La tenuta di Suvignano è un po' il simbolo dei beni confiscati alle mafie e alla criminalità organizzata, che anche in Toscana sciacqua i propri denari e fa affari. “E' il bene più importante requisito nella nostra regione - ricorda l'assessore alla legalità Vittorio Bugli - e tra i più grandi in Italia”. Era il 2007 quando, con la condanna passata in giudicato, la confisca della tenuta divenne definitiva. Si è rischiato ad un certo momento, anni fa, che la proprietà fosse messa all'asta, con il rischio che potesse tornare alla mafia attraverso prestanomi. Poi, annunciata già da più di un anno, è arrivata nel 2019 l'assegnazione alla Regione, che la gestisce adesso attraverso Ente Terre, che già si occupa di altre proprietà demaniali o in gestione, fa sperimentazioni in campo agricolo e forestale e valorizza le risorse genetiche autoctone, bestiame compreso. Si tratta di un progetto unico nel panorama nazionale, che coinvolge anche i comuni su cui la proprietà si distende.
L'azienda, con la sua vocazione alla agro-diversità, può diventare un volano per l'economia locale. Ma chiaramente è anche un simbolo della lotta alle mafie.
La tenuta - 713 ettari di terreno al momento della confisca (685 nel comune di Monteroni e 18 in quello di Murlo), poi diventatati 640 a seguito della vendita di alcuni poderi da parte della stessa agenzia nazionale che gestisce i beni sequestrati dallo Stato per saldare debiti dell'azienda – conta una colonica di pregio, altre diciassette edifici e 21 mila metri quadri tra immobili e magazzini, una chiesetta di fianco all'edificio principale. Anche durante gli anni di gestione delll'Agenzia nazionale per i beni confiscati alla criminalità organizzata ha continuato a funzionare l'agriturismo. La via Francigena passa vicino. Tutt'attorno la pace delle colline senese, nel cuore prezioso della Toscana, con lo sguardo che nelle giornate terse buca l'orizzonte fino all'Appennino, campi di grano ed erba per il foraggio, qualche olivo. un centinaio di ettari di bosco, pecore sarde con il loro allegro scampanellare, maiali di cinta senese e, portati a suo tempo dalla Sicilia, anche alcuni cavalli ‘sanfratello' e ciuchi di Ragusa, i più amati dai bambini che visitano la fattoria scolastica.
La storia giudiziaria della tenuta inizia con il giudice Giovanni Falcone e proprio oggi l'assessore Bugli ha annunciato che a lui sarà intitolata la saletta delle conferenze. Fu Falcone nel 1983 a sequestrare l'azienda una prima volta all'imprenditore palermitano Vincenzo Piazza, sospettato di aver rapporti con Cosa Nostra. Il costruttore siciliano ne rientra successivamente in possesso. Tra il 1994 e il 1996 arriva il secondo sequestro, assieme ad un patrimonio di ben duemila miliardi di vecchie lire affidato alla gestione di un amministratore giudiziario. Poi, nel 2007 appunto, la condanna e la confisca definitiva.
Suvignano è il buco nero che non ti aspetteresti nella felice Toscana il volto di una mafia che non è più quella confinata solo in Sicilia, ma quella che fa affari nel mondo e che nella campagna senese aveva investito parte dei suoi guadagni illeciti. L’hanno fatto anche ‘ndrangheta ed altre associazioni criminali, acquistando alberghi ed appartamenti, negozi, a volte anche semplici edicole di giornali, bar oppure aziende più strutturate. Centinaia sono infatti i beni confiscati in tutta la regione.
"La Toscana non è terra di mafia – sottolinea l’assessore Bugli – ma il fatto che in Toscana faccia affari non va sottovalutato. Serve una reazione, culturale anzitutto. Per questo della mafia (e dalla lotta alla mafia) occorre parlare, ad alta voce”. La Regione lo fa rivolgendosi a studenti e società civile. Lo fa anche attraverso il rapporto annuale di cui, dal 2017, si occupa la Scuola Normale di Pisa. Un rapporto sulle mafie e la corruzione in Toscana.
Fonte: Regione Toscana - Ufficio stampa
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