Di vigne abbandonate e vini arcaici: il progetto dei Vignaioli Urbani (Mistici)

Probabilmente molti di voi ne ignorano l’esistenza, alcuni forse l’avranno notata di sfuggita percorrendo Via Livornese in direzione del centro, eppure ad Empoli, nel quartiere di Santa Maria, all’ombra del convento, circondata da strade, case e condomini c’è una vigna. Ed è lì da tanto, da più di quanto chiunque si ricordi. E’ stata messa a dimora dai frati del convento adiacente negli anni tra le due guerre mondiali, o almeno così si crede, purtroppo non sono disponibili documenti che ne attestino l’epoca d’impianto. Considerando comunque la conformazione e l’aspetto delle viti presenti è verosimile che molte di esse superino gli 80 anni d’età.

Sopravvissuta nel corso dei decenni a varie vicissitudini e a qualche gelata, la vigna dei frati ha visto la città crescerle attorno, venendo però progressivamente abbandonata, a seguito dello spopolamento del convento, e lasciata a sé stessa, fin quando, pochi anni fa, un gruppo di quattro amici appassionati di vino non ha deciso di strapparla a rovi ed erbacce, salvandola dall’incuria e rendendola nuovamente produttiva.

Quella che poteva sembrare una fantasia estemporanea, saltata fuori quasi per scherzo una sera a cena, si è trasformata velocemente in realtà. Ottenuta la concessione all’utilizzo della vigna dalla Curia di Firenze, proprietaria del terreno, e nominatosi in maniera molto appropriata alla situazione Vignaioli Urbani (Mistici), il gruppo composto da Sandro Alfaroli, proprietario di un noto bar/enoteca in centro, Roberto Giannetti, Simone Chiaramonti e Matteo Aquilini, ha preso in mano la gestione della vigna, con lo scopo di produrre un vino spumante con l’antico Metodo Ancestrale. Obiettivo tutt’altro che semplice, ma d’altra parte, se le follie vanno fatte allora vanno fatte fino in fondo!

Ridare forma e rendere nuovamente produttive viti così vecchie, mi racconta Roberto, enologo, mentre mi mostra la vigna, non è stata un’impresa facile, come non lo sono tutt’ora le varie operazioni di gestione di terreno e piante, soprattutto considerando che tutti e quattro i componenti del gruppo possono dedicarvisi solo nel tempo libero e che le lavorazioni, data la posizione e la conformazione del vigneto, non sono meccanizzabili e devono essere necessariamente eseguite a mano.

Nella vigna di circa un ettaro, com’è tipico dei vecchi impianti, si trovano viti di diverse varietà, sia bianche, come Trebbiano e Malvasia, che nere, come Sangiovese, Canaiolo e Colorino.

La prima vendemmia è del 2017; le rese sono basse a causa dell’età avanzata delle viti, ma l’uva, vinificata tutta assieme, ha del potenziale, ed inizia così la produzione del primo spumante Ancestrale.

A differenza della spumantizzazione col Metodo Classico, in cui vengono aggiunti zuccheri e lieviti ad un vino base già finito allo scopo di ottenere una seconda fermentazione, nella tipologia Ancestrale si arresta la prima fermentazione quando nel vino sono ancora presenti zuccheri e lieviti vitali. Il vino così ottenuto, con le proprie fecce e senza ulteriori aggiunte, è messo in bottiglia dove la fermentazione riprende, generalmente nella primavera successiva, e giunge a termine.

Quello dei Vignaioli Urbani (e Mistici) è un Ancestrale sui generis. Se la gestione della vigna è infatti complicata, quella della vinificazione, dati i mezzi a disposizione, non è da meno; ma dove manca la tecnologia si sopperisce con la tecnica e l’esperienza, grazie in particolar modo a Roberto e Simone che si occupano professionalmente di produzione vinicola da anni. Le uve vengono pigiate con un piccolo torchio manuale e il mosto è messo a fermentare in recipienti aperti. Dopo alcuni giorni, quando la concentrazione zuccherina residua è quella desiderata, il vino viene imbottigliato, e le bottiglie sistemate in un locale sotterraneo dove la fermentazione giunge a termine e ha luogo l’affinamento sulle fecce, fondamentale per la struttura e il profilo aromatico del vino. A dirlo così sembrerebbe tutto molto facile, ma non lo è, e le fasi successive sono ancora più delicate e complicate.

Nel mese di febbraio, quando le temperature sono più rigide, le bottiglie, capovolte per convogliare le fecce residue all’interno del collo, vengono sistemate per alcuni giorni all’esterno in modo che il freddo acceleri il processo di sedimentazione e, successivamente, sboccate a mano una ad una, con un’operazione (decisamente spettacolare da vedere) in cui la manualità e la velocità d’esecuzione del dégorgeur sono essenziali per la riuscita del procedimento. Ogni bottiglia è in fine colmata e ritappata. E’ così che si ottiene 29’, il vino arcaico dei Vignaioli Urbani (Mistici).

Se la dimensione del progetto è al momento “artigianale”, così come lo sono la disponibilità di mezzi e tecnologie, lo stesso non si può dire però del vino, almeno non nell’accezione sempliciotta e approssimativa che suggerisce il termine.

29’ è sì figlio di passione e follia, di tempo libero dedicato al lavoro in vigna, dell’arte di arrangiarsi, ma anche di tecnica, preparazione, competenza e di viti con un potenziale aromatico unico.

E’ un vino affascinante e ricco di personalità. Ha un carattere per alcuni versi irruento, come un puledro da domare, ma comunque affilato e pulito, profondo e dinamico, con una bollicina finissima e profumi che evolvono nel bicchiere, da note di humus e grafite a sentori di rosa selvatica, uva spina e ribes rosso, pepe nero, crosta di pane… colpisce e conquista sorso dopo sorso.

Originale anche la scelta del nome. Perché 29’? Perché una volta aperto basta meno di mezz’ora per finirlo. Provare per credere.

Matteo Corsini

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