Oltre 10mila ettari di bosco distrutti. Oltre 10mila piante di olivo bruciate. Oltre 6 milioni di euro di danni per l’agricoltura. Questo il bilancio, secondo la Coldiretti, del recente rogo che ha interessato il monte Serra, nel pisano. Un danno considerevole in termini economici, turistici, paesistici, senza contare le perdite in fatto di biodiversità animale e vegetale. L’intervento dell’uomo sarà fondamentale per accelerare la ripresa ma le piante stesse in che modo saranno in grado di contribuire al processo di rinascita?
Se analizziamo le strategie di sopravvivenza dei vegetali, ci rendiamo conto che in qualche maniera gli incendi hanno avuto un ruolo significativo nella loro storia evolutiva, tanto da permettere la comparsa di numerosi caratteri di adattamento al fuoco. Esistono infatti piante in grado di sopravvivere agli incendi poiché provviste di organi particolarmente resistenti (sotterranei e perciò non raggiungibili dal calore) o di fogliame facilmente infiammabile, che agevola il passaggio del fuoco senza compromettere la parte deputata al ricaccio di polloni. Queste piante sono dette “piròfite” (dal greco “piro”, fuoco e “phyta” pianta) e si trovano frequentemente nelle aree mediterranee caratterizzate da aridità stagionale. Fra queste si annoverano le “piròfite passive”, ovvero quelle specie che hanno messo in atto processi di prevenzione nei confronti del fuoco: si pensi alla corteccia spessa del sughero, Quercus suber, che funziona da isolante termico per le gemme e per il cambio, l’organo deputato all’accrescimento. Vi sono poi le “piròfite attive” che nel corso dell’evoluzione hanno sviluppato invece meccanismi di sopravvivenza atti alla riproduzione, sfruttando il fuoco a proprio vantaggio: si pensi al Cistus spp., i cui semi a contatto col calore, germinano massivamente, oppure ad alcune specie di Pino che, conservando i propri semi in coni resinosi, riescono a disseminarli solo grazie allo scioglimento di queste sostanze mediante alte temperature.
Ovviamente non tutte le piante manifestano caratteri di resistenza al fuoco e questo rappresenta un grosso problema: il rischio di perdere per sempre specie rare o poco competitive è concreto. Inoltre, nonostante le sorprendenti capacità di rigenerazione della natura, il modo e i tempi di ricostruzione naturale del bosco dipenderanno anche dall’entità dei danni nonché da tutta una serie di parametri secondari ma non meno importanti, come le condizioni climatiche, il grado di riscaldamento del suolo e il quantitativo di sostanza organica rimasta nel terreno. L’intervento dell’uomo sarà quindi fondamentale sia per scongiurare possibili effetti indesiderati, come l’erosione del suolo, sia per permettere una ricostruzione del bosco più equilibrata e rapida possibile.
Ilaria Mancini
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