Il 9 febbraio 1992, la stella dei Los Angeles Lakers giocò l'All Star Game della NBA e lanciò un messaggio di speranza a tutti i malati di AIDS
Nella pallacanestro vige la regola del tempo effettivo. Frazioni di secondo possono decidere gli esiti di una partita. Per questo sovente si accendono discussioni al tavolo del cronometro e intorno al tabellone del canestro un neon si illumina allo scadere del tempo, in modo che sia più facile capire se l'ultimo tiro è stato scoccato prima o dopo il suono della sirena. Quando mancavano ancora 14 secondi al termine, durante l'NBA All Star Game del 1992, Magic Johnson centrò la retina da dietro la fettuccia dei tre punti, dando all'Ovest un vantaggio incolmabile di 153-113. Nell'arena degli Orlando Magic, il campione dei Lakers innescò un'ovazione con il suo sorriso contagioso e tutti i giocatori entrarono sul parquet per congratularlo e abbracciarlo.
Quello che rese il momento memorabile fu che solo tre mesi prima, il 7 novembre 1991, Johnson aveva annunciato al mondo di essere siero-positivo. All'epoca, l'AIDS portava con sé lo stigma della colpa e della vergogna, poiché era considerata il flagello che falciava gli omosessuali e i tossicodipendenti. L'annunciò di Magic segnalava che anche gli eterosessuali erano a rischio. Magic non aveva l'AIDS, ma aveva contratto il virus dell'HIV e decideva di ritirarsi per sottoporsi a delle cure che all'epoca nessuno sapeva se avrebbero avuto effetto. Qualche settimana dopo, sarebbe morto Freddie Mercury e un paio d'anni più tardi il celebre danzatore Rudolf Nureyev: a soli 32 anni, il n. 32 dei Lakers pareva quindi condannato a morte. Magic, col suo inconfondibile sorriso, disse invece che aveva in programma di vivere ancora a lungo.
Nei mesi successivi, gli appassionati di basket di tutto il paese votarono in massa perché Magic partecipasse all'annuale partita delle stelle, nonostante stesse già sottoponendosi alle terapie anti-AIDS. Non tutti, peraltro, desideravano che giocasse. Per ignoranza, per pregiudizio e per timore, alcuni colleghi, il più noto dei quali fu Karl Malone degli Utah Jazz, espressero la loro contrarietà, fino a che Isiah Thomas, la guardia dei Detroit Pistons da lungo tempo amico del play losangelino, convocò un incontro fra i giocatori, che espressero il loro benestare al ritorno in campo di Johnson.
Il giorno della gara, il 9 febbraio 1992, Tim Hardaway rinunciò al suo posto nel quintetto titolare dell'Ovest e Magic fu sul parquet fin dalla palla-a-due: Thomas lo salutò baciandolo sulla guancia. Alla fine, segnò 25 punti, incluse tre "bombe" nell'ultimo minuto, guadagnandosi per la seconda volta in carriera il titolo di miglior giocatore della partita.
Il significato di quell'All Star Game andò ben oltre la prestazione stellare del suo inaspettato protagonista. Magic inviò un messaggio di speranza a milioni di malati di AIDS, infuse loro la fiducia che potevano vivere una vita normale pur avendo contratto il virus. Il 42esimo All Star Game educò il mondo e fu la prima, salutare medicina per Magic, che 27 anni dopo ha ancora molto tempo davanti a sé. I tifosi dei Lakers sperano che saprà impiegarlo per riportare la franchigia californiana ai vertici della Lega professionistica.
Paolo Bruschi