Oggi, sulla pagina locale di una testata nazionale, sono comparsi stralci di una lettera che come rappresentanti degli studenti e dei dottorandi avevamo inviato il 5 dicembre scorso al Direttore della Scuola Normale Superiore Vincenzo Barone per richiedere la convocazione della Conferenza d'Ateneo, organo più largo ed inclusivo di cui disponga la Scuola.
Questa lettera verteva principalmente sulla nascita della Scuola Normale Meridionale, tema di cui i giornali parlano oramai da giorni.
Avremmo voluto che questa lettera rimanesse nel quadro della normale dialettica interna all'istituzione. Essendo però filtrata all'esterno, ci sentiamo in dovere di inviarla nella versione completa perché nessuna delle nostre parole possa essere estrapolata dal contesto in cui è inserita e strumentalizzata.
I rappresentanti degli studenti e dei dottorandi in Conferenza d'Ateneo e al Senato Accademico della Scuola Normale Superiore
Gentile Direttore, gentili membri della Conferenza d'Ateneo,
vi scriviamo in qualità di rappresentanti degli allievi in Conferenza d'Ateneo, fiduciosi che quest'organo possa costituire uno spazio di confronto, come recita lo statuto, "per la discussione su questioni generali di carattere strategico". Chiediamo perciò una riunione, che dalle elezioni di alcuni mesi fa non è ancora stata convocata. Ci sembra infatti che negli ultimi tempi siano emerse questioni che meriterebbero una discussione ampia: l'esigenza di una maggiore integrazione tra le sedi e le Scuole, uno sviluppo della didattica e della ricerca interdisciplinare, un bilancio sul modello di reclutamento.
In particolare, vorremmo riflettere su una vicenda che ha avuto negli ultimi tempi ampia risonanza.
Abbiamo letto a mezzo stampa le caratteristiche che il governo vorrebbe dare alla futura Scuola Normale Meridionale con sede a Napoli, per la quale un emendamento dell'esecutivo, il 32.015 presentato domenica 2 dicembre in Commissione Bilancio della Camera dei Deputati, oltre a definire un assetto istituzionale altamente opinabile per il nuovo Istituto stanzia altresì poco meno di 50 milioni di euro come sperimentazione triennale. Qualora la sperimentazione venisse riconosciuta come positiva dall'ANVUR (elemento peraltro nuovo e che supera gli attuali poteri dell'Agenzia), la nuova Scuola diventerebbe indipendente in forme ancora non note, in caso contrario verrebbe chiusa e la sede pisana sarebbe incaricata ex lege di svolgere le funzioni di liquidatrice.
In questi mesi né il coinvolgimento della Scuola in quest'iniziativa, né le modalità della sua attuazione sono state discusse con la comunità della Normale. L'assenza di comunicazione su un tema così importante ci ha costretto a confrontarci con la notizia sulla stampa, senza avere la possibilità di porre domande o condividere le nostre opinioni nel merito. Vorremmo avere quindi un momento di discussione generale, in cui riflettere sui seguenti temi:
Perché aprire una nuova Scuola Normale?
Vi è un problema di iscrizioni dal Sud Italia? Oppure Pisa non è più in grado di garantire un alto livello di visibilità internazionale? O, ancora, si crede che solo l'ipertrofia dell'eccellenza sarà in grado di permettere un rilancio del sistema universitario italiano? Le domande potrebbero continuare all'infinito, ed ognuna porterebbe con sé un diverso modo di attuare, o meno, l'espansione della Normale.
Questa Legge Finanziaria, mentre con una mano stanzia risorse extra per la nascita della nuova Scuola a Napoli, con l'altra mano ne sottrae al sistema universitario italiano riducendo il limite al fabbisogno degli Atenei. In questa prospettiva, mentre la desertificazione dell'Università italiana avanza, la risposta della Scuola rischia di essere solo quella di aumentare il numero di oasi. Insomma, una risposta congiunturale e di breve periodo che va bene solo per quella minoranza che in quelle oasi è chiamato a rimanerci. Per tutti gli altri, invece, dagli studenti ai dottorandi, dagli assegnisti ai ricercatori, rimane la certezza di una traversata di un deserto che diventa giorno dopo giorno più desolante, in cui, ad oggi, il 92% dei dottorandi in uscita sa che sarà prima o poi espulso dal mondo dell'università e della ricerca. Siamo quindi sicuri che queste risorse extra non possano essere investite altrimenti?
Come strutturare l'espansione della Normale?
Con l'acquisizione della sede di Firenze la Scuola ha aggiunto dei campi di ricerca di cui non disponeva: è infatti nata una terza classe che si è aggiunta a scienze e lettere. Nel caso di Napoli ciò non succederà. I corsi che sono paventati sono ultra-specialistici, tutti portatori di tematiche molto affascinanti ma... qual è il modello di governance, di didattica, di reclutamento e di diritto allo studio?
Problema di democrazia e idea di governo.
I nuovi corsi risponderanno alle classi con sede a Pisa: come gestiremo democraticamente delle discussioni tra sedi distanti centinaia di chilometri? I corsi, in altri termini, saranno delle exclave isolate dai centri decisori e, allo stesso tempo, isolate tra di loro. Quale livello di trasparenza potranno attendersi i nuovi allievi o, più in generale, la comunità accademica della Scuola? Che rapporto avranno dipendenti distaccati presso quella sede? Che tipo di rappresentanza sarà quella di cui potranno direttamente disporre tali corpi? Ci domandiamo inoltre che ruolo avrebbe questa nuova sede nella federazione con il Sant'Anna e lo IUSS. Negli ultimi anni, infatti, la direzione della Scuola ha puntato ad uno sviluppo esogeno tramite una maggiore integrazione nella federazione (integrazione più al vertice che alla base). La costruzione di nuove sedi rappresenterebbe invece una svolta verso uno sviluppo endogeno della nostra istituzione: come questi due processi si integrano tra loro? Anzi: esiste una idea di integrazione o almeno complementarietà di tali due processi nella prospettiva di un progetto scientifico per le nuove aree di ricerca della nostra comunità?
Modello didattico
Inoltre, se l'iper-specializzazione finora paventata può andar bene per il dottorato, ciò non può andar bene per degli allievi ordinari che si affacciano per la prima volta alla formazione superiore. Quale sarà quindi il modello: a Pisa la formazione generalista, a Napoli la specialistica? Riteniamo che si debba invece pensare a delle sedi in cui la formazione di base si integri con la formazione avanzata. Un siffatto modello rischia di inseguire una formazione ed una ricerca sempre più parcellizzata. Nell'esasperare la specializzazione si potrebbero venire a creare dei contenitori poco flessibili scarsamente capaci di modificarsi nel tempo sulla base delle innovazioni scientifiche e pedagogiche che provengono dall'esterno.
Il reclutamento
Didattica significa anche reclutamento. Chi seguirà questi studenti/dottorandi? Il problema già si pone oggi con i nuovi corsi di perfezionamento. Sono i professori della Federico II ad essere responsabili, o sono invece quelli della Normale, che però insegnano a Pisa? Per la sperimentazione dei prossimi tre anni, come si pensa di reclutare? Saranno i docenti pisani che dovranno dividersi tra le due sedi, o vi sarà un reclutamento ad hoc? E come fare un reclutamento ad hoc, quando non si sa nemmeno se quella sede sopravviverà alla fine della sperimentazione triennale? Il modello scelto dalla Scuola è ormai da anni il restringimento delle carriere interne e la proliferazione di ogni sorta di contratto precario. Ciò che temiamo, è che l'espansione della Scuola rappresenti al tempo stesso un'ulteriore precarizzazione del personale: sarebbe anzi interessante comprendere chi sarà, da operatore tecnico o amministrativo, che sarà spostato o assunto o integrato in tale nuova sede a Napoli, che immaginiamo debba disporre di qualche servizio.
Il diritto allo studio
L'ultimo punto è quello relativo al diritto allo studio. La Normale si è sempre caratterizzata per le strutture, quali i collegi e le mense, che garantiscono il più alto livello di diritto allo studio in Italia. Saremmo pronti a garantire lo stesso livello già a partire dal prossimo settembre per la futura sede di Napoli? Già da quest'anno i nuovi dottorandi che hanno iniziato il loro percorso a Napoli non possono contare su alcuna mensa. Vi è, contrariamente alla situazione toscana, una mancanza totale di strutture. Siamo disposti a prenderci la responsabilità di lanciare una nuova sede senza le necessarie strutture?
Quali prospettive alla fine dei tre anni
Inoltre, se questa sperimentazione non dovesse andare a buon fine, che fine faranno gli studenti ed i dottorandi che intanto avranno cominciato il loro percorso a Napoli? Il rischio è di creare da una parte un vasto numero di ricercatori precari per sopperire ai bisogni didattici, dall'altra uno stuolo di studenti e dottorandi che, se la sperimentazione non portasse buoni frutti, si ritroverebbero totalmente allo sbando, senza più una sede, senza più docenti di riferimento.
Le nostre priorità
Come rappresentanti riteniamo che se vi sia davvero un'esigenza di costruire nuove sedi della Scuola, questa debba essere discussa con la massima trasparenza. Il tema della trasparenza diventa centrale per avere una democrazia che sia viva nelle mura della Scuola. Riteniamo inoltre che ben altri bisogni vadano sviscerati oggi per garantire un miglioramento futuro.
Speriamo che di questi temi, e non solo, si possa discutere al più presto in Conferenza d'Ateneo.
Cordiali saluti,
I rappresentanti degli allievi in Conferenza d'Ateneo
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