Il pittore non deve dipingere quello che vede, ma quello che si vedrà. Senza dubbio Rachele Cinerari ha fatto sua questa massima di Paul Valéry. Dal 28 febbraio saranno in vendita le opere di BookBlock, una collana targata Eris Edizioni e diretta proprio da Cinerari. Una serie di libri - inizialmente tre, diventeranno otto a fine 2020 - su temi di stringente attualità. Saggi brevi e accessibili con lo scopo di diventare ‘occhiali’ per riuscire a leggere l'Italia, e il mondo, del futuro.
Cresciuta a Santa Croce sull'Arno, vive tra la cittadina del Cuoio e la città sede di Eris, ovvero Torino - “sembra una descrizione da travel influencer su Instagram ma in realtà vivo proprio dividendomi tra Toscana e Piemonte” scherza. Rachele Cinerari crede molto nell'importanza delle parole: da questo concetto è partita per arrivare proprio a BookBlock.
Laurea triennale a Pisa in lettere moderne, magistrale a Torino in culture moderne comparate, dottorato in corso all'UniPi. Ha studiato in Germania, ha viaggiato lungo l'Europa grazie ai progetti Erasmus, alla cui redazione ha spesso contribuito. Parla senza inflessioni dialettali, didattica come in cattedra, efficace come un audiolibro. E proprio i libri l'hanno segnata nell’arco dei suoi quasi ventotto anni: “Mi servono per essere come sono e per usare le parole che voglio usare. Lavorarci era un mio sogno, lo ammetto”.
Folgorata da Valéry - “ma mi piacciono anche Benjamin e Rilke, tra i contemporanei direi Marta Fana” - si sta facendo largo in un settore arduo quale l'editoria. Come tutti coloro che hanno sognato, e poi scelto, di lavorare nella cultura ha all'attivo mille collaborazioni. Ha fatto la libraia alla Via Roma di Pontedera, ha lavorato con la Intermezzi di Ponte a Egola, è stata presidentessa dell'Associazione La Stazione, dove si è data da fare con molti progetti europei.
Finché non è arrivata fino a Eris Edizioni, a Torino. Quando ne parla sorride sempre: “Io sarò anche un po' matta, ma loro sono dei pazzi”. In questa 'follia' rientra la collana curata da Cinerari, BookBlock, nome mutuato dai Wu Ming: “Viene dalla protesta degli studenti a Roma nel 2010. Per difendersi avevano dei finti scudi con sopra disegnati i classici della letteratura. Questi libri saranno, appunto, strumenti di autodifesa culturale”.
Il concetto è corposo, l’obiettivo è importante. Partiamo dall'inizio, dalla genesi dell'idea. “Un paio di anni fa ho conosciuto chi lavora in Eris, siamo diventati amici”, racconta, “dai nostri incontri è venuta fuori un'esigenza, una collana di saggi brevi di attualità che siano accessibili come forma, prezzo e contenuti”. Il formato è simile alle MilleLire di Stampa Alternativa, per intendersi: “Serviva qualcosa del genere. Quando Eris mi ha chiesto di occuparmene, ho risposto subito sì”.
I primi tre titoli, in uscita il 28 febbraio, sono quanto di più attuale possibile. 'Contro l'automobile' di Andrea Coccia, 'Sostanze psicoattive' a cura del Progetto Neutravel e 'Post Porno' di Valentine aka Fluida Wolf. Tutti di massimo 70mila caratteri, tutti a sei euro. A maggio ne usciranno altri tre, entro il 2020 gli ultimi due: “Parleremo anche di turismo di massa e migrazioni. Stiamo già lavorando alle opere dei prossimi anni, non escludo possano esserci toscani o autori internazionali”.
Rachele Cinerari trasmette una passione risoluta quando spiega cosa è, in definitiva, BookBlock e perché parla di strumenti di autodifesa culturale: “I saggi pubblicati adesso sono accademici, o da accademici per accademici. Per l'amor di dio, sono bellissimi, ma dedicati a chi ha una buona base culturale. I BookBlock invece sono libri brevi, a prezzo basso, con un linguaggio senza tecnicismi. Li definirei un anello di congiunzione tra il longform e il saggio”.
“Quali sono le cose di cui sentiamo di dover parlare di più ma non abbiamo gli strumenti per farlo, per discuterne con cognizione di causa?” è la domanda che ha dato la stura alle idee di Cinerari: “Viene fuori che manca sempre lo scalino per andare da una conoscenza di grado zero a qualcosa in più. Vogliamo mettere in discussione cose che non si mettono mai in discussione. Siamo nel 2020 e dobbiamo guardare a problemi attuali o del futuro. Partiamo dall'oggi, poi allarghiamo lo sguardo verso i prossimi anni”. Eccolo, il pittore di Valéry.
L'importanza delle parole è al centro del lavoro della giovane santacrocese: “Oltre a scegliere autori e autrici, lavoro sulla lingua e sulla struttura. Cerco assieme a loro di fare una specie di sommario in modo che il libro abbia già una struttura cadenzata. Il linguaggio è più semplice possibile, si spiegano i termini tecnici, non ci sono note a piè di pagina o bibliografia”.
Si avverte il bisogno di divulgazione, di un nuovo tipo di comunicazione? “Sì. Abbiamo tutto a portata di mano e questo può apparire ovvio, ma crea una grandissima confusione perché io stessa, nonostante abbia potenzialmente tutto, non so da dove iniziare. Molto banalmente mi mancano i significati delle parole per leggere anche solo un articolo”.
Cinerari crede nell'importanza delle parole, lo si è visto, ma anche in quella delle relazioni: “Il mondo è pieno di gente intelligente che avrebbe voglia di sapere e di crearsi, a livello mentale o fisico, una rete di persone che parlano di cose di cui loro stessi sentono il bisogno di parlare. Ed è il motivo per cui gli autori e le autrici di BookBlock sono persone che portano avanti anche nella loro vita i temi trattati. Mi spiego con un esempio. Chi entra in contatto, anche solo su Instagram, con la nostra autrice Valentine, scopre una discussione di cui magari si era appassionato ma non aveva ancora avuto modo di affrontare”.
Anche solo seguendo Cinerari sui social ci si rende conto che, nonostante non sia mai sopra le righe, repelle (quasi fisicamente) le narrazioni tossiche, intrise di razzismo o sessismo nel peggiore dei casi. “Sono ciò che vogliamo combattere”, spiega, “BookBlock si basa su competenze reali, la gente sa di cosa scrive”. Può sembrare banale, ma non lo è affatto. Può sembrare supponente, ma è l'opposto: “Ecco, i nostri autori e autrici fanno il loro lavoro senza alcun tipo di arroganza”.
Sa bene che non rivoluzionerà il mondo - “non ho questa presunzione...” ribatte sorridendo – e sa anche di essere andata controtendenza in un momento in cui l'editoria è in crisi. “C'è necessità di una specie di lotta di classe nell'editoria, che è un mondo guidato da dinamiche di classe. La cultura è figlia dello stesso meccanismo delle altre microaree in cui viviamo. Ci sono dinamiche di potere e vanno scardinate. Perciò credo moltissimo in questo progetto” dice, quasi con le lacrime agli occhi dall'emozione.
Il suo percorso è ricco di contaminazioni, un’apertura maturata nei suoi studi e viaggi che ha influenzato la sua mentalità: “Di certo avere a che fare con altre culture mi ha aiutato. Ho imparato a mettere in discussione ogni cosa. I progetti Erasmus mi hanno dato una grossa mano”.
Il retroterra culturale, ovverosia Santa Croce sull'Arno, ha comunque avuto la sua parte: “Quando sono andata via l'ho capito: dal nulla si possono fare cose belle. Santa Croce ha un'impronta industriale forte, ciononostante in molti cercano di fare cose in controtendenza alla chiusura che circola nei paesini di zona”.
Come in uno scritto di Luciano Bianciardi, la provincia può comportare effetti collaterali: “Vivere qui vuol dire scontrarsi con convinzioni che non capisco. Mi spiace che spesso e volentieri i tentativi di proporre qualcosa di culturale vengano cassati, la stessa parola 'culturale' sembra quasi minacciosa. Eppure ci sono cinema, teatri, centri antiviolenza o di accoglienza. Anche questa è cultura”.
Una narrazione tossica, tra le tante con cui la santacrocese Rachele Cinerari combatte, è infine quella che vuole i giovani d'oggi come fannulloni, apatici nascosti dietro lo smartphone. 'Dove sono i giovani?' è una domanda che in molti pongono provocatoriamente: “I giovani e le giovani raccolgono i pezzi di un'esplosione. Al di là della terribile depressione vera in cui vive una grande quantità di persone, sono qui che, con le modalità più disparate, cercano di fare qualcosa della loro vita. Cercano di cambiare le cose che li fanno star male, sia a livello personale sia collettivo”.
Gianmarco Lotti
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