Ieri il sindacato Filcams Cgil Firenze in una nota ha denunciato una situazione accaduta ad un lavoratore che, con un test sierologico positivo, non ha ricevuto il certificato medico che attestasse la sua malattia. Dall'associazione 'La Voce Del Curante' precisano che si tratta però di un problema normativo e burocratico. Ricordiamo che il test sierologico non è un test diagnostico, questo significa che il medico di famiglia, in assenza di un tampone positivo, non può certificare la malattia da Covid-19. Il nodo quindi sarebbe di natura burocratico e normativo. Per ovviare a questo problema ricordiamo inoltre che la Regione Toscana ha prescritto che il tampone sia fatto nelle 24 ore successive al test sierologico. Di seguito la nota dell'associazione, 'La Voce Del Curante'. Quest'ultimo è un gruppo di medici toscani nato durante l'emergenza Coronavirus come pagina facebook, con lo scopo di aiutarsi tra di loro nella gestione clinica, di fare corretta informazione per i pazienti e di dar voce ai medici di famiglia.
'La Voce Del Curante': "Non scarichino sui lavoratori le pecche della burocrazia!"
Leggiamo stamani con stupore una dichiarazione del sindacato Filcams Cgil Firenze, prontamente e piuttosto superficialmente amplificata da alcuni articoli di giornale. I medici di famiglia sarebbero colpevoli di aver rifiutato il certificato di malattia ad alcuni lavoratori, risultati positivi al test sierologico per il covid 19, causando, così accusa il sindacato, un danno economico ai pazienti, costretti a stare a casa in attesa del tampone senza la retribuzione dovuta per i giorni di malattia.
Facciamo un passo indietro e cerchiamo di spiegare con semplicità e chiarezza come stanno veramente le cose. Come sappiamo, i giorni di malattia dei lavoratori dipendenti vengono coperti economicamente dall'INPS. Il quale accetta come valide le certificazioni, appunto, di malattia, che sia acuta o cronica riacutizzata. Il paziente asintomatico positivo al test sierologico non è malato, o meglio, non possiamo saperlo per certo fino all'esito del tampone. Il medico di famiglia, quindi, potrà consigliare in via prudenziale al suo assistito di assentarsi dal lavoro in attesa del risultato, ma non potrà certamente scrivere che è malato. Può anche al limite inviare una certificazione attestante la condizione del paziente all'INPS, ma quest'ultimo ne contesterà sicuramente la validità in merito al pagamento della malattia. Così stanno le cose. Una situazione forse assurda e sicuramente ingiusta per chi lavora, ma della quale certamente non ha colpa il povero medico. Il quale peraltro, smessi i panni un pò buffi e ipocritamente cuciti dell'eroe salvatore, vediamo con piacere che è già tornato al suo ruolo mediatico di sempre. Il comodo capro espiatorio di qualunque problema, che sia burocratico, economico, politico, sociale, la calamita infallibile di tutti gli scontenti e di tutte le proteste o rivendicazioni. Anche il rispetto per i nostri morti sul campo si è già spento. Ci spieghino i medici, ci chiariscano! Si tuona nell'articolo. Ma i colleghi che hanno dovuto rifiutare il certificato ai lavoratori, siamo convinti, avranno ben spiegato ai loro pazienti il motivo del diniego. Non crediamo che abbiano voluto provare l'ebbrezza di un litigio o una denuncia da parte del cittadino quando potevano levarsi l'impiccio con due minuti di lavoro e un click.
E ancora: non scarichino sui lavoratori le pecche della burocrazia! È forse una istigazione neppure tanto velata a scrivere il falso per non cagionare danno economico ai cittadini? Perché altrimenti non comprendiamo il senso di questa frase, che contemporaneamente ci inorridisce e ci fa sorridere, dal momento che contro la burocrazia noi lottiamo ogni giorno a fianco dei nostri assistiti. C'era davvero bisogno di scrivere e oseremmo dire diffamare prima di aver approfondito? O siamo di fronte a un gesto di malafede? Ai posteri, anzi no. A chi ha cervello e onestà, l'ardua sentenza.
Fonte: La Voce del Curante
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