La didattica a distanza può nascondere insidie in tema di copyright e protezione dei dati personali per istituzioni e docenti che utilizzano alcune delle più comuni piattaforme in rete: alcune sono “clementi” e altre si comportano “poliziesche”. Sono alcune delle evidenze a cui conduce “Didattica a distanza nell’Università post-pandemia. Uno studio su copyright e protezione dei dati personali nei servizi online” (“Remote teaching in the post-pandemic university. A study of copyright and data protection terms of online services”) realizzato da otto ricercatori di università italiane e straniere, con la partecipazione di Giulia Priora e Giulia Schneider, assegniste di ricerca dell’Istituto Dirpolis (Diritto, Politica e Sviluppo) della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa.
Lo studio, presentato di recente in occasione di importanti convegni come quelli dell’Università di Cambridge su “Building the post-pandemic University” o dello European Intellectual Property Teachers’ Network, ha preso in esame nove delle piattaforme più utilizzate da scuole e università europee durante il lockdown, analizzandone termini e condizioni, politiche sulla privacy e linee guida della comunità. La conclusione delle ricercatrici e dei ricercatori è che “i servizi online selezionati lasciano istituzioni, insegnanti e studenti esposti a rischi legali, spesso di natura fondamentale”. In seguito alla diffusione di questo studio, gli amministratori di alcune piattaforme si sono rivolti alle autrici e agli autori per perfezionare termini e licenze di questi strumenti.
“Abbiamo sottolineato – commenta Giulia Priora - diversi punti critici emersi durante il lockdown e sui quali l’attenzione deve crescere. Il futuro si muove anche verso la didattica online e da remoto, per questo motivo è necessario fare scelte consapevoli perché la tecnologia vada in nostro favore”. Sotto il profilo della protezione dei dati personali, nello studio si rileva che “la maggior parte delle piattaforme utilizzate per l’apprendimento a distanza non fornisce informazioni sufficientemente chiare e trasparenti per quanto riguarda la finalità della raccolta ed utilizzo dei dati personali degli utenti. Studiando le clausole contrattuali relative al ‘consenso’ concesso da questi ultimi, emerge infatti quanto non sia sempre facile capire quali dati vengono trattati, per quali scopi e secondo quali basi giuridiche, sebbene la legislazione europea in merito si sia recentemente consolidata e modernizzata a grande tutela della privacy degli utenti digitali con l’adozione del regolamento europeo su privacy e dati”.
L’utilizzo da parte delle istituzioni, cioè scuole e università, deve quindi prevedere, secondo gli autori dello studio, “la piena consapevolezza dei rischi legali, anche di quelli connessi con la inevitabile perdita di controllo sui dati, quando decidono di fare affidamento in parte o completamente sui servizi di terzi”. Sul fronte del diritto d’autore, i giuristi hanno rilevato alcune notevoli criticità relative al controllo e all’uso dei contenuti e alla responsabilità dei docenti. “Per il controllo dei contenuti didattici elaborati dagli insegnanti e condivisi ora online con le studentesse e con gli studenti – spiega Giulia Priora – abbiamo notato che, seppure tutte le piattaforme analizzate riconoscano i diritti di esclusiva ai rispettivi autori dei contenuti, esse richiedono una licenza spesso spropositata per usarli a loro piacimento, potenzialmente annullandone, di fatto, gran parte della protezione”.
Un altro problema non trascurabile è relativo alla responsabilità sui contenuti caricati in caso di violazione del diritto d’autore e relativo impatto sul diritto fondamentale all’educazione. “Da quanto emerge dai nostri risultati preliminari, i docenti rispondono molto più di quanto si pensi delle possibili violazioni del diritto d’autore – rivela Giulia Priora - sui contenuti caricati per le loro lezioni. Ciò provoca un duplice effetto: da una parte i docenti rischiano di diventare i nuovi ‘vigili del copyright’ poiché grava su di loro il fardello della ‘legalità’ dei contenuti caricati anche dai loro studenti; dall’altra parte il loro diritto di usare contenuti protetti, ad esempio capitoli di libri, articoli di giornale, spezzoni di film, a fini didattici che le legislazioni nazionali europee prevedono, seppur regolato in maniera diversa, può essere profondamente limitato dalla paura di incorrere in sanzioni, rimozione dei file e, peggio ancora, sospensione dell’account. Ci siamo chiesti: come sono tutelati i docenti da questa protezione quasi ‘poliziesca’ da parte delle piattaforme, alla luce del fatto che il diritto d’autore non intende soffocare la libertà didattica e di apprendimento, bensì promuoverla?”.
Adesso, “per capire come la situazione evolverà e, di fatto, sta già evolvendo – aggiunge Giulia Priora – abbiamo intenzione di proseguire nel nostro sforzo di ricerca, supportati da colleghi e colleghe eccezionali di calibro internazionale, stiamo ideando uno studio empirico per vedere come le università europee si stanno orientando, quali consapevolezze hanno, cioè, nel firmare i contratti con le piattaforme”. “L’università post-pandemia infatti – conclude la ricercatrice – dovrà fare delle scelte responsabili relative a quali strumenti utilizzare per supportare l’erogazione dei propri corsi di laurea, garantendo al contempo il rispetto degli obblighi nei confronti dei propri studenti e la salvaguardia dei propri interessi e, non da meno, sfruttando una preziosa occasione per rendere la tecnologia veicolo di inclusività, qualità e avanguardia nella didattica universitaria”.
Lo studio è il frutto di una collaborazione delle due assegniste di ricerca dell’Istituto Dirpolis (Diritto, Politica, Sviluppo) della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa con colleghe e colleghi di altre università italiane e straniere: Rossana Ducato - Università di Aberdeen, Chiara Angiolini - Università degli Studi di Trento, Alexandra Giannopulou - Università di Amsterdam, Bernd Justin Jutte - University College di Dublino, Guido Noto La Diega - Università di Stirling, Leo Pascault - Sciences Po Paris.
Fonte: Scuola Superiore Sant’Anna
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