Domenica 9 settembre alle ore 18 lo Spazio Ulisse inaugura la personale di Fabio Giorgi Alberti dal titolo “Vorrei dire queste parole” in cui presenta una serie di nuovi lavori pensati per lo spazio di Chiusi.
La mostra si articola in una serie di opere: lavori su carta o tela, calchi, scritte; realizzate con differenti tecniche che vanno dall'affresco su tavola, alla scultura in cemento.
Il titolo. Il titolo è tautologico. "Vorrei dire queste parole" perché vorrei effettivamente dire queste stesse parole. Il significato rimbalza tra il futuro, l’aspettativa delle parole che si ritiene si stiano per sentire, e il passato delle parole appena dette che erano il presente a cui bisognava prestare attenzione. If everyone lives in the future, the present is of one diceva il testo di una canzone dei Residents.
Le opere. Tutti i lavori esposti sono tasselli di un autoritratto: i piedi; la mano; l’occhio; lo specchio; un pensiero. La mostra perciò è anche un'analisi sul tempo, un tempo che se ne è andato e non tornerà più. Per l'artista un vedere se stesso come altro da se.
«La lavorazione delle sculture è quanto di meno immediato ci possa essere, fare il calco, la cassaforma, colare, far asciugare, ripulire, correggere, ricolare. Positivo negativo positivo. Esterno interno esterno. O il contrario. C’è del tempo che viene trattenuto, in questa lavorazione, e rimane incapsulato nel prodotto finale. Questo riguarda la lavorazione. La visione invece è lampante, immediata».
Il filo. Lasciamo a Fabio chiarire qual è il filo che lega questo gruppo di lavori: «Una volta che rappresento parti di me, le opere diventano linguaggio. Uscire dalla scatola e vedersi da fuori. Quel piede destro è il calco del mio piede destro, ma ecco che ora per me non è più il mio piede, è un piede, il piede. Quindi, dicevo, è un autoritratto. Non il mio, ma il nostro; il piede è mio ma non è più mio, credo anche la mano. Non è più la mia mano, è altro da me, è tua per me ed è tua per te. Offre e riceve.»
La mostra mira a condurre il visitatore ad una riflessione sui rapporti che intercorrono tra pubblico, opere e artista. Proponendo un’arte come scambio, come motore d’empatia.
I lavori esposti a Chiusi, quindi, ci pongono una domanda: Qual è l'effettiva possibilità delle immagini di farsi traccia oppure sistema con cui raccontare l'attuale ri-definizione dell'identità personale ma anche collettiva?
Fonte: Ufficio Stampa
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