Il 12 aprile 1980, un giovane canadese iniziò la traversata a piedi del paese: senza una gamba e malato di tumore, aveva in mente di unire l'Atlantico al Pacifico
L’attuale reclusione coatta ha prodotto varie reazioni emotive. Una delle più ostili si è diretta contro gli appassionati della corsa: dagli isterici odiatori di professione, ma anche da una larga fetta di opinione pubblica impaurita e confusa, i podisti sono additati come untori di manzoniana memoria, accusati di essere i veri responsabili dell’incontrollata diffusione del coronavirus. É singolare osservare che, negli stessi giorni di quarant’anni fa, prese il via una sensazionale impresa podistica, che, lungi dal seminare discordia e risentimento, originò uno straordinario afflato di solidarietà e un’inedita presa di coscienza nei confronti di uno dei flagelli che più degli altri satura le corsie degli ospedali e riempie le bare negli obitori. Minato da un male spietato, ma non vinto nell’animo, il giovane Terry Fox cominciò il 12 aprile 1980 una traversata a piedi del Canada, diventando in poche settimane un simbolo di coraggio, speranza e unità in un paese geograficamente e culturalmente diviso.
Terrance Stanley Fox nacque il 28 luglio 1958 a Winnipeg, nella sterminata regione del Manitoba, ma crebbe a Vancouver, dove i genitori finirono per stabilirsi insieme agli altri tre figli, due maschi e una femmina. Da ragazzo, Terry aveva manifestato uno straordinario interesse per gli sport e una volta alle superiori, in ossequio al sistema educativo nord-americano, che promuove l’eclettismo e la varietà, si era cimentato nell’atletica, nel basket e nel calcio. Tuttavia, non eccelleva in nessuna disciplina e non gli si prospettava alcuna lucrosa carriera da professionista, per quanto i suoi allenatori ne elogiassero la determinazione e la costante applicazione: nel suo primo anno con la squadra di pallacanestro, era stato classificato diciannovesimo in una rosa di 19 giocatori e aveva potuto giocare solo ridotti scampoli di partita, ma due anni dopo era migliorato al punto da figurare sempre nel quintetto titolare. Nella stagione del diploma, insieme all’amico fraterno Doug Alward, fu insignito del riconoscimento di atleta dell’anno.
All’università, scelse di seguire i corsi di scienze motorie, ma il percorso verso un tranquillo futuro da insegnante in tuta e scarpe da ginnastica conobbe un brusco stop nel 1977. Tornato a casa con un lancinante dolore al ginocchio destro, Terry fu sottoposto a esami specialistici che diagnosticarono un osteosarcoma in stadio avanzato. Il 9 marzo gli fu amputata la gamba all’altezza della coscia e i medici gli pronosticarono una speranza di sopravvivenza fra il 50 e il 70 per cento. Durante i sedici mesi di terapia, si rese conto del triste destino di moltissime giovani vite, compromesse o spezzate nel fiore degli anni. Ne rimase sconvolto e, una volta ripresosi dal ciclo chemioterapico, promise a se stesso di lottare contro lo stigma che colpiva gli ammalati di cancro e i disabili. Ora adornato da folti e morbidi ricci, lasciatigli inaspettatamente in eredità dalla chemio, si unì alla squadra di basket in carrozzina, ma appena ebbe imparato a usare la gamba artificiale si ricordò di un articolo mostratogli dal suo allenatore, a proposito dell'amputato Dick Traum, che aveva disputato la maratona di New York. All'inizio del 1979, studiò un piano per rimettersi in forma, migliorò il comfort della protesi con un ammortizzatore da moto e prese ad allenarsi in notturna: i vicini fecero l'orecchio al caratteristico alternarsi di colpi e suoni sordi prodotti dalla sua andatura barcollante, una sorta di incerto fox-trot che necessitava di un piccolo appoggio supplementare con la gamba buona per dare il tempo alla protesi di seguire e continuare la corsa.
In agosto, si iscrisse alla maratona di Prince George, arrivando dieci minuti dopo l'ultimo normodotato, ma suscitando l'ammirazione e l'incitamento del pubblico. La solidale risposta delle persone rinforzò la sua auto-stima, pose fine agli allenamenti notturni per sfuggire gli sguardi della gente e lo indusse a partorire una folle idea: correre dall'Atlantico al Pacifico per raccogliere fondi a favore della ricerca sul cancro. Il 15 ottobre 1979, inviò una lettera alla Canadian Cancer Association, domandandone l'appoggio finanziario. Scrisse, in chiusura: «Non sono un sognatore e non sto dicendo che la mia iniziativa fornirà una risposta definitiva o una cura per il cancro, ma io credo nei miracoli. Devo».
La risposta fu piuttosto fredda, poiché veniva chiesto all'intraprendente giovanotto di fornire una sorta di capitale iniziale, che Fox pensò di domandare alle principali multinazionali. Il miracolo prese forma: la Ford mise a disposizione un camper, la Imperial Oil il carburante, la Safeway il cibo e l'Adidas fornì le 26 paia di scarpe che erano state ritenute il minimo indispensabile.
Il 12 aprile 1980, dopo un volo verso il Newfoundland, Fox immerse il moncherino nelle acque di St. John's, riempiendone un'ampolla, e si avviò caracollando verso Vancouver, dove aveva progettato di terminare il viaggio il 10 settembre successivo, bagnandosi nel Pacifico e versandoci l'acqua dell'Atlantico. L'amico Doug si pose alla guida del camper, precedendo la marcia di Terry di un miglio. L'inizio fu incoraggiante e i ragazzi furono ospitati e rifocillati da diversi cittadini impressionati dalla loro tempra. Nei primi giorni, raccolsero 10.000 dollari.
Poi, le luci della ribalta si spensero e Fox rimase solo con i suoi pensieri e il suo dolore. La protesi era più comoda, ma le continue sollecitazioni generavano cisti e sanguinamenti. In certe occasioni, automobilisti imprudenti avevano rischiato di investire il corridore, che spesso, alla fine della giornata, si sentiva così giù da rinchiudersi nel van per piangere a dirotto. Crebbe anche la tensione con Doug, che resisteva all'idea dell'amico di coinvolgere quanti più media possibile. Alla fine di maggio, i due furono raggiunti da Darrell, il fratello minore di Terry, il cui carattere clownesco servì a stemperare lo stress della convivenza forzata.
Terry riprese fiducia e il 7 giugno coprì la distanza-record di 48 chilometri. All'arrivo a Montreal, dormì al Four Seasons Hotel per iniziativa del presidente della compagnia, Isadore Sharp, un cui figlio era morto di cancro non ancora maggiorenne. Nella città di Hawkesbury, in Ontario, fu organizzato un ricevimento cittadino, cui parteciparono migliaia di persone. A Ottawa, il 4 luglio, Fox fu addirittura ricevuto da Pierre Trudeau, l'allora Primo Ministro e padre dell'attuale capo del governo canadese.
Ormai la “Maratona della speranza” era diventata un fatto d'interesse nazionale. Un'auto della polizia lo scortava in ogni paese e città, folle festanti si assiepavano lungo il percorso per acclamarlo e incitarlo, sovente gli veniva chiesto di partecipare a varie manifestazioni in suo onore. La NBC gli dedicò una delle puntate del programma di successo Real People. Le donazioni raccolte divennero ingenti e la percorrenza giornaliera si attestò su una media di 42 chilometri: ogni giorno, Fox disputava una maratona olimpica! A Gravenhurst, celebrò il 22esimo compleanno durante una festa in cui furono donati 14.000 dollari. Il 12 agosto giunse all'incirca a metà del cammino, con una raccolta totale di quasi 11 milioni e mezzo.
Il 31 agosto si svegliò con un raffreddore terribile, ma continuò la corsa. L'indomani, la tosse si fece insistente, con fitte al petto e al collo. Fox volle comunque onorare la folla di Thunder Bay che era in attesa di acclamarlo, resistette ancora per 28 chilometri e quando fu fuori dalla città risalì sul camper. Non respirava bene e il dolore era insopportabile: si arrese dopo 143 giorni e 5.536 chilometri.
Nuovi esami emisero la diagnosi che tutti paventavano: il tumore era tornato e aveva colonizzato i polmoni. Seguirono nuove sedute di terapia, senza apprezzabili risultati. Molti si offrirono di concludere la “Maratona della speranza”, ma Fox declinò ogni offerta, dichiarando di volerla portare a termine lui stesso. Tutto il paese lo strinse in un caloroso abbraccio, gli furono conferite le maggiori onorificenze civili e le offerte toccarono nuovi massimi durante uno show televisivo cui presero parte John Denver ed Elton John. Persino Giovanni Paolo II inviò un telegramma di incoraggiamento. Nel febbraio 1981, le donazioni raggiunsero lo strabiliante ammontare di 24 milioni di dollari.
Terry Fox cedette a una polmonite, cessando di vivere il 28 giugno successivo. Quel settembre, si tenne la prima Terry Fox Run in Canada e in giro per il mondo. Da allora, 450 milioni sono stati elargiti in oltre 60 paesi e destinati alla lotta contro il cancro attraverso la Terry Fox Foundation.
Paolo Bruschi