100 anni del Partito Comunista d'Italia, il ricordo del Prc Valdelsa Fiorentina

Si compie una data storica: il primo centenario dalla nascita del Partito Comunista d’Italia.

Il 21 Gennaio del 1921, a Livorno, fu fondato il PCdI dalla corrente del Partito Socialista che meglio sapeva leggere la realtà. Non solo la situazione del momento, ma quella di tutto un periodo storico. Dopo decenni di sviluppo, in Italia e in Europa, il movimento dei lavoratori trovava finalmente la sua migliore maniera per esprimersi come partito.

Era finita la Grande Guerra, in tragedia, voluta da tutte le compagini politiche eccetto che dai Socialisti. Era passata anche una pandemia di influenza, e il movimento operaio si era trovato senza lavoro da un giorno all’altro. Così, passando dal Biennio Rosso, l’Italia si era ritrovata una classe, quella lavoratrice, decimata, stanca, ma che sicuramente non credeva più alle bugie delle classi dirigenti. Il neonato PCdI diede voce politica unitaria ai tanti gridi di giustizia ed equità, di pace e lavoro.

Fin dalla sua fondazione, il PCdI ha avuto tra le sue fila alcune delle migliori teste pensanti della Storia italiana, uno fra tutti Antonio Gramsci: il più grande pensatore italiano del ‘900, il più studiato all’estero.

E forse il meno studiato in Italia; il perché è fin troppo chiaro: Gramsci (e con lui il PCdI) sapeva leggere bene le problematiche sociali che affliggevano e ancora affliggono l’Italia. Per questo, la risposta delle classi dirigenti, dei padroni, del monarca e poi anche del vaticano fu quella di sponsorizzare, pagare e sostenere le violenze fasciste. Il capitale non trovò altra maniera, in quel momento storico, per fermare le richieste della classe lavoratrice italiana.

Siamo arrivati ai giorni nostri, a 100 anni dalla sua nascita, con le stesse idee aggiornate, ma gli stessi fondamenti. Chi lavora deve governare, non ci deve più essere sfruttamento dell’uomo sull’uomo.

Oggi la “forma partito”, nella politica italiana, ha assunto una veste diversa, caduta nel cretinismo parlamentare e vuota di programmi. Nonostante questa crisi dei sistemi politici classici, le comuniste e i comunisti sono sempre presenti in Italia, pronti oggi più che mai a cambiare in meglio la società.

Il PCdI, poi PCI nel secondo dopoguerra, ha assunto linee diverse, ha governato localmente mentre, a livello nazionale, la massa e la sua serietà hanno influito positivamente sulle scelte del centro e della destra che ha governato la prima repubblica. Dal suo scioglimento, l’Italia ha assistito ad ogni forma di involuzione sociale e politica: lo sviluppo dei partiti personali, della politica senza programma; la privatizzazione dei servizi, la precarizzazione del mondo del lavoro; la presenza italiana nelle missioni di guerra (chiamate ipocritamente “di pace”); l’inginocchiamento alla multinazionale vaticana chiamata chiesa cattolica; la deriva individualista, maschilista, violenta della nostra società, la distruzione del sistema scolastico e sanitario.

Tutti passaggi che ci portano alla situazione attuale, alla crisi lavorativa e sanitaria, all’insicurezza sociale diffusa che stiamo vivendo.

È per questo che ci preme sottolineare un punto importante: dal PCI sono discesi alcuni partiti attuali, altri hanno cambiato nome, ma dal PCI non derivano assolutamente le loro linee politiche.

In particolare, il pareggio di bilancio (chiamato Fiscal Compact) inserito nel 2011 nella Costituzione con voto parlamentare, rappresenta quanto di più lontano ci sia dai valori del Partito Comunista Italiano. Chi ha votato il pareggio di bilancio per i servizi pubblici necessari, quali la scuola e la sanità, non può definirsi erede del PCI. Le leggi che hanno distrutto negli ultimi 30 anni i diritti dei lavoratori non fanno parte, in nessun modo, di nessuna corrente erede del PCI. Non si tratta di una “evoluzione”, come qualcuno ha sostenuto, ma di un salto dalla parte opposta.

Le compagini politiche, cosiddette “democratiche”, che hanno votato il Fiscal Compact, hanno di fatto decretato il disastroso stato attuale del nostro sistema scolastico e della sanità. Persino nei nostri Consigli Comunali, nelle ultime legislature, certi partiti e certi sindaci hanno difeso quelle scelte: con queste azioni, loro non possono assolutamente definirsi eredi del PCI.

Alcuni di loro non hanno “dirazzato”, ma sono sempre stati della parte opposta; le loro scelte politiche attuali lo dimostrano.

Purtroppo con l’attuale pandemia siamo tutti in grado di capire cosa significhi non poter investire nella sanità pubblica, non avere uno Stato Sociale che possa sostenere i lavoratori, e chi ha perso il lavoro, nei momenti di più bisogno.

Pur con tutti i suoi limiti, il PCI, riformista e socialdemocratico più che comunista, ha rappresentato e rappresenta ancora uno spauracchio per certi partiti che nulla hanno a che vedere con la sinistra. Il PCI doveva sì evolversi, per tornare sui binari dei diritti del lavoro, dell’anti-imperialismo e dell’antifascismo non di facciata. La situazione attuale, reale, chiede forte la presenza delle comuniste e dei comunisti in Italia e nel mondo.

Noi infatti siamo qui a ricordare i primi 100 anni del PCI, a testa alta e pugno alzato.

Fonte: Circolo PRC “Dolores Ibarruri” Valdelsa Fiorentina

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