Per invocare aiuto e protezione la Chiesa di Prato si affida all’intercessione di Maria, venerata in città da oltre otto secoli attraverso la preziosa reliquia del Sacro Cingolo. Domani, giovedì 19 marzo, solennità di San Giuseppe, alle ore 21 il vescovo Giovanni Nerbini guiderà la recita del rosario in concomitanza con la «Preghiera per il Paese» indetta dalla Cei per cercare di superare con fede le criticità di questa delicata emergenza sanitaria. Anche la Diocesi aderisce alla proposta della Chiesa italiana e invita i pratesi a esporre alle finestre una candela accesa come «luce di speranza». L’inizio della recita del rosario sarà salutato dai rintocchi di tutte le campane delle chiese di Prato che suoneranno a distesa.
Al termine della preghiera mariana, recitata secondo i Misteri della luce, monsignor Nerbini officerà l’antico rito dell’ostensione del Sacro Cingolo, custodito a Prato fin dal XII secolo. Si tratta di una celebrazione straordinaria perché la tradizione vuole che la reliquia appartenuta a Maria, donata all’Apostolo Tommaso e portata in città dal mercante Michele, venga esposta alla venerazione solo in cinque momenti dell’anno: Pasqua, primo maggio, 15 agosto, 8 settembre e il giorno di Natale. Le ostensioni al di fuori dei momenti canonici sono previste solitamente per la presenza del Papa – fu così per le recenti visite di Francesco e Giovanni Paolo II – l’ingresso dei vescovi o in occasione di eventi e ricorrenze particolari. Come appunto in questo caso.
Accanto al vescovo Nerbini sarà presente nella Cappella del Sacro Cingolo per assistere al rito il sindaco di Prato Matteo Biffoni. Questo perché la reliquia, simbolo religioso e civile, è proprietà condivisa della Chiesa e della Città.
La recita della «Preghiera per il Paese» e l’ostensione saranno trasmessi in diretta su Tv Prato a partire dalle 21 (sul canale 74 del digitale terrestre o in streaming su tvprato.it).
Anche in occasione della peste del 1494 Prato si affidò al sacro cingolo
Non è la prima volta che il Sacro Cingolo mariano viene invocato per chiedere protezione in caso di epidemie. Nel 1494, quando proposto della pieve di Santo Stefano (l’attuale Duomo) era Giovanni de’ Medici, figlio di Lorenzo il Magnifico e futuro Papa, la reliquia venne «mostrata» ai pratesi perché la Terra di Prato era funestata da una grave «pestilenza». La data scelta per l’ostensione straordinaria fu anche in quel caso, il 19 marzo, solennità di San Giuseppe, custode della Sacra Famiglia e della Chiesa universale. Proprio come avverrà domani in cattedrale in questo periodo legato alla difficile emergenza sanitaria legata al coronavirus.
È don Marco Pratesi, canonico del capitolo della cattedrale di Prato e studioso della storia della Sacra Cintola, a ricordare questo episodio. «La Terra di Prato (ossia la cittadina e il suo contado) in quel momento era funestata da una pestilenza, di natura non meglio precisata. In realtà in quegli anni parecchie città italiane sono state vittima di ondate di peste, dall’impatto più o meno virulento». Il sacerdote sottolinea che gli antichi con il termine «peste» chiamavano una serie di fenomeni anche molto diversi, che comunque avevano in comune il fatto di coinvolgere vaste masse di popolazione. «Non solo – aggiunge – in questi anni fa la sua comparsa in Italia il “mal francese”, ovvero la sifilide, anche’esso genericamente definito come peste. Episodi pestilenziali più rilevanti furono a Prato quelli del 1348, del 1526 e del 1631».
Dunque non sappiamo con certezza quale oscuro male si aggirasse per Prato in quel tempo, fatto sta che si tratta di far presto e la città non può aspettare di rivolgersi alla Sacra Cintola in occasione del primo maggio, prima data utile per poter venerare la reliquia. «Il governo cittadino – continua don Pratesi – rappresentato dagli Otto Difensori del Popolo e dal Gonfaloniere di Giustizia, unitamente al Consiglio dei Dodici, si riunisce il giorno precedente alla festa di San Giuseppe e con votazione unanime si delibera che il giorno seguente, 19 marzo, sia dichiarato festivo e si cessi da ogni lavoro per poter tutti insieme meglio chiedere l’intercessione di San Giuseppe, patrono e avvocato presso il Signore, per la fine della pestilenza e di ogni altro male».
In quel momento il Sacro Cingolo viene solennemente mostrato al popolo pratese in quattro occasioni annuali: la Natività di Maria (8 settembre) e Pasqua (e sono le due date più antiche), Natale e il primo maggio (l’ostensione per l’Assunta sarà introdotta solo tardivamente, a fine Ottocento). Poi da quel marzo del 1494 si mantenne per parecchi anni l’usanza di fare l’ostensione della Cintola anche in occasione della festa di san Giuseppe. «Non siamo in grado di determinare con precisione per quanto tempo – conclude don Pratesi – probabilmente almeno una cinquantina d’anni: la data del 19 marzo era presumibilmente troppo vicina a quella della Pasqua, in alcuni casi quasi coincidente. Fino a questo 2020, quando, nel segno del Sacro Cingolo, Giuseppe, insieme alla sua sposa, sarà nuovamente invocato come patrono e avvocato, perché liberi e salvi».
Fonte: Diocesi di Prato
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