Coronavirus, il déjà vu di Camilla Fatticcioni dalla Cina all’Italia

È la fine del 2019 quando scoppia l’emergenza coronavirus in Cina e Camilla si trova a Hangzhou. È ormai febbraio quando riesce, tra i problemi scatenati nel mondo dall’epidemia, a tornare a casa in Toscana. Poco dopo anche l’Italia verrà investita dal problema, con il primo caso registrato il 21 febbraio e Camilla assiste ad un déjà vu. È la storia di una ragazza che ha visto ripetersi un evento rivelatosi poi catastrofico, di come gli stessi occhi abbiano potuto osservare due paesi così diversi tra loro, reagire alla stessa emergenza.

Camilla Fatticcioni ha 25 anni, è Toscana e vive a Capannoli, in provincia di Pisa. Dopo la laurea in Lingue Orientali nel 2017 vince una borsa di studio e vola in Cina, dove inizia a frequentare la facoltà di Storia dell’Arte. Studia, sogna, viaggia e fotografa ciò che si trova davanti nei posti che visita, lasciando nero su bianco i suoi pensieri nel blog ‘Per quel che ne so io’. Un percorso pieno di avventure che sembra arrestarsi proprio a gennaio 2020.

Quando ero in Cina – ha raccontato – il virus è capitato in un periodo molto strano, quello del capodanno. I negozi chiudono in quel momento, proprio perché la gente va a trovare i familiari. Stavo quindi già vivendo una situazione particolare, il campus dell’università era avvolto dalla desolazione. La prima cosa che ho provato, all’arrivo dell’epidemia, è stata la scomodità. Ho dovuto annullare i viaggi che avevo in programma. Proprio il 25 gennaio (data del Capodanno cinese 2020) dovevo partire per una città vicina al focolaio e quindi sono rimasta nel mio dormitorio”. Camilla, da quel momento, non uscirà più dalle mura del suo alloggio universitario: “Pochi giorni dopo ho visto precipitare la situazione, le persone sono scappate da un giorno a un altro mentre io aspettavo. Alla fine è arrivato l’ordine dell’università di chiudere le porte del dormitorio e di non uscire più. Quello è stato l’inizio della mia quarantena in Cina”. “Sono stata chiusa dentro il dormitorio dell’università circa 20 giorni senza avere nessun contatto con l’esterno – ha continuato Camilla. Come era vietato andare a fare la spesa, lo era anche ordinare cibo da asporto. L’unica cosa che potevamo avere erano i pasti giornalieri che ci passava la scuola”. Giorni passati a riflettere, a guardare fuori dalla finestra in solitudine, fino al rientro in Italia.

Avevo il volo di ritorno il primo febbraio ma è stato cancellato. Il 7 sono riuscita  a prenderne un altro e a tornare a casa. È stato un viaggio tormentato e fatto di tantissimi controlli”, infatti dalla partenza in Cina, allo scalo a Mosca fino all’atterraggio a Roma, la salute di Camilla e degli altri passeggeri è sempre stata monitorata attraverso la misurazione della febbre. “Tornata in Italia mi sono trovata davanti una situazione paradossale. Avevo molti timori, paura di essere contagiata anche se non avevo avuto contatti con nessuno, tranne che in aereo. Una volta a casa, ho vissuto le prime settimane in isolamento, di mia spontanea volontà per proteggere gli altri, vivendo con la preoccupazione di quando sarei potuta rientrare in Cina”. Camilla quindi decide, per sicurezza personale e buon senso, di non aver nessun contatto fuori dalla sua casa di Capannoli quando, una volta finito il periodo di auto isolamento, scoppia l’epidemia anche in Italia. “È da fine gennaio che non metto piede fuori casa”.

Come ha spiegato Camilla, che ha vissuto sulla propria pelle entrambe le situazioni, è impossibile fare un confronto tra le due realtà, così lontane e diverse nonostante entrambe abbiano in comune la stessa emergenza: “Da un lato sono contenta del decreto che consiglia a tutti di stare a casa anche in Italia. La differenza è che la Cina è un paese con regole molto più rigide, sia nel bene che nel male. Città super affollate come Shanghai erano completamente deserte. Nessuno usciva e le uniche persone che andavano a lavoro erano i farmacisti, i medici e il personale dei supermercati. Qualsiasi tipo di attività era chiusa. In fatto di controlli forse c’è stata più organizzazione ma – ha precisato – stiamo parlando di due realtà diverse. In grandi città così ogni complesso di appartamenti ha un comitato che si prende cura degli abitanti e fa in modo che le regole siano rispettate. Nel mio quartiere chi doveva andare a fare spesa poteva andarci, ma era concesso uscire ad una sola persona e sempre la stessa, solo tre volte a settimana. E poi, essendo molto avanti con la tecnologia, i servizi di cibo da asporto funzionano benissimo anche nelle periferie. La tecnologia in Cina fa funzionare tutto. Al momento infatti, la mia università controlla il mio stato di salute quotidianamente".

Il rientro a casa non è stato facile per la 25enne, poiché arrivando da una zona ritenuta così pericolosa, in molti si sarebbero preoccupati. Una storia che sembra ripetersi sulla pelle, stavolta, di un italiano. “Ho molti amici cinesi che abitano in Italia che hanno sentito, bene o male, la pressione della situazione. Ho sentito purtroppo parlare di discriminazioni. Anche io stessa, nel piccolo in cui abitiamo, ho ricevuto un po’ di occhiatacce. Persone che hanno cercato di evitarmi, nonostante fossi sana come un pesce, perché provenivo proprio dalla Cina. Dal primo caso di Codogno, nonostante fossi in Italia già da molti giorni, le persone hanno iniziato a chiamare a casa mia per sapere come stavo. Addirittura – ha aggiunto Camilla – qualcuno ha chiamato anche in Comune per sapere se ero in quarantena o se fossi un caso sospetto”.

Due paesi così lontani, così diversi per tradizioni, dimensioni e cultura ma uniti dalla spiacevole classifica che li mette ai primi due posti, nel mondo, per i contagi da coronavirus. E la giovane Camilla ha messo nello zaino delle cose osservate in giro per il mondo un film visto due volte, con due scenografie diverse sì ma altrettanto drammatiche. “Il virus mi spaventa, la cosa ad oggi mi sembra diventata enorme. La vita in Cina sta tornando come era prima, grazie alle azioni radicali adottate. Oggi quello che mi spaventa sono le conseguenze che ci saranno in futuro e la salute dei miei cari. Dobbiamo sacrificarci per il bene di tutti”.

L’arcobaleno disegnato che sventola sulle lenzuola attaccate ai balconi, sotto le finestre e sui cancelli delle case italiane sembra essere diventato un arco colorato che unisce tutto il mondo, in questo caso lungo 7mila km e mezzo, dalla Cina all’Italia. Un arcobaleno di colori che recita ‘Andrà tutto bene’ e che Camilla pronuncia infine in due lingue, scandendo ancora una volta la solidarietà che esiste in questa distanza: “都会好起来

 

 

Margherita Cecchin

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