Si spegne a Milano l'artista Lucio Del Pezzo, un ricordo

Chi ama l’arte oggi piange la scomparsa di Lucio Del Pezzo. E’ morto a Milano, aveva 86 anni. Io che sono nato a Napoli come lui, sento di aver perso qualcosa. In realtà Del Pezzo era un napoletano “ a metà”, per usare un titolo di Pino Daniele. Del Pezzo era nato nel 1933 a Napoli, e dopo gli studi di agraria passerà all’Accademia di Belle Arti, ma si trasferisce quasi subito a Milano, che diventerà la sua città di adozione.

Il mio primo incontro con l’arte fu proprio in occasione di una sua mostra. Erano i primi anni Duemila. All’epoca Napoli, già da qualche anno, vestiva la sua bella Piazza del Plebiscito con istallazioni di opere d’arte contemporanea (Jan Fabre; Rebecca Horn, Mimmo Paladino, Janis Kounellis). L’arte a Napoli era nell’aria e si tagliava a fette. Erano passati pochissimi anni, inoltre, da quando uno scaltro Achille Bonito Oliva, scrivendo la parola “transavanguardia” aveva messo di nuovo la palla al centro; noi giovani in erba potevamo parlare ancora di pittura.

Napoli, però, è un città che mal somatizza il passato. Artisti satellite, micce velocissime avevano percorso tracce, disegnato traiettorie che ciascuno di noi poteva ancora seguire; penso a Carlo Alfano, prematuramente scomparso, lo scultore Augusto Perez, Renato Barisani che continuava insieme ai suoi amici del movimento “ dell’arte concreta”; c’erano i Patafisici, e tutta una serie di neo surrealisti, neo dadaisti collegati alla carovana avviata dal Manifesto nuclearista del 1952 redatto da Enrico Baj a Milano.

Tra questi, c’era Lucio Del Pezzo che fu tra i fondatori del Gruppo 58. L’artista lascia Napoli. Di lui resterà un’eco, forse raccolta dagli altri colleghi rimasti a Napoli (Guido Biasi, Bruno Di Bello, Sergio Fergola, Luigi Castellano e Mario Persico) che nel 1959 firmano la rivista Documento Sud: una sorta di manifesto che raggruppa i membri della neoavanguardia napoletana e milanese e altri esponenti della cultura, tra cui Edoardo Sanguineti.

Negli anni Settanta Napoli aveva più fronti: da un lato c’era ancora tanta arte astratta-geometrica, dall’altro l’arte povera e il (nuovo) concettuale che si viveva nel triangolo illuminante delle gallerie di Piazza dei Martiri. Nel mezzo c’era il caleidoscopio del neo dadaisti napoletani. E’ una rete internazionale che collega tanti artisti, ma in Italia il nucleo pulsante è a Milano.

Qui Del Pezzo costruisce immagini surreali. Le opere di Lucio Del Pezzo sono realtà abitate da oggetti presi dal quotidiano ma collocati entro delle teche (Visual Box). E’ una nuovo linguaggio, un po’ Pop anglosassone, un po’ Metafisica, il tutto costruito attraverso un rituale che solo un napoletano sa fare. Ha un linguaggio puro, immediato. L’artista inserisce su fondi dipinti, lettere, giocattoli ed anche “ex-voto”. Nelle sue opere si ha la percezione di essere sullo sfondo di un sogno di un bambino.

Il suo lavoro non sfugge ad Arturo Schwarz, che ospita una mostra personale dell’artista nell’omonima Galleria. A metà anni Sessanta, si sposta a Parigi insediandosi in uno studio appartenuto a Max Ernst. Entrerà in contatto con quello che era rimasto del surrealismo, redivivo nel neonato Nouveau Réalisme, movimento creato dal critico Restany.

Arriva per Del Pezzo il tempo dei riconoscimenti a Parigi e New York, nel 1964 realizza insieme con altri artisti, tra cui Baj e Fontana, il Labirinto del Tempo Libero alla XIII Triennale di Milano e una sala personale alla XXXIII biennale di Venezia nel 1966; sono numerose le collaborazioni con importanti gallerie (Studio Marconi).

L’artista riunisce immagini, esperienze e ricordi che si fissano nelle sue grafiche, elegantissime, diventano dei casellari ricchi di forme geometriche, lettere di un alfabeto esoterico e spunti ludici.

Negli anni Ottanta l’artista sperimenta anche vere e proprie sculture primarie e si cimenta in rare installazioni come quella creata in occasione della mostra Terrae Motus organizzata da Lucio Amelio nel 1983.

A Napoli, restano dell’artista quattro grandi rilievi ceramici in bronzo, che ci osservano dalle due stazioni della nuova metropolitana. Chissà, faranno da guardia per il ritorno della sua anima romantica?

Alfonso D'Orsi

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