
«anche l’affetto è un dovere»
Nell’estate del 1960, subito dopo la pubblicazione, Carlo Cassola viene travolto da un immediato successo con La ragazza di Bube, edito Einaudi. Quello stesso anno, il romanzo riceve il Premio Strega con 151 voti; Italo Calvino in lizza come Cassola per lo Strega, con Il cavaliere inesistente, si aggiudicherà il secondo posto, con 70 voti.
A soli tre anni dall'uscita del romanzo best sellers dello scrittore romano, il regista Luigi Comencini onora La ragazza di Bube portandolo sul grande schermo con Claudia Cardinale e George Chakiris. Per una parte della critica però, libro e film sono un vero e proprio scandalo.
TRAMA
E' la storia di due adolescenze che rischiano il loro amore in un clima di morti innecessarie dettate dalla ideologia fascista e dall'ardore partigiano della Resistenza. Ambientato negli anni confusi dell’immediato dopoguerra, in un arco temporale, tra il 1944 e il 1948, La ragazza di Bube racconta la storia di Arturo Cappellini, detto Bube, sopranominato il «Vendicatore», e Mara Castellucci, la sedicenne selvaggia e frivola che vive con la madre, il compagno della madre - fervente militante comunista, e il fratello Vinicio.
Bube, il diciannovenne partigiano si era guadagnato in guerra la nomea di Vendicatore, ma quando torna alla vita di pace e senza guerre, nelle limpide atmosfere toscane e come semplice funzionario di partito, nonostante si senta ancora il «Vendicatore», per gli altri è solo il partigiano, chiuso in uno stereotipo. Si reca a Monteguidi in visita alla famiglia di Sante, fratellastro di Mara e suo compagno partigiano, caduto durante i combattimenti. Mara e Bube si vedono per la prima volta in quell'occasione, e nell'ingenuità dei primi sguardi, tra i due nasce una simpatia che presto si trasforma in un sentimento amoroso. La loro relazione, fin da subito però, non sarà semplice. Una sera, Bube incontra il prete Ciolfi, vecchio fascista scappato dal paese per motivi politici e quando lo vede affiora un sentimento di rancore e di pietà per quel vecchio che conosce sin dall'infanzia. Finge di non vederlo, ma quando sente che gli schiamazzi popolari si elevano perché il prete rifiuta di far entrare in chiesa alcuni giovani che indossano calzoncini corti, Bube comprende che il motivo del rifiuto dell'ingresso in chiesa va ben oltre la questione decorosa: quei giovani sono partigiani. Si tratta di politica. Spetta quindi al «Vendicatore», intervenire e vendicare. Nasce un alterco tra comunisti e il maresciallo dei carabinieri, ex fascista, che sfocia in una sparatoria. Bube si ritrova coinvolto. Il maresciallo uccide uno dei compagni di Bube e viene a sua volta ucciso per vendetta. Accecato dall’odio e dalla rabbia, Bube si lascia trascinare dalla violenza uccidendo, anch'egli per vendetta, il figlio del maresciallo. E' costretto quindi a nascondersi con Mara in un capanno, e nonostante il momento tragico, quello diventa il loro nascondiglio e anche il loro nido d'amore. Mara e Bube intensificano la relazione: parlano, si confrontano, discutono e litigano proprio come due amanti, e nonostante abbiano caratteri molto diversi qualcosa di bello riesce ad affiorare. Mara è frivola, Bube è un partigiano della Resistenza, con l'idea che a comandare in una famiglia sia l'uomo; che la «La politica, certo non è fatta per le donne […] è una cosa che riguarda noi uomini». Nel frattempo, la vendetta contro Bube non tarda ad arrivare, tanto che i compagni organizzano la sua fuga all'Estero. Mara è costretta quindi, a lasciare Bube e tornare nel suo paese, a Montaguidi, alla vita di sempre. E se quel sentimento precoce verso quel giovane partigiano, in un primo momento sembra essere un fuoco fatuo, solo dopo comprende che si tratta di qualcosa di più profondo di un vaporoso diversivo. La solitudine e la lontananza, il dolore, la snervante attesa di una qualche notizia che tarda ad arrivare, la pressione da parte dei carabinieri che interrogano Mara per sapere dove Bube si fosse nascosto, e il dissenso della madre di lei per quella unione; lei, che nel giovane Bube vede solo un assassino, faranno decidere a Mara di lasciare Monteguidi e di prendere servizio presso una famiglia a Poggibonsi. Lì conosce Stefano, un mite operaio che s’innamora di lei. Da quel momento tutto diventa una scelta, solo di Mara.
È cattiva la gente che non ha provato il dolore. Perché quando si prova il dolore, non si può più voler male a nessuno.
PROSA
Cassola è maestro di dialoghi. La prosa asciutta, ricca di interventi diretti e priva di estetismi, arricchimenti e descrizioni pompose, rendono i dialoghi una profonda sintesi di emozioni, descritti con sobrietà espressiva. La sua è la poetica del dire poco, intensamente. «Infatti fanaticamente io credevo necessario distruggere ogni altra cosa che non fosse il nudo, semplice, elementare fatto dell’esistenza » - commenterà lo stesso autore.
MARA - La ragazza di Bube
Come testimonia anche il titolo, la protagonista del romanzo è Mara, la ragazza di Bube. Nalle parte centrale del romanzo infatti, Bube diventa un fantasma, il grande assente E' Mara che giostra gli eventi. Un personaggio femminile tra i più intensi della letteratura del Novecento. Una giovane dinamica, un soggetto lirico, umano che simboleggia e riassume la vita con le sue piccole gioie, la capricciosità, le emozioni e sofferenze. Come scrive Olga Lombardi, in Narratori italiani del secondo Novecento: Mara è un “personaggio lineare ma non statico, in lei diversamente che in Bube si opera un processo di sviluppo dei sentimenti, una maturazione del carattere”. All’inizio infatti, Mara viene presentata come una ragazza semplice, vivace, bella, figlia di una piccola realtà contadina povera, fiduciosa nei risvolti economici che le avrebbe fornito un buon matrimonio, attaccata quindi ai beni materiali come simboli di vanto con le cugine, e le altre ragazze del paese. I suoi atteggiamenti sono quelli tipici di un’adolescente, concentrata sul proprio aspetto fisico: «Andava in continuazione da Liliana, che aveva uno specchio grande, dove ci si poteva vedere per intero: stava li delle mezz’ore a spiare ansiosa se il petto le s’era fatto più pieno, se le erano venuti un po’ più di fianchi».; impegnata a soddisfare la sua vanità: « […] indugiò davanti a guardarsi nello specchio ovale del cassettone. Si mise le mani sotto i capelli, per vedere come sarebbe stata se li avesse avuti gonfi». Prova ad impressionare la cugina Liliana dopo il suo primo incontro con Bube, raccontandole un misto di verità e bugia sulle presunte avances di Bube: «Signorina, da quando ho visto la sua foto, non ho fatto altro che pensare a lei». Quando Bube le chiede di seguirla per conoscere la sua famiglia, in un primo momento Mara, non intende andare, ma poi compie la scelta al solo scopo di rincorrere un capriccio e appagare il desiderio di avere un paio di scarpe con i tacchi alti: «Me lo compri un paio di scarpe?» «Un paio di scarpe? Certo. Io…ho un bel po’ di soldi, sicché, chiedimi pure quello che vuoi…». «Un paio di scarpe coi tacchi alti»”.
Mara incarna l'aspetto esistenziale del romanzo, lo stesso che farà muovere svariate critiche nei confronti di Cassola. La ragazza è completamente estranea alla politica ma è proprio questa privazione di connotazione politica che fanno di Mara un personaggio selvaggio e puro. Il suo candore grezzo in un'epoca segnata dal frastuono della guerra, viene risaltato maggiormente proprio per queste sue qualità. Il carattere di Mara però, evolve rapidamente dopo la fuga di Bube: non pensa più a tutte le cose frivole a cui era affezionata prima di conoscerlo perché: «ora si sentiva superiore a queste cose. Era infelice, addirittura disperata; ma non avrebbe più voluto tornare ad essere la stupida ragazzetta di un tempo».
Il dolore e l’amore per Bube servono come “rito di iniziazione” di Mara nella vita. Come scrive Paolo Vanelli, in Antagonismo vita-esistenza in Carlo Cassola: « Mara da figura “assente” alla vita diviene “presente” in seguito ad un’immersione nei problemi sentimentali, umani e storici, che incidono la sua carne ed il suo animo». Quello di Mara è un esercizio di amore fatto di gesti semplici e poche cose, le prime per entrambi. La ragazza cerca gli abbracci e i baci di Bube. Ricerca tenerezza e lo trascina alla sua stessa emozionalità quasi infantile, che a tratti commuove. Si sente di appartenere a un ideale, un'idea fervente di amore, che si promuove lentamente a diventare un atto di fede. Lotta come Bube, a costo della disperazione e della solitudine. Rifiuta la comodità, l'idea di una certezza per il raggiungimento di una gioia più alta: quella che lei desidera. Muta lei e muta il linguaggio: l'uso dei vezzeggiativi, delle esclamazioni, la ricerca di frivolezze che caratterizzano la prima personalità di Mara (Bubino, esclamativo con il quale spesso si rivolge al partigiano, ridimensionando l'immagine-guerriera, simbolo di vendicatore), in un secondo momento spariscono a favore di un linguaggio tonico, deciso, spoglio e granitico. Rappresenta la trasformazione psicologica della protagonista: « Io sono la ragazza di Bube» . Una conversione caratteriale avviene anche per lo stesso Bube che, se in un primo momento risulta impregnato di cultura maschilista e si rivolgere a Mara con frasi di rimprovero quando osa ribellarsi al suo volere e alle sue decisioni, in un secondo momento sarà lui stesso a comprendere la fatica di essere donna. Difende, per esempio, la madre, costretta a crescere i figli senza un marito: « Mio padre , che vuoi, non l'ho nemmeno conosciuto. E' morto che avevo tre anni. Non so come abbia fatto mia madre a tirarci su, Andava a lavare . Si sfiniva a forza di fare bucati. E poi c'è chi si meraviglia se ho le idee che ho. La società deve permettere che una povera donna si sfianchi dalla fatica solo perché ha avuto la disgrazia di rimanere vedova?». Bube è un proletario, un giovane di appena diciannove anni, senza una figura paterna che lo guidi. Mandato allo sbaraglio a combattere, a uccidere per non morire. In quel contesto si ritroverà a dover compiere atti atroci che forse, in altri contesti non avrebbe mai avuto il coraggio di eseguire.
IL VALORE DELLA FEDELTA'
Devota all'idea di essere la sua donna, a rispettare l'impegno , nonostante Bube le avesse detto di ritenersi libera, data la sua imminente fuga e la separazione che li avrebbe coinvolti. La devozione di Mara a quel sentimento diviene impegno di fedeltà. «I miei sentimenti non c’entrano nella decisione che ho preso: io… sono la ragazza di Bube». La fedeltà è il sentimento che permea il romanzo di Cassola: quella che ha Mara nei confronti di Bube, quella del padre verso il comunismo, quello di Bube verso il partito e i suoi compagni. E anche verso la sua stessa Mara. Quei brevi incontri tra i due amanti segnano il destino dei personaggi dichiarando il legame che li unirà fino alla fine nonostante le circostanze avverse. L'amore, dunque come epifania esistenziale. Come legame profondissimo. Come espressione semplice proferite dai semplici: «Ascoltami: quando saremo sposati , non saremo più due , ma una persona sola. Saremo felici insieme. Per esempio, se ti farà male un dente, anch'io sentirò male a un dente...oh, Bubino, ma tu ti annoi coi miei discorsi. E hai ragione, sai... Dice tante sciocchezze la tua Mara... Ma non gliene devi volere. Perché sono sciocca, è vero, ma in compenso ti voglio tanto bene... mi sembra di non poterlo contenere il bene che ti voglio.»
Calvino commenterà il libro di Cassola: c’è un tema, quello della fedeltà, tenuto su un filo di coltello tra il sentimento popolare e l’assurdo, da togliere il fiato. Il valore del libro è in questa tensione poetica ed esistenziale, e quindi morale, e quindi storica; non direi vada cercato su un piano politico immediato, di giudizi direttamente espressi o di comportamenti rappresentati. Cassola, discepolo di Flaubert, mette in bocca ai suoi personaggi frasi del parlare comune, pensieri convenzionali, idee ricevute; per stare alle regole del gioco, si suppone che di queste idee l’autore non partecipi, che le registri con distacco; e salvi, o condanni, di là delle apparenze della cronaca, una verità non detta che può celarsi anche nei cuori più semplici.
CRITICHE A CASSOLA
Il 28 giugno alla presentazione dei finalisti del premio Strega nel 1960, con un attacco di violenza letteraria inaudito, lo scrittore, Pier Paolo Pasolini, interviene parlando de "La morte del realismo". Prende la parola estrae un fascicolo di versi dalla tasca e, quasi fosse un'ode shakesperiana, come lui stesso la definisce, dice: L’eletto Cassola vivacemente attesta ch’esso era ambizioso: se così fosse sarebbe, questo, un gran demerito, ed equa quindi, la sua fine. S’egli lo concede – e Cassola è un rispettabile scrittore - tutti i neo-puristi son rispettabili scrittori - son venuto qui io a parlare della morte del realismo italiano.
L'ode va avanti rancorosa nei confronti dello scrittore romano, ma Pasolini non sarà l'unico a schierarsi contro lo scrittore. A questo suo intervento seguiranno anni di polemiche letterarie che nell'immediato vedranno Sanguineti, in occasione del convegno del Gruppo 63, alzare la polemica ed anche un politico come Togliatti, esprimersi negativamente che lo definì lo scrittore come “un diffamatore della Resistenza". Le accuse a Cassola sono state rivolte per aver scritto un romanzo reazionario, che denigra la lotta partigiana. La coesistenza della dimensione esistenziale ne La ragazza di Bube accanto a quella resistenziale è stato un tema frequente nella critica al romanzo. Tutti gli studiosi osservarono, infatti, come l’elemento La ragazza di Bube di Carlo Cassola tra Resistenza ed esistenza esistenziale contrassegnò e arricchì il romanzo accanto al tema politico e storico della Resistenza. La ragazza di Bube attira le critiche dei neorealisti, della cultura marxista e di Pasolini che dirà di avere “sempre stimato non molto, moltissimo” Cassola e di averlo sempre letto “sin dal suo primo libro”, ma Cassola gli è odioso in quanto socialista. Lo stesso Pasolini sarà infatti il testimone, l'avvocato letterario di Italo Calvino in concorso allo Strega con il suo " Il cavaliere inesistente".
Secondo Giuliano Manacorda Invito alla lettura di Carlo Cassola: “La storia, egli dice, lo interessa quando viene a casa sua e non quando, storicisticamente, si presenta come il tutto, come una sorta di ipersoggetto che comprende e travolge il destino dei singoli. Si prendano il fascismo e la Resistenza; essi non vengono entificati, non vengono astratti in un senso staccato dalle sorti individuali […], la Resistenza è la condizione amletica tra esaltazione e depressione in cui vive Fausto o l’utopia della violenza in cui la vive Bube; e la restaurazione che le succedette e l’attesa di Mara che sconta nella sua pazienza, maturata nelle prove della vita, le grandi lotte della storia”32
... TRATTO DA UNA STORIA VERA
La vicenda narrata da Carlo Cassola nasce da un fatto di cronaca vera. Nada Giorgi era la Mara Castellucci del romanzo, ma contro la storia così come l'aveva raccontata lo scrittore Carlo Cassola, lei non smise mai di lottare. Non accettava che il suo Bube, nel romanzo Arturo Cappellini, nella realtà Renato Ciandri, fosse descritto come il colpevole del duplice omicidio maturato nell'ambiente partigiano nel 1945 a Santa Brigida (nei pressi di Pontassieve) quando venne ucciso, in seguito a una lite, un maresciallo dei carabinieri e suo figlio.
"Gli elementi essenziali della storia sono veri. Il viaggio in corriera di Bube e Mara lo feci anch’io in compagnia di Bube e della sua ragazza, cioè delle persone vere da cui ho tratto i personaggi del romanzo. - aveva commentato in un'intervista lo scrittore - Il vero Bube lo conoscevo appena. La ragazza l’ho conosciuta su quella corriera. Avvenne nel ’45 e quindi nei suoi lineamenti essenziali la storia è vera. Vero il fatto del maresciallo, vere le botte al prete. Mi colpì l’incoscienza di Bube e della fidanzata. La confessione che Bube nel romanzo fa a Memmo, in realtà la fece a me”.
Cassola non presenta al lettore un romanzo di cronaca. La storia personale del giovane “Ciandri-Bube” innesta tutto l’intreccio del rapporto tra Bube e Mara che, pur esistendo veramente, fu un personaggio “inventato” nel senso che non ricorse a nessuna connotazione fisica o morale della vera ragazza. “Della ragazza avevo un ricordo molto vago, a ogni modo ero consapevole di star commettendo dei falsi: fisicamente non era in quel modo, e non era in quel modo nemmeno moralmente. - dirà in un'intervista , Cassola - Ma a me serviva un personaggio che all’inizio fosse completamente inconsapevole e completamente in balia della vanità e della civetteria: una sorta di bestiolina amorale. Per mostrare appunto come l’esperienza dell’amore e soprattutto del dolore la maturi, facendone quasi un’altra persona”.
CONCLUSIONI
Il romanzo di Cassola nonostante la collocazione storica precisa, per i valori e gli ideali narrati, sembra essere senza tempo. Descrive il mondo contadino della Valdelsa, povero e selvaggio, bucolico e distrutto dalla brutalità fascista, salvato dalla resistenza. In mancanza di una morale oggettiva, quella soggettiva diventa un atto privato e la più giusta, almeno per se stessi. L'amore veglia il dolore e la mancanza, ricostruisce una pacificazione politica, esistenziale, affettiva e resistenziale, non senza ferite e sangue, ma è con Mara che la Resistenza prosegue, in quell'atto di fede, quella semplicità che desidera restare umana: nella Resistenza di Mara, la fedele ragazza di Bube.
Margherita Ingoglia
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