"Dopo la scuola e la famiglia, lo sport è l'agenzia formativa più importante per i nostri giovani. Se le persone che gravitano attorno al mondo sportivo avessero piena coscienza della loro responsabilità, forse si comporterebbero diversamente. Purtroppo non è sempre così. La cronaca quotidiana ci porta agli occhi e alla testa episodi di vita sportiva che con lo sport e le sue regole ataviche hanno poco a che fare. Cori razzisti, violenza, intolleranza per il diverso, mancanza di rispetto per la giustizia (sportiva); chi dovrebbe dare l'esempio, troppo spesso non lo dà (il comportamento di Buffon dopo la partita con il Real Madrid dello scorso aprile dovrebbe essere portato a perenne memoria di come un campione sportivo di fama mondiale NON dovrebbe comportarsi), e i nostri ragazzi sono troppo spesso esposti a esempi nefasti, senza peraltro avere gli strumenti per discernere ciò che è giusto da ciò che è sbagliato.
Il bello dello sport, però, è che ogni tanto, su qualche campetto di periferia, si accende una luce, flebile e tenue, che ci fa capire quanto il nostro mondo, nonostante il decadimento dei costumi che lo attanaglia alla gola, ancora resista. Non tutto è perduto. Ragazzi sconosciuti come Marco Giatti, con gesti semplici ma dall'eco roboante, ogni tanto gettano un sasso nella palude stantia del "così fan tutti" e della "ipocrita normalità" sportiva. Marco lo ha fatto in quel di Brescia, ritirando la sua squadra di bambini (under 13) da una partita di pallacanestro per un comportamento inqualificabile dei genitori; poco importa se fossero i genitori dei suoi ragazzi o degli altri. L'importante era dare un segnale; in questo caso era anche un segnale di esistenza in vita dell'etica sportiva.
Marco ha detto ai suoi ragazzi che certi valori non possono essere barattati con niente, facendo loro capire che delle proprie scelte bisogna anche assumersi le responsabilità, subendone, se necessario, le conseguenze.
Cos'altro è se non scuola di vita? E quanta distanza c'era tra quel gesto giovane, quasi rivoluzionario, e la grigia burocrazia degli organi di giustizia sportiva.
Ci sono persone che come Marco non ci stanno ad abdicare alla deriva etica del mondo sportivo. Sarebbe forse l'ora che le istituzioni sportive non le lasciassero più sole”.
Alessandro Scali presidente Uisp Empolese Valdelsa
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