadro normativo in favore degli interessi dei lavoratori, sviluppando e rafforzando quel modello embrionale di lavoro il quale è già latente nelle pieghe dell’ordinamento vigente, bisogna porre con caparbietà e pazienza le premesse per creare le condizioni di un riscatto morale e sociale dei lavoratori e per la loro emancipazione, per creare una comunità solidale, una collettività cosciente di se stessa e del proprio ruolo, insomma vi è bisogno di introdurre elementi di socialismo, vi è bisogno dei comunisti.

Partito Comunista Italiano

Segreteria Provinciale Federazione di Livorno

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