Anche lui come migliaia di infermieri è in prima linea contro il Coronavirus, ma con la bandiera di un altro colore. Stefano Cerri, infermiere 30enne di Pieve a Ripoli di Cerreto Guidi, si è trovato a combattere la sua battaglia contro il Covid-19 in Inghilterra, a Londra, dove ormai lavora da sei anni. Dopotutto questa guerra non ha confini o nazionalità, la lotta al virus riguarda tutti e Stefano il suo contributo lo dà con coraggio da oltremanica, ad oltre 1.500km da casa, in un paese che ha aperto i suoi cancelli al virus confidando in una 'immunità di gregge' che si è rilevata essere una grande illusione carica di cinismo, basta ricordare la frase "perderemo dei cari" del premier Johnson pronunciata prima che anch'egli risultasse positivo al virus.
Anche la politica, che forse aveva sottostimato l'emergenza sanitaria per evitare il disturbo di una emergenza economica, ha dovuto fare i conti con la realtà: prima le raccomandazioni, poi il lockdown all'italiana, poi la paura, che cresce esponenzialmente come i morti, oltre 1000 fino ad oggi. Il direttore del sistema sanitario inglese Stephen Powis ha detto senza girarci intorno che "se riusciremo a rimanere sotto i 20mila morti potremo considerare di aver agito bene". La sensazione è che si sia davanti alla cronaca di una tragedia annunciata: al momento si avvertono solo le prime avvisaglie, ma si attende l'arrivo della tempesta. E Stefano Cerri è davvero in prima linea, lavora infatti da circa 3 anni nel reparto di rianimazione di un ospedale nella zona 2 di Londra.
Come è la situazione in questo momento?
Circa due settimane fa abbiamo avuto i primi pazienti e già registriamo dei decessi. I morti nel paese stanno aumentando esponenzialmente. A livello lavorativo non si notava grandi differenze, ma adesso si: iniziamo a sentire carichi di lavoro sempre maggiori nella terapia intensiva. Attualmente abbiamo 15 casi positivi con una trentina di posti disponibili. Si inizia a gestire diversamente il rapporto con il paziente. L'ospedale ha sospeso le operazioni non urgenti che richiedono ospedalizzazione e in generale ci stimo preparando al peggio. Molti infermieri sono già stati messi in quarantena e anche per questo siamo in sofferenza.
Quali precauzioni sono state prese per il personale sanitario?
Per lavorare dobbiamo indossare ovviamente maschere protettive di tutto il volto, stivali, guanti e abbiamo tute speciali sopra il nostro normale abbigliamento. Non è una situazione facile: lavoriamo con turni di 12 ore e con queste attrezzature protettive non possiamo andare in bagno o fare altre cose che prima erano normali, persino bere diventa un problema. Abbiamo tre pause nei nostri turni, da 45 o massimo 60 minuti. Restiamo quindi a lungo senza andare in bagno, bere, respirando la nostra anidride carbonica all'interno della maschera, con le protezioni sudiamo molto e i turni diventano sempre più pesanti. In tutto siamo circa 100 infermieri, cerchiamo di coprici a vicenda, sappiamo che si tratta di una cosa nuova e non ci siamo abituati. L'importante è essere pronti quando ci sarà la tempesta vera.
Vi attendete un boom di casi e ricoveri come in Italia?
Penso che non siamo ancora a livello di emergenza. Ci attendiamo un picco tra circa due settimane. Noi siamo carichi per affrontarlo, ma l'importante è imparare ora tutte le procedure ed attrezzarsi al meglio. Abbiamo chiesto espressamente alla nostra manager di metterci nelle condizioni di poter affrontare l'emergenza, se non lo facciamo ora è la fine. Non si possono fare errori. Da circa 3-4 settimane ci stanno formando sulle procedure da rispettare. Bisogna cercare di lavorare in maniera efficace, serve la collaborazione e lavoro di squadra. Ci sarà un picco con tantissimi casi, già adesso è dura, bisognerà aiutarsi.
Il sistema sanitario inglese sta reagendo bene per ora?
Dopo i primi pazienti positivi in Terapia Intensiva ci hanno fornito i dispositivi di protezione, ma in altri reparti non è così. In altri reparti in mancanza di sintomi particolari si può essere a contatto con il paziente anche con la semplice mascherina chirurgica. Non siamo ancora nell'emergenza eppure si iniziano a vedere le prime sofferenze. In pronto soccorso non sono pronti, iniziano già ora a mancare le protezioni adeguate. Attualmente io indosso le migliori prescritte dalle linee guida, ma le risorse sembrano poter finire presto e si inizia ad usare protezioni meno efficaci, ad esempio prima avevamo gli stivali, adesso basta pulire le scarpe. I camici che usavamo prima sono terminati e quelli di plastica fanno sudare molto costringendo a continui cambi di abbigliamento che tolgono divise agli altri infermieri. Inoltre molti infermieri sono già in quarantena è il rischio è quello di restare scoperti con il personale. Si prevede di spostare infermieri da reparti meno acuti, formandoli al supporto respiratorio. Tra qualche settimana anche io dovrò aiutare colleghi che non hanno mai fatto terapia intensiva. Premetto che nessun sistema sanitario probabilmente era pronto all'emergenza, ma anche qui come in Italia negli anni si è tagliato alla Sanità, tagliando oggi e tagliando domani indeboliamo la nostra risposta. Si cerca di fare le stesse cose con meno personale, ma poi dopo le risorse servono nel momento del bisogno.
Li si fanno i tamponi?
Il Governo ha annunciato che inizierà a fare tamponi a tappeto dal personale sanitario, a noi della terapia intensiva ce li faranno dalla prossima settimana, poi il personale del pronto soccorso e via via gli altri reparti. È giustissimo farlo, la gente e il personale sono preoccupati. Dall'altra parte è un'arma a doppio taglio, perché se infermieri sono asintomatici positivi saranno messi in quarantena, quindi ci sarà meno personale e più lavoro, mandando tutto in sofferenza. Vedremo come andrà.
Hai paura? La tua famiglia?
Ovviamente ho paura, ma al momento ho molta più adrenalina. Voglio cercare di combattere nella maniera migliore. Fortunatamente mi piace il mio lavoro. Quando è scoppiato il caso Codogno io ero in Italia, mi sono detto: torniamo a lavoro! Certo all'inizio non pensavamo potesse espandersi così, certamente sono preoccupato perché mi rendo conto di essere sul fronte in prima linea, ma al momento sono molto carico per affrontare l'emergenza.
Con la famiglia lontana la preoccupazione è reciproca, loro sanno il lavoro ce faccio e sono preoccupati, io sento cosa sta succedendo in Italia e avendo anche familiari anziani sono preoccupato.
Ti definiresti un eroe?
"È bello sentirsi dire "eroi", ma vorrei ricordare che è da vent'anni che siamo eroi. Prima dell'emergenza ricevevamo le lamentele di chi aspettava in pronto soccorso o di chi aveva avuto un disagio, senza domandarsi se ciò fosse la conseguenza di anni di tagli alla sanità. Qui come in Italia si sta diffondendo questa retorica del personale medico come eroe, ma spero che ce lo ricorderemo anche dopo. Adesso sono tutti bravi, ma quando si tagliava il personale nessuno si ricordava di noi. Comunque fanno piacere gli atti di stima e riconoscenza, anche qui a Londra ci hanno applaudito e si moltiplicano iniziative di vicinanza al nostro lavoro. Speriamo che dopo il Coronavirus tutto non torni come prima. Preferirei che le persone e i governi investissero più su di noi invece di riempirci di lusinghe".
Quali misure sono state prese in Inghilterra?
"Come in Italia c'è il lockdown, tutti devono restare a casa e uscire solo per necessità essenziali. Si può fare esercizio fisico solo una volta al giorno, si è ridotto le tratte dei trasporti pubblici, sono stati chiusi la maggior parte delle attività come ristoranti, bar, negozi. Dopo una prima fase di incertezza la cittadinanza si sta adeguando alle disposizione, anche se i giornali raccontano continuamente di persone nei parchi che se ne infischiano. La polizia controlla, ma credo che anche loro non hanno il personale per controllare capillarmente tutta Londra. A livello politico rispetto all'Italia sento meno polemiche e più unità per fronteggiare l'emergenza".
Secondo te come è stata affrontata l'emergenza in Inghilterra?
"Credo che il governo l'abbia presa sottogamba inizialmente, d'altronde anche io l'ho fatto. Pensavo che all'anno muoiono tante persone per influenza e che ci fosse stato un sovraccarico mediatico sulla faccenda, cioè che le notizie fossero caricate da giornali e organi di informazione. Come ho sottovalutato io l'ha fatto anche il Governo, ma quando a fine febbraio ci sono stati i primi pazienti positivi, e vedevo a Londra le metro piene con persone che respiravano a pochi centimetri l'uno dall'altro, ho pensato: se il virus circola così velocemente qui farà una strage! La consapevolezza è aumentata nella popolazione e anche la paura. Tutti erano contrari alla politica dell'immunità di gregge di Johnson fin da subito. Quando in Europa ci sono stati primi focolai si è chiuso tutto, qui no. Il Governo poi ha cambiato strategia, ma molti continuano ad avere paura"
A cura di Giovanni Mennillo
I DATI
Oggi, 30 marzo 2020, nel Regno Unito sono 22,141 i casi positivi da coronavirus. I decessi 1,408.
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