In occasione del secondo anniversario per la morte di Arafet Arfaoui (17 gennaio 2019), ACAD - Associazione Contro gli Abusi in Divisa si è ritrovata con Settembre Rosso, Csa Intifada e gli ultras della Maratona ad Empoli, di fronte al money transfer “Taj Mahal” dove è stato ucciso.
Arafet è morto nelle mani delle forze dell’ordine, come successo già tante, troppe altre volte. È morto con le manette ai polsi e i piedi legati. È morto nelle mani degli agenti, i quali hanno dichiarato che Arafet fosse
stato violento e non collaborativo, dicendo che per farsi consegnare i documenti ci sono voluti 20 minuti, ma questo fatto è smentito dalle telecamere presenti, in quanto dalle immagini è chiarito che dopo tre minuti avevano già il suo portafoglio.
Come è chiarito che era agitato, aveva paura, ma non era violento. È morto nelle mani di cinque agenti, due intervenuti subito, tre sopraggiunti successivamente sul posto, che si alternavano, in tre a turno, per contenere Arafet a terra, legato. È morto mentre cercava di spedire i soldi ai suoi cari lontani, accusato dal gestore del negozio di possedere 20 euro false, sosteneva di aver subito lui stesso una truffa, infatti Arafet è stato il primo ad invocare la chiamata delle forze dell’ordine per accertamenti al negozio.
È morto dopo una colluttazione che possiamo solo immaginare nel bagno del locale privo di telecamere, ma scritta sui 23 segni di ecchimosi ed escoriazioni rilevate sul corpo di Arafet. È morto dopo 15 minuti di contenimento in posizione prona con i poliziotti che continuavano a tenerlo a terra nonostante avesse smesso ormai di muoversi, parlare e lamentarsi. Arafet è morto tra lancinanti gemiti di sofferenza registrati durante la telefonata fatta al 118 in quei tragici momenti. È morto con un consistente edema polmonare, tale da rendere un polmone grande il doppio dell’altro. È morto tra paura, panico e patimenti. È morto con gli operatori del 118 che non sono intervenuti sul corpo per ben 5 minuti dopo il loro arrivo.
Nel referto autoptico disposto dalla procura si parlerà di arresto cardiaco verificatosi dopo un'intossicazione acuta da cocaina, assunta circa un’ora prima della morte. Una motivazione che scagiona così sia i poliziotti, visto che dalle indagini si è escluso l'uso eccessivo della forza da parte degli agenti intervenuti che invece avrebbero sempre mantenuto in comportamento corretto, sia i sanitari del 118 che nulla avrebbero potuto fare per salvarlo.
Ma nel referto di parte prodotto dai medici legali della moglie la verità è un'altra. Nonostante la richiesta di archiviazione, la moglie Azzurra, con il supporto di Acad, non si è mai arresa, presentando richiesta di opposizione tramite l'avvocato Giovanni Conticelli che ha seguito il caso fin dall'inizio. Il GIP di Firenze, ad un anno dalla morte di Arafet, ha ordinato di proseguire le indagini iscrivendo sul registro degli
indagati cinque poliziotti, un medico e un’infermiera che parteciparono al fermo di Arfaoui. Tutti per omicidio colposo (reato 589 c.p.).
Un supplemento di indagini che ha portato lo stesso GIP a nominare lo scorso settembre il dottor Sabino Pelosi di Modena come perito atto a supervisionare l'incidente probatorio per ricostruire le cause di morte di Arafet. Una nomina da noi, e dal legale della famiglia di Arafet, fortemente contestata visto il suo passato (fu consulente di parte dei carabinieri accusati della morte di Riccardo Magherini poi assolti in Cassazione) tanto da portare lo stesso Pelosi a rinunciare spontaneamente all'incarico ricevuto con il successivo conferimento del ruolo di perito alla dottoressa Emanuela Turillazzi di Pisa.
La prossima udienza è fissata per il 26 febbraio alle ore 11.00 presso il tribunale di Firenze. Mai molleremo questa lotta di verità. Per Arafet e perché non accada mai più.
Fonte: ACAD Onlus
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