Benito Mussolini non è più un cittadino di Empoli. A deciderlo è stato il consiglio comunale che ha approvato la mozione presentata dal sindaco Brenda Barnini. Solo il Centrodestra ha deciso di non partecipare alla votazione. La revoca ha suscitato i soliti sventolii di bandiere e le sempiterne polemiche di parte, sia nella politica che nella società civile.
Non ci girerò intorno: plauso all'iniziativa di Brenda Barnini, senza se e senza ma. Empoli ha finalmente ricucito una ferita storica che ancora sanguinava tra le carte dell'archivio comunale, ha chiuso definitivamente la porta di quella stanza della memoria in cui erano accatastate macerie, cenere e morte.
Una cittadinanza, quella a Mussolini, che faceva ancora più male perché "onoraria", cioè data ad una persona che si era "distinta particolarmente", ma solo per essere il responsabile "politico, morale e storico" (ipse dixit) delle sofferenze provocate della guerra. Non si tratta di ideologie: che si parli dei dei 55 deportati empolesi nei campi di sterminio, dei fatti di Piazza XXIV luglio, ma anche dei 123 morti sotto i bombardamenti degli Alleati di Santo Stefano o perfino dei morti per la causa fascista, tutte quelle sofferenze devono essere messe in conto alla figura di Benito Mussolini. Questa prima che una condanna politica o ideologica, è una sentenza dalla storia. Ed Empoli, Medaglia d’Oro al Merito Civile per la Resistenza, paese natale di partigiani come quel Remo Scappini che nel comitato di Liberazione della Liguria ricevette la resa delle truppe tedesche comandate dal generale Meinhof, un'offesa del genere non poteva accettarla. Anzi è triste che ci siano voluti quasi 75 anni per accorgersi che quella ferita era ancora sanguinante: è grave che le Amministrazioni non se ne siano accorte prima.
Si dirà, una trovata elettorale? Forse, ma se scambi l'ordine degli addendi il risultato non cambia. Può esserci una finalità elettorale data dalle elezioni alle porte, una strizzata d'occhio al mondo della sinistra antifascista, in primis Cgil, Arci e Anpi che su questo territorio sono capillarmente diffusi. Ed è altrettanto vero che il continuo riferirsi ad un fascismo trasformato in parodia viene usato come spauracchio dalla sinistra per risolvere la sua crisi d'identità, un modo per giustificare il proprio esistere politico e riallacciare (su base anacronistica) il rapporto ormai logoro con la propria base. Eppure la revoca della cittadinanza al Duce era un atto dovuto, importante.
E lo dico precisando che ad oggi non esiste alcun pericolo fascista. Fino a pochi decenni fa i neofascisti entravano nel parlamento che pochi anni prima avevano offeso con l'8% dei voti. L'Italia ha avuto il più forte partito che si ispirava direttamente al fascismo in Europa dopo il 1946, l'MSI, che ancora nel 1993 a Roma raccoglieva il 30% dei voti ( e solo in quel '93 la 'svolta di Fiuggi' e la creazione di Alleanza Nazionale avviarono il processo di allontanamento dall'ideologia fascista). Inoltre si tramava alle spalle dello stato con progetti eversivi e si mettevano le bombe. Quanto sembrano innocue, in confronto, le commedie messe in scena da alcune forze politiche oggi. È un paradosso: si iperinflaziona il termine 'fascismo' nel momento della storia in cui minore è la sua presenza. Si tratta di un appiattimento dei fenomeni in corso, una banalizzazione della storia.
Certo qualcosa sta accadendo: è in corso un processo di accentramento, uno scavalcamento del parlamento da parte dell'esecutivo, la tentazione a stabilire un rapporto diretto con la massa su basi carismatiche, mania di decisionismo, e soprattutto la tendenza a sostituire grandi narrazioni collettive con soluzioni semplicistiche cariche di emotività che toccano gli istinti individuali e primordiali del cittadino 'post-ideologico' (razzismo e intolleranza in primis). Ma tutto questo rientra il quel processo di rafforzamento autoritario dei regimi democratici che è sempre stato una delle aporie della democrazia stessa, semmai una premessa e non una conseguenza del fascismo. Cerco di essere più chiaro: i Farinacci, i Gentile, i Ricci, avevano ambizioni politico-sociali ben più grandi (e terribili) di un Salvini, di un Di Maio o di una Meloni, ma anche di un qualunque energumeno che porta una svastica in piazza e che guarda al fascismo solo come una galvanizzante struttura logica che lo legittima ad essere cattivo, un remix ‘pop’ di una ideologia che permette di uscire dalla mediocrità della società moderna sventolando una bandiera sbiadita.
Eppure dire che il fascismo è diventato una 'parodia' non significa che la democrazia è salva a prescindere, perché essa è una cosa umana e come tutte le cose umane è sempre a rischio, ed è questo il punto: non è un progetto fascista a preoccupare, ma l'arretramento culturale della democrazia come modello. Se siamo usciti da una dittatura più o meno totalitaria che si voglia, è grazie all'impegno dei Togliatti, dei De Gasperi, dei Bobbio e dei Calamandrei che da posizioni diverse e spesso conflittuali hanno educato un popolo uscito da venti anni di dittatura alla democrazia. Se il fascismo è debole lo dobbiamo anche al mondo della cultura e a quegli enti che come l'Anpi combattono affinché quel passato resti chiuso nel cassetto della storia promuovendo un'idea di comunità diversa. Non c'è un pericolo di ritorno del fascismo come progetto politico-culturale, ma stiamo sdoganando a poco a poco i presupposti ideologici che permisero di farlo nascere. Intolleranza, cinismo, lotta alla partitocrazia, razzismo, insofferenza verso la politica e le sue strutture istituzionali, nazionalismo e fascinazione per figure autoritarie capaci di 'incarnare' invece che rappresentare il popolo, ne sono solo alcuni esempi più evidenti. È l'edificio della democrazia che sta crollando, e dove ci sono macerie ogni tipo di fascismo consolida le sue basi.
Contro questa deriva culturale e contro il moderno autoritarismo populistico che ne cavalca l'onda (ancora irregimentato nelle gabbie democratiche), abbiamo un enorme bisogno di riaffermare l'antifascismo come valore, di riaffermare soprattutto che la nostra Repubblica è fondata su dogmi che vengono prima delle 'decisioni' del politico di turno e persino del popolo, che ama definirsi 'sovrano', ma che a volte preferisce cedere la sua sovranità ad un capo che sa sedurlo e compiacerlo.
Insomma dire che Empoli ha altre priorità significa guardare il dito invece che la luna. Un consiglio comunale che dura qualche ora non cambia il destino della città, permettere che si insinui attraverso una piccola crepa che Mussolini abbia il diritto di essere cittadino onorario si. La negazione del passato fascista è un prerequisito senza la quale nessun’altra proposta è legittima. La nostra Costituzione come 'legge delle leggi' che vincola diritti fondamentali sottratti alla mutevolezza delle maggioranze parlamentari è il frutto di un difficile compromesso tra posizioni diversissime e conflittuali che ribadivano un solo principio comune: quello della libertà e dell'uscita dal fascismo. Come un arco che trasforma in stabilità architettonica due spinte opposte, i costituenti hanno fatto da piedistallo alla democrazia e all'antifascismo. Ogni occasione è buona per ribadire questo fatto istituzionale, ogni occasione è buona per ribadire che essere "italiani" significa essere figli di quel patto.
Ed è altrettanto cieco dire che il passato appartiene al passato e non ha senso toccarlo. La storia è fatta di simboli, non solo fatti. Renan diceva che la Nazione, intesa nel suo senso più alto di comunità che condivide un percorso e un progetto sociale, si costruisce con un "plebiscito quotidiano" e che la memoria di una nazione deve “ricordare” e “dimenticare molte cose". Ecco oggi Empoli ha deciso di dimenticare che qui Mussolini fu celebrato, dimenticare che anche qui a causa sua ci fu morte e discordia tra italiani, dimenticare che anche qui la legislazione fascista voleva costruire l'uomo nuovo; ma ha deciso invece di ricordare che da quel buio è nata la nostra Repubblica grazie al sacrificio e all'impegno di 'uomini vecchi' chi in quel buio non volevano starci.
Probabilmente certi ambienti di destra hanno un vizio di gioventù: se nei vertici c'è il ripudio più o meno esplicito del fascismo, la figura di Mussolini resta forse un mito ricco di fascinazione man mano che si scende le scale e si arriva alla base. Un mito probabilmente svuotato delle sue implicazioni progettuali e che non genera direttamente un atteggiamento violento e liberticida, né la pretesa di vestirsi in camicia nera e marciare su Roma, ma pur sempre un totem che è difficile da toccare, arma dell'anticomunismo e collante identitario. Insomma ognuno ha le sue bandiere e ogni tanto bisogna falle vedere a chi da lontano non sente più il bisogno d'avvicinarsi.
Ma ridurre un tema tanto importante ad una gara tra sbandieratori è abbastanza squallido. Ed è un paradosso che da destra si affondi il coltello nella ferita della cosiddetta 'memoria divisa' usando a propri fini politici una lettura 'resistenziale' e in particolare comunista della Liberazione (una lettura questa considerata parziale e strumentale da molti storici moderni). Insomma si bastona i comunisti imbracciando la falce e il martello.
L’uscita dal fascismo in realtà fu un processo complesso: realizzazione, compromesso e anche tradimento di un percorso politico maieutico, carico di attese e di speranze, pieno di ostacoli e pericoli. Ma invece di sanare le ferite e vedere questo processo come il difficile approdo super partes a una forma di libertà e democrazia (seppur imperfetta), la si interpreta per scopi politici come un qualcosa appartenente solo alla sinistra, che non merita di essere rivendicata come un fatto nazionale. Le contraddizioni della Resistenza dovrebbero essere materia per gli storici e gli studiosi, risorsa per capire dove vogliamo andare e come arrivarci, non strumento di propaganda politica: il rischio è quello di insinuare una legittimazione a chi vuole tornare indietro.
Democrazia e libertà devono essere conquiste unanimemente riconosciute, la Liberazione proiezione mitopoietica della comunità che vogliamo essere, Mussolini simbolo di un passato da condannare. Questo prima di qualunque critica o dubbio su quanto si poteva fare e non è stato fatto. Invece la revoca della cittadinanza al Duce diventa motivo di polemica, così come il ricordo dei deportati della ex Taddei e i morti nei bombardamenti Alleati su Empoli. Ma questa è una cattiva messa a fuoco della storia: il punto però è capire se tutti, miopi e non, stanno guardando verso il futuro, o sono ancora rivolti al passato.
Tutte le notizie di GoBlog