Musei, Confcommercio: "Bene la riapertura, ma serve altro"

“La riapertura dei musei anche in Toscana segna un piccolo ritorno alla normalità che fa bene al cuore, perché ci fa riappropriare del patrimonio storico-artistico intorno a cui abbiamo costruito la nostra identità. È quindi un’operazione importante dal punto di vista sociale e culturale. Ma fino a che non sarà estesa anche al fine settimana, non avrà alcun effetto sui consumi e non sposterà di una virgola le sorti di negozi, bar, ristoranti e di tutte quelle imprese che vivevano dei grandi flussi turistici, soprattutto internazionali, e che ne resteranno orfane almeno ancora per i prossimi due o tre anni”. Ne è convinto il direttore di Confcommercio Toscana Franco Marinoni, in considerazione delle forti limitazioni che la pandemia ha imposto alla mobilità.

“I musei per adesso sono aperti nei giorni feriali dal lunedì al venerdì e questo già taglia via una fetta importante di pubblico potenziale. La Toscana è gialla in questi giorni e i toscani possono muoversi in tutta la regione. Ma quanti potranno venire a Firenze di martedì, ad esempio, per visitare gli Uffizi? In più, non c’è turismo scolastico, non c’è turismo organizzato, manca del tutto il turismo internazionale e manca anche la maggior parte del turismo interno: chi riempirà i musei dal lunedì al venerdì, in queste condizioni? Il timore è che ci saranno più costi per lo Stato che benefici sull’indotto”.

Il centro storico di Firenze è ancora in fortissima sofferenza. “Ci sono imprese allo stremo, con un -95% nel fatturato. In pochi mesi hanno visto stravolgersi gli equilibri sui quali avevano fondato il proprio business e non per tutti sarà possibile riconvertirsi. È una rete di accoglienza che non accoglie più nessuno da ormai un anno, perché gli effetti economici della pandemia Firenze li sente da febbraio, quando hanno smesso di arrivare i cinesi che affollavano musei, negozi, alberghi e outlet…”. Oltre ai turisti, “mancano anche i dipendenti pubblici, molti ancora in smartworking, e gli studenti che affollavano ogni giorno la città. Condizioni che hanno reso più evidente l’emorragia di residenti, iniziata a dire il vero trenta anni fa ma accelerata in maniera drammatica negli ultimi dieci.

La situazione ha prodotto un contraccolpo disastroso sulle strutture ricettive (spazzando via il mondo dei b&b e affittacamere, tanti alberghi chiusi), sulle botteghe artigianali e sui negozi del centro di qualsiasi merceologia (dagli alimentari alla moda, visto che calzature e abbigliamento sono sempre stati acquisti importanti per i turisti); poi sui pubblici esercizi, dove si è sommata al divieto di apertura con consumo in loco dopo le 18 infine, sulla rete dei servizi, dal noleggio vetture a taxi, guide turistiche, ecc.

I numeri pre-pandemia fotografavano un centro storico fiorentino con oltre 1.700 attività commerciali di varia tipologia e più di 1.500 fra strutture ricettive, bar e ristoranti.  “Il Covid19 ha portato alla luce la fragilità di una economia che, evidentemente, per Firenze era troppo legata al turismo. Fino ad un anno fa parlavamo di problemi di overtourism, preoccupati della mancanza di sostenibilità di uno sviluppo turistico poco governato, che stava consumando la città, allontanando residenti, facendo scomparire tutta una economia: panini e souvenir quanti ne volete, ma provate a cercare un ferramenta in centro... Negli ultimi anni abbiamo più volte denunciato la scomparsa dei negozi tradizionali, in dodici anni quasi 300 in meno, mentre continuavano ad aprire locali e strutture ricettive. L’unica soluzione che ci resta è approfittare di questo momento per riprogrammare un turismo diverso e più sostenibile, aiutando le imprese a cambiare”.

Fonte: Ufficio stampa

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