Ieri è morto il bibliotecario, il poeta, ma soprattutto l’amico, Antonio Morelli. A farci conoscere era stato un libro di Sbarbaro, poeta di nicchia, inusuale per i tavoli della biblioteca dove ogni giorno lavorava, un libro che ha destato la sua curiosità: "Oh come mai leggi Sbarbaro? Grande poeta", queste furono le prime parole che mi rivolse.
Si perché lui sembrava non essere interessato a nessuno, indaffarato si aggirava frenetico con i libri da riporre sugli scaffali della biblioteca, raramente degnava di uno sguardo il passante di turno; eppure era attentissimo a cosa leggevi. La letteratura era il grande amore della sua vita, divorava letture ad un ritmo impressionante e più volte ripeteva "che i soldi bisogna spenderli solo per i libri". Se anche tu amavi leggere meritavi le sue attenzioni.
E così proprio come il nome di quella raccolta di Sbarbaro, ‘Pianissimo’, è nata un’amicizia ‘letteraria’, ma soprattutto umana. E proprio la seconda è stata il vero regalo che mi ha fatto, una presenza che resterà incisa nella mia memoria. Quando mi fece leggere alcune sue raccolte rimase colpito delle mie osservazioni: “Omamma, ci hai preso, sono io”, mi disse contento. Era la prima volta lo vedevo emozionato e ricordo che rimase per ore sul mio volto il solco di un sorriso spontaneo, come quando un bambino dice una cosa tanto profonda, ma semplice, da suscitare tenerezza e ammirazione allo stesso tempo. Perché Antonio era una persona vera e ogni cosa che sentiva era così pura da toccarti direttamente l’anima, come la sua poesia. Mi chiese di fare la prefazione della sua ultima raccolta 'Asfodeli e Avvertimenti' e accettai con enorme piacere: così imparai a conoscerlo bene, intimamente, attraverso i suoi versi e attraverso le giravolte di emozioni che esplodevano ad ognuno degli incontri fatti per presentare il libro.
Era una persona buona Antonio, sempre attenta a fare la cosa giusta e a non contrariare nessuno. Sempre corretto con tutti, trasformava sciocchezze, piccoli sgarbi o incomprensioni con l'altro, in un profondo senso di colpa, ingiustificato: "Avrò fatto bene a comportarmi così?" chiedeva sempre sperando di ricevere un si come risposta. Per lui l'amicizia era importante e lo ha dimostrato mettendo sempre l'altro al primo posto: "come ogni poeta io sono egocentrico" amava ripetersi, ma come diceva lui stesso "i poeti sono dei gran bugiardi", e questa era la sua più grande bugia.
Nonostante le sua "vocazione a far calare una scure di negatività su tutte le cose", come gli ripetevo scherzosamente, era un gran giocherellone. E nonostante una poesia che gli rimproveravo con un sorriso di essere "troppo triste", era un uomo pieno di gioia e di umorismo. Con lui ho riso, ho giocato, ho parlato di centinaia di poeti e scrittori, mi sono confidato e ho ascoltato: se ottenevi le chiavi per entrare nel suo mondo, quel mondo era colorato e accogliente.
Poesia ed amicizia erano le sue chiavi di lettura del mondo. Sono stato un suo amico per così poco tempo, ma è attraverso la sua poesia che mi ha concesso di scandagliargli l’anima, di creare un legame forte, vero, di perdermi in quel mare agitato e affascinante che era la sua esistenza. Perché Antonio era un poeta, lui si raccontava in versi, non con le parole, si raccontava con le emozioni e con i suoi gesti, non certo presentandosi in giacca e cravatta o creando un personaggio da vendere agli altri.
Caro Antonio, mi sono emozionato con la tua vicenda che era un po' la vicenda di tutti noi. Disegnavi sulla tavolozza della tua poesia un mondo a colori sconnessi, indecifrabili, ma pieni di sensibilità. Chi ti conosceva sapeva che dietro quell'uomo apparentemente schivo, spesso inopportuno, "misantropo" come ti definivi, c'era una persona dolce, gioiosa, sensibile, pronto ad aprire le porte del suo cuore per ogni passante che avesse superato le mura del castello che si era costruito intorno. Io incrociando la tua esperienza di poeta e di uomo, sono cresciuto come persona. Io, caro Antonio, per parafrasare una tua poesia: “ci avevo creduto alla favola tua”.
E la vita è davvero strana: quella poesia tanto sofferta, frutto di un rapporto difficile con il mondo, era riuscita, credo, a pacificarti con una realtà in cui avevi un po' di difficoltà a starci. Quella poesia era diventata la tua più grande 'tregua' con il mondo, i tuoi versi e il tuo essere poeta erano una mano tesa, un segno di pace verso la realtà. E con Asfodeli e avvertimenti, la tua maturità di poeta e di uomo, in questo ultimo anno, sentivo che accarezzavi seppur da lontano un po' di felicità.
Gli dicevo prendendolo in giro che “la prossima raccolta la farai senza usare 100 parole che ti do io, come morte, tristezza o angoscia”, e appena qualche mese fa mi disse con il suo tipico umorismo nero “la raccolta che sto scrivendo sarà la più felice che ho fatto, oddio felice è un parolone ma sto facendo dei passi avanti”. Si, stava scrivendo un'altra raccolta, "la più felice", che avrebbe pubblicato forse l'anno prossimo perché Antonio prima di tutto era "un instancabile poeta", così si definiva. L'uomo e il poeta erano la stessa cosa, l'uno non poteva esistere senza l'altro.
E fanno tremare le ultime parole che ci hai lasciato, la chiusura dell'ultima opera Asfodeli e Avvertimenti, le tue ultime parole da poeta: "M'inebrio/ e canto.../E canto/ ed e la fine.". Ma anche questa era un'altra bugia: l’uomo e il poeta continueranno a 'cantare', senza fine, nella nostra memoria. Addio Antonio e grazie.
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