Gottfried von Cramm, il nobiluomo che fu il primo eroe del tennis teutonico, fu arrestato dai nazisti il 5 marzo 1938. Molti anni dopo, fu dimenticato dal suo unico erede
Nel 1935, a soli 20 anni, l'americano Don Budge affrontò il suo primo Wimbledon. Contro il pronostico, aveva superato il n. 2 britannico Bunny Austin ed era atteso in semifinale da von Cramm, favorito per la vittoria finale, insieme all'idolo di casa Fred Perry. Von Cramm aveva uno stile celestiale, un servizio maligno e impeccabili colpi di rimbalzo, ma era il suo regale portamento a stregare il pubblico. Alto, atletico, capelli biondi sempre perfettamente pettinati all'indietro e penetranti occhi cerulei, era uso vestirsi per una partita come se avesse dovuto presenziare a un raffinato party in giardino. Ancora inesperto e verosimilmente in soggezione, Budge, che solo tre anni dopo sarebbe diventato il primo uomo a realizzare il Grande Slam (la vittoria nello stesso anno solare dei quattro major), lasciò strada al quotato avversario, che però dovette a sua volta inchinarsi a Perry in finale.
Dal '34 al '37, von Cramm giocò sette finali su otto Slam disputati, vincendone due, entrambe in Francia, perdendo le altre da Perry e anche da Budge, dopo che il rampante yankee era uscito dalla sua ombra. Pur potendo vantare un lignaggio che risaliva addirittura al XII secolo, il Barone Gottfried Alexander Maximilian Walter Kurt von Cramm non era altezzoso e scostante, anzi sovente evitava di dichiarare il proprio titolo nobiliare e ometteva l'aristocratico "von" dal nome. Il suo più grande assillo era compiacere il pubblico con un gioco spettacolare e condursi secondo il più cristallino fair-play. Ancora oggi si tramanda come prova incontestabile della sua sportività quanto successe in quello stesso 1935, durante un match di Coppa Davis fra Germania e Stati Uniti. In parità dopo i due singolari d'apertura, gli americani Allison e Van Ryn stavano combattendo contro von Cramm e Lund. Giunti al quinto set, i tedeschi si issarono al match-point: sulla palla decisiva, von Cramm e Lund si lanciarono entrambi su un colpo che sfrecciava in mezzo al campo; il Barone parve non raggiungerlo, ma Lund arpionò la palla e la spedì oltre la rete con un vincente. "Game, set and match", proclamò il giudice di sedia, con il solo risultato di suscitare la garbata protesta di von Cramm, il quale confessò che la palla, prima di essere colpita dal compagno, aveva scheggiato la sua racchetta. Il punto fu pertanto assegnato agli americani, che finirono per prevalere 8-6, aggiudicandosi poi il diritto di affrontare la Gran Bretagna in finale. Il capitano tedesco Heinrich Kleinschroth andò su tutte le furie e accusò il suo miglior giocatore di aver gettato discredito sul suo paese. Solitamente affabile e infinitamente cortese, von Cramm lo trafisse con uno sguardo glaciale: "Quando ho scelto il tennis - replicò - l'ho fatto perché era il gioco dei galantuomini e questo è il modo in cui ho sempre giocato. Lei pensa che avrei dormito stanotte avendo nascosto che la palla aveva toccato la mia racchetta? Certo che no, perché avrei così violato gli stessi principi che stanno alla base del tennis. Io non ho deluso la Germania, al contrario l'ho onorata oggi più che mai!"
Nel mezzo degli anni '30, la Germania non era però il paese adatto per esternare tali opinioni. Non era governata da aristocratici prussiani, ma da un demagogo austriaco la cui idea di fair play consisteva nell'uccidere gli oppositori, perseguitare le minoranze e aggredire i paesi vicini. Von Cramm sapeva di camminare su un crinale sottilissimo. Aveva già offeso i nazisti per aver protestato contro l'esclusione dalla squadra nazionale dell'ebreo Daniel Prenn, suo abituale partner di doppio; su un giornale inglese aveva definito il Führer un rozzo “imbianchino” e soprattutto resisteva alla pressanti richieste di iscriversi al partito. Hermann Göring, il numero due del regime, provò un'ultima volta, informando il Barone di aver disposto la cancellazione dei mutui ipotecari che giacevano presso le banche ebree: "Ora è libero", lo lusingò. "Una ragione di più per non iscrivermi", fu la secca risposta del nobiluomo.
Von Cramm era una figura amata da tutti i tedeschi e oggetto di venerazione all'estero, un immacolato cavaliere bianco in mezzo a barbari malvagi. Nessuno, tuttavia, poteva dirsi al riparo dalle persecuzioni e i nazisti rimasero in attesa del giusto pretesto per vendicarsi.
Mentre il regime piantava e consolidava le basi dello stato totalitario, von Cramm era all’apice della carriera. Nel 1937, perse di nuovo la finale di Wimbledon dall’emergente Budge e in quella stessa estate disputò, sempre contro il giovane americano, quella che autorevoli esperti considerano la più bella partita di tutti i tempi.
Di nuovo sulla prestigiosa erba dell’All England Club, i due si sfidarono nella finale inter-zona della Coppa Davis, per conquistare il diritto a giocarsi il trofeo contro i detentori inglesi. Quell’incontro ebbe ripercussioni che andarono ben oltre il tennis: il Führer voleva che la Germania conquistasse l’agognata “insalatiera” per la prima volta, mentre gli USA desideravano ardentemente ristabilire il proprio ruolo di dominatori del gioco, da oltre dieci anni messo in discussione dalla Francia e dai britannici. Questi ultimi attendevano l’avversario per rimettere in palio l’ambita supremazia tennistica, ma era opinione comune che non avrebbero avuto scampo né con i tedeschi, né con gli statunitensi, dato che l’imbattibile Fred Perry non era più schierabile perché divenuto professionista – il tennis era ancora uno sport dilettantistico e coloro che passavano professionisti venivano esclusi dai tornei della Federazione internazionale, una situazione che sarebbe rimasta immutata fino al 1968.
Von Cramm e Budge scesero in campo il 20 luglio 1937, sul punteggio di 2-2: il loro singolare avrebbe quindi determinato l’esito della contesa. Si trattava di due giocatori che nutrivano l’uno per l’altro una sincera ammirazione. Il sottile ragazzone americano, figlio di un fattorino di Oakland, con i capelli rossi e le orecchie a sventola, era divenuto l’immagine riflessa del distinto aristocratico mitteleuropeo. Impeccabile nell’abbigliamento e correttissimo sul court, era però un atleta più potente, capace di scagliare imprendibili ace e autentiche saette da fondo campo.
In attesa dei due campioni, già sedevano in tribuna la regina Mary, l’ambasciatore tedesco a Londra, Joachim von Ribbentrop, e il ministro dello sport del Terzo Reich, Hans von Tschammer und Osten. Cotante autorità dovettero aspettare per qualche minuto di troppo, perché il Barone fu bloccato negli spogliatoi da una telefonata proveniente da Berlino, che Budge origliò involontariamente, udendo il suo avversario rivolgersi all’interlocutore con l’inequivocabile "Ja, mein Führer".
Se quella chiamata fu veramente opera del dittatore nazista, non turbò di molto la concentrazione di von Cramm, che cominciò con grande scioltezza, aggiudicandosi il primo set per 8-6 e il secondo per 7-5.
Sull’orlo del tracollo, Budge trovò la chiave per incrinare l’altrui sicurezza e con sorprendente facilità pareggiò il conto con un 6-4, 6-2. Nella quinta e decisiva partita, von Cramm partì fortissimo e salì 4-1, capitalizzando il suo servizio arcuato, che spingeva Budge fuori dal campo. Consapevole di dover rischiare il tutto per tutto, l’americano fece un passo dentro la riga di fondo e decise di rispondere di contro-balzo con il suo stupendo rovescio. L’azzardo cambiò l’inerzia del match. Von Cramm vacillò e la pressione psicologica mandò in frantumi la sua prima palla: sulla seconda, perse un punto dopo l’altro, non riuscendo a tenere il rivale lontano dalla rete. Proseguirono appaiati fino al tredicesimo game, quando Budge strappò la battuta al tedesco e andò a servire per l’incontro. Al quinto match-point, Budge sparò un passante di rovescio in precario equilibrio che superò la racchetta protesa del Barone e terminò la sua corsa a un palmo dall’incrocio delle righe: riverso sull’erba a faccia in giù, l’americano capì dal boato del pubblico di aver trionfato.
Von Cramm si precipitò verso la rete con un sorriso smagliante, come se fosse stato lui l’autore di quel colpo meraviglioso, e si congratulò con tutto il cuore: "Don, questa è stata in assoluto la più bella partita della mia vita e sono felice di averla giocata contro di te". I due uomini si abbracciarono, sull’orlo delle lacrime per l’emozione.
Il Barone aveva una volta ancora dimostrato la sua inarrivabile signorilità, ma proprio mentre rientrava negli spogliatoi, i nazisti stavano già orchestrando la sua caduta.
In settembre, von Cramm e l’altro singolarista Heinrich Henkel solcarono l’oceano. Vinsero il doppio a Boston e von Cramm cedette la finale dello Slam newyorkese ancora a Budge. Passarono poi a Tokio e in Australia, dove il Barone ripeté le sue critiche al Terzo Reich a giornalisti ansiosi di conoscerne il parere sul sempre meno commendevole regime hitleriano.
I giocatori tornarono in Germania il 4 marzo 1938, senza nessuna accoglienza. Von Cramm rincasò nel castello di Brüggen, dove l’indomani fu raggiunto da due agenti della Gestapo che lo posero in arresto: era accusato di aver intrattenuto una relazione omosessuale con l’ebreo Manasse Herbst, cui aveva pure spedito del denaro dopo che questi era riparato a Parigi, e per questo dovette rispondere anche di contrabbando di valuta. La madre Jutta visitò tutti gli amici influenti che poteva mobilitare, incluso Göring. L’umile pellegrinaggio non evitò la condanna, ma forse alleggerì la mano del giudice, che inflisse all’imputato 12 mesi di carcere. Sull’asservita stampa nazionale, non fu spesa una parola sulla vicenda, ma il New York Times pubblicò la storia e immediatamente Don Budge si mise alla testa di 25 personalità dello sport, che firmarono una petizione in favore di von Cramm.
Nell’ambiente tennistico tutti sapevano che von Cramm era gay, al pari del suo allenatore, l’assai meno discreto e vecchio dominatore del circuito, l’americano Bill Tilden. L’omosessualità era un reato perseguito dal paragrafo 175 del codice penale tedesco, in vigore fin dal 1891. I nazisti si erano limitati a estenderne la portata e a incrementare le pene relative, ma nella materia erano in buona compagnia: il trasporto erotico per il proprio sesso era un crimine anche nell’assai più democratica Inghilterra, e la norma persecutoria fu completamente abrogata in Germania solo nel 1994, dopo la riunificazione.
Il Barone fu liberato dopo cinque mesi. Accettò subito l’invito di re Gustavo di Svezia, che era stato qualche volta suo compagno di doppio, e riprese a giocare sotto le insegne della casa reale svedese. Nel giugno 1939, vinse il torneo del Queens Club, sconfiggendo agevolmente in semifinale l’americano Bobby Riggs, che poi avrebbe trionfato a Wimbledon, cui von Cramm non fu ammesso per il passato “criminale”.
Due mesi dopo, Hitler accese la miccia della Seconda guerra mondiale, invadendo la Polonia. Von Cramm tornò in patria e fu coscritto come soldato semplice. Partecipò alla campagna di Russia, patì un principio di congelamento e fu ricoverato a Varsavia, quindi fu congedato con disonore. Probabilmente fu lasciato andare perché sospettato di intelligenza con il nemico e con qualche mistero scampò anche alla feroce rappresaglia che le SS inscenarono dopo il fallito attentato alla vita del Führer del 20 luglio 1944, per quanto fosse in costante contatto con molti dei cospiratori.
Dopo la guerra, avviò un’impresa che commerciava il cotone egiziano in Germania e continuò a giocare a tennis. All’età di 42 anni, nel 1951, fu di nuovo ai nastri di partenza di Wimbledon, venendo estromesso da Jaroslav Drobny, fresco vincitore del Roland Garros. Quell’apparizione londinese lasciò il segno soprattutto per la sua accompagnatrice, la ricchissima ereditiera e filantropa Barbara Hutton, che aveva alle spalle già cinque matrimoni. Si conoscevano da ben più di un decennio e benché il Barone avesse scoraggiato qualunque intimità, la donna era pazza di lui e del suo fascino. Von Cramm non intendeva sposarla, ma era ben deciso ad aiutarla a liberarsi dalle dipendenze dall’alcool e dalle droghe. Così acconsentì al matrimonio, che fu celebrato l’8 novembre 1955. L’unione durò soltanto fino al gennaio 1960, ma fu comunque la più lunga di quelle che Hutton aveva già contratto, con due principi, un conte, l’attore Cary Grant e il noto playboy dominicano Porfirio Rubirosa.
Von Cramm tornò a tempo pieno al tennis e agli affari, che prosperarono come non mai mentre la Germania attraversava una lunga fase di boom economico.
Molti anni dopo, il 9 novembre 1976, il Barone ordinò all’autista di portarlo dal Cairo ad Alessandria, dove doveva incontrare uno dei suoi principali fornitori di cotone. La strada era dritta come una spada e percorsa da pochissimi veicoli. Von Cramm si accomodò al posto del passeggero, com’era solito fare: desiderava infatti conversare con il suo autista e occupare il sedile posteriore gli era sempre apparsa un’eccessiva forma di ostentazione.
All’improvviso, la strada sgombra fu invasa da un camion militare, che aveva mancato una svolta per dirigersi a una stazione di servizio. L’impatto fu violentissimo: l’autista perì sul colpo e von Cramm non sopravvisse alle ferite sull’ambulanza che lo trasportava in ospedale.
Non molto tempo dopo, tutti i trofei che von Cramm aveva solo potuto sfiorare, furono assicurati alla Germania da un prestante ragazzone meno raffinato, ma con altrettanto talento. Il 17enne Boris Becker si rivelò al mondo il 7 luglio 1985, diventando il più giovane vincitore di Wimbledon di tutti i tempi, oltretutto assicurandosi il prestigioso titolo senza essere testa di serie. Congratulato dai giornali di tutto il pianeta, Becker ebbe un pensiero per i suoi connazionali: “Sono il primo tedesco a vincere qui e credo che questo cambierà il tennis in Germania, dove non abbiamo mai avuto un modello da ammirare; forse ora gli appassionati ne avranno uno”.
Se fosse stato in vita, proprio quel giorno il Barone Gottfried Alexander Maximilian Walter Kurt von Cramm avrebbe compiuto 76 anni e certo avrebbe commentato con la consueta signorilità lo svarione del suo giovane epigono.
Paolo Bruschi