Dopo l'ennesimo cavallo morto al palio di Siena, due giorni fa, con le immagini della sua gamba penzoloni dopo una frattura completa, mentre viene ancora e ancora colpito dagli altri cavalli in corsa, ci saranno le denunce per accertare le eventuali responsabilità penali e quelle per ribadire le sicure responsabilità morali di una cittadina che sta mortificando se stessa. Ma ormai l’indignazione non basta più: è urgente arginare questo massacro. Partiamo col dire la verità su questa manifestazione che si presenta come storica e profondamente rispettosa dei cavalli ma che in realtà è tutt’altro.
Il palio di Siena viene spacciato per manifestazione tradizionale, ma ormai da molto tempo non ha più nulla della tradizione con cui era nato (ammesso che anche quella fosse accettabile): negli anni è diventato una corsa dove la rievocazione storica è una facciata e dove invece ogni elemento è spinto al massimo verso la competizione pura e verso una vittoria che non ha solo il “cencio” come premio ma ben altro a far gola ai fantini. A questo si aggiunge una pista con
due curve impossibili a 90 gradi: il risultato è un innesco quasi automatico di scontri e cadute, tanto che chiamarli incidenti è pura ipocrisia.
Il palio viene trasmesso dalla Rai, complice a tutti gli effetti e attenta a puntare le telecamere accuratamente lontano dalle rovinose cadute dei cavalli: ché quelle eccitano gli animi di chi è lì in piazza in preda al delirio, ma potrebbero urtare e sconcertare chi guarda da casa. Il palio viene decantato da giornalisti, politici e VIP, che nel migliore dei casi sono disinformati e nel peggiore sono complici anch’essi.
Qualcuno vorrebbe addirittura proporre il palio come patrimonio dell’Unesco. Ma l’opinione pubblica deve sapere che a Siena sono morte decine di cavalli negli anni e chissà quanti altri hanno subito gravi incidenti. Che a correre il palio arriva solo una selezione di una moltitudine di cavalli che durante l’anno
vengono allenati a correre in piste che ricalcano piazza del Campo, per scegliere i più veloci: che fine facciano gli “scarti”, nessuno lo sa.
Che a Siena corrono fantini che lo fanno di mestiere girando l’Italia per palii, giostre e quintane e che, oltre a essere remunerati per questo, quasi sempre non hanno alcun legame col cavallo che montano, né tantomeno alcun interesse a preservarlo da incidenti: ciò che conta è spingerlo al massimo per vincere, senza particolari preoccupazioni di mandarlo a sbattere. Che a Siena, come in altre corse fokloristiche, vengono fatte correre persone indagate per doping, maltrattamenti ad animali e truffe.
Che un cavallo lanciato al galoppo a percorrere una curva a 90 gradi è consapevolmente esposto al rischio di un grave incidente, data l’anatomia degli arti.
Che i tanto sbandierati controlli antidoping non garantiscono al 100% l’esclusione dell’uso di sostanze vietate.
A Siena è l’incidente la molla principale dello spettacolo. E quando i senesi dicono che i cavalli cono trattati bene stanno parlando non dell’animale, ma del mezzo che metteranno in pista: né più né meno come si tratterebbe bene una moto per un Gran Premio.
A Siena, di certo, non si priveranno mai del loro spettacolo e noi non possiamo stare a guardare, aspettando il prossimo incidente. Chiederemo una mobilitazione dell’opinione pubblica che spinga chi di dovere a fermare la mattanza.
Fonte: IHP - Ufficio stampa
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