La ricerca, svolta in collaborazione con la Fondazione Stella Maris e pubblicata sulla rivista e-Life, ha rivelato per la prima volta la plasticità dell’area visiva primaria aprendo anche la strada a nuove cure per la sindrome dell’occhio pigro
Uno studio dell’Università di Pisa ha dimostrato che la plasticità del cervello degli adulti è maggiore di quanto sinora ritenuto e che la suscettibilità al cambiamento riguarda aree sinora ritenute “stabili” come quella visiva primaria. La scoperta apre la strada a una nuova comprensione di cosa succede al nostro cervello dopo una lesione e, potenzialmente, ad un nuovo approccio terapeutico per la sindrome dell’occhio pigro efficace anche negli adulti.
La ricerca, pubblicata sulla rivista eLife, è stata condotta da Paola Binda, Jan W. Kurzawski, Claudia Lunghi e Maria Concetta Morrone per il Dipartimento di Ricerca Traslazionale e Nuove Tecnologie in Medicina e Chirurgia dell’Università di Pisa e da Laura Biagi e Michela Tosetti per l’IRCCS Fondazione Stella Maris e per il centro di ricerca Imago7.
“Il cervello cambia ogni volta che impariamo qualcosa di nuovo, ma non tutto il cervello è plasmabile dall’esperienza - spiega Paola Binda - Mentre nei bambini c’è una riserva di plasticità in ampie regioni del cervello, negli adulti la maggioranza delle regioni cerebrali sembra essere immune al cambiamento; fra queste, si è pensato finora che le aree visive del cervello fossero particolarmente stabili. Il nostro studio ha dimostrato che anche la corteccia visiva di individui adulti può andare incontro a cambiamenti notevoli anche in tempi brevissimi”.
Per dimostrarlo, i ricercatori hanno sfruttato le più avanzate tecniche di neuroimmagine in combinazione con una manipolazione dell’esperienza visiva. Per questo hanno chiesto ad alcuni volontari di bendarsi un occhio per due ore, quindi usando la risonanza magnetica funzionale a campo ultra-alto, hanno misurato la rappresentazione di ciascun occhio, prima e dopo questo breve periodo di esperienza visiva anomala. Quello che hanno osservato è un cambiamento rilevante dell’attività nel cervello visivo, che ha amplificato la rappresentazione dell’occhio bendato per qualche minuto dopo la sua riapertura.
“L’applicazione di una benda monoculare è ad oggi il principale approccio terapeutico per la cura dell’ambliopia, o sindrome dell’occhio pigro: un deficit visivo che dipende dalla ridotta rappresentazione di uno dei due occhi al livello del cervello visivo – conclude Maria Concetta Morrone - Questa terapia è generalmente considerata possibile solo nei bambini, mentre sembra inefficace nell’adulto, ma i risultati ottenuti aprono nuove prospettive per la comprensione e la cura di questa condizione, e più in generale per lo sviluppo di nuove strategie che sfruttino il potenziale di plasticità del cervello adulto per la cura e la riabilitazione delle malattie del sistema nervoso centrale”.
Fonte: Università di Pisa
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