Nell'Occidente latino medievale, almeno fino al 1280,non esistono casi di apprendistato o di insegnamento medico in ambito ospedaliero; gli ospedali, quindi, furono dotati molto lentamente di medici. «I dottori non forniscono nessun aiuto concreto soprattutto perché sono terrorizzati di visitare il malato», scrisse Guy de Chauliac, nel XIV secolo, ma questo concetto era ben radicato nella popolazione. Molti medici del tempo pensavano che la malattia fosse il risultato di un miasma venefico; per neutralizzarlo gettavano sul fuoco polveri aromatiche e accendevano candele. Tenevano spesso sul naso un’arancia secca ripiena d’erbe e spesso facevano sostare i loro pazienti nelle cloache, pensando che l’odore nauseabondo degli escrementi facesse fuggire il morbo. Ma non era il solo, secondo altri, ad esempio, un mezzo sicuro per evitare la peste consisteva nell'indossare «una cintura di pelle di leone, con una borchia d'oro puro, sulla quale fosse incisa l'effige dell'animale feroce…». Chi non poteva ricorrere alle cure di un medico, si rivolgeva alle 'donne d'erbe' che preparavano pozioni e infusi, oppure si chiamavano i guaritori ambulanti o ciarlatani (nome che deriva da ciarla, cioè chiacchiera e cerretano, ovvero Cerreto, località umbra da cui provenivano vari guaritori girovaghi). Detto questo non occorre altro per far capire a che punto si trovasse la medicina nel Medioevo. In numerose fonti agiografiche, da Gregorio di Torso fino al basso Medioevo, viene messa in evidenza l’inutilità della medicina. Non poche volte lo sforzo del medico per guarire la gente da malattie veniva preso come il tentativo audace e addirittura peccaminoso dell’uomo di volersi immischiare negli impenetrabili piani di Dio
Valerio Vallini
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