"Lunedì 12 il Comune di Pontedera, in particolare la biblioteca Comunale “Gronchi”, ha ospitato un dibattito su ciò che sta accadendo a Riace, località della Calabria salita alla ribalta delle cronache nazionali per il procedimento giudiziario a carico del sindaco, Domenico Lucano. Su di lui pende il sospetto che, insieme alla compagna, abbia architettato degli "espedienti criminosi, tanto semplici quanto efficaci", così si legge nelle carte delle indagini, volti ad aggirare la disciplina prevista dalle norme nazionali per ottenere l'ingresso in Italia di migranti. Tralasciando il costo dell’iniziativa, cui hanno partecipato anche due giornalisti, che sarebbe curioso sapere se e eventualmente quanto ha gravato sulle tasche dei Pontederesi, sorge spontanea una domanda. Per quale motivo la biblioteca di Pontedera deve dedicare spazio, tempo e risorse della collettività per parlare di un caso ancora in corso di accertamento da parte degli organi competenti, e per di più lontano centinaia di chilometri dalla nostra città? In una realtà come Pontedera, dove la presenza di extracomunitari è massiccia ormai da anni, perché non si racconta la vita delle migliaia di persone che vivono come topi nelle abitazioni della zona della Stazione, o del Villaggio Piaggio? Perché non si sfruttano i luoghi cittadini per raccontare il fenomeno dei migranti dal nostro punto di vista. Quello della città. Storie di ragazzi giovanissimi che vagano per le nostre strade senza lavoro, che finiscono nelle mani della criminalità e diventano spacciatori. Che vivono in luoghi di Pontedera abbandonati, senza luce né acqua. Parlare di immigrazione e di modelli d’integrazione è giusto, considerata la fase storica che stiamo attraversando. Ma parliamo di casa nostra. Prendiamo a esempio i nostri casi disperati, le virtù, e anche le mancanze, della nostra amministrazione. Guardare alla Calabria quando quasi ogni giorno in città accadono episodi legati all’immigrazione, appare come un atto (cosciente o meno non ha importanza) profondamente annaffiato di ipocrisia. Registriamo un documentario nei nostri quartieri multietnici, parliamo con i nostri immigrati, raccontiamo le nostre storie. Quelle belle, ma anche quelle meno brillanti. Riflettiamo. Ma facciamolo prendendo come oggetto il nostro territorio. Poi, eventualmente, andiamo a spulciare ciò che accade dall’altra parte dell’Italia. Guardiamoci dentro, poi osserviamo l’esterno. Sarebbe anche e soprattutto un buon esercizio di trasparenza nei confronti di tutta quella gente che le bandiere dell’ipocrisia non vuole più vederle sventolare".
Pontedera SiCura
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