Perdura ancora oggi nella memoria collettiva, la narrazione tramandata oralmente di uno o più semoventi tedeschi sulla riva destra dell’Arno e di un carro armato sulle alture di Montefalcone che sparacchiando qualche colpo a destra e a manca da Santa Croce a Castelfranco e Santa Maria a Monte, teneva inchiodati i fanti americani e i mezzi corazzati sulla sponda sinistra dell’Arno dalla fine di luglio al 1° settembre del 1944.
E’ una storia palesemente falsa. Gli ex-fascisti e con loro una certa opinione pubblica legata al mito del combattente tedesco, hanno usato e usano questa leggenda per evidenziare una pavidità degli anglo-americani. Secondo il parere autorevole di Claudio Biscarini, storico militare di indubbia competenza, per comprendere le ragioni dello stallo sulla sponda sinistra dell’Arno, bisogna invece tener presente alcuni fatti reali.
Prima di tutto considerazioni di ordine logistico, cioè la lontananza delle basi di rifornimento che erano ferme al lago Trasimeno, vista l’inagibilità quasi totale del porto di Livorno. Secondo le grandi perdite avute da Cassino fino alle colline toscane per cui gli alleati, soprattutto inglesi, avevano unità combattenti decimate esistenti solo sulla carta. Terzo il fatto che il fronte italiano era diventato assolutamente secondario soprattutto per gli Americani impegnati in Normandia e poi in Provenza con l’operazione Dragoon e che perciò ritirarono molte divisioni dal fronte italiano.
Infine giocava il desiderio della popolazione di essere finalmente liberata dall’incubo della guerra e dalle cannonate che piovevano su qualsiasi torretta o campanile e che spesso distruggevano anche le case nei dintorni. Si capisce quindi che ogni giorno di attesa della agognata liberazione era fonte di ansia e di sofferenza. “Ma quando arrivano?”, si sentiva dire da più parti e da più voci.
Al di là e al di sopra dei desideri delle popolazioni, c‘era la realtà della guerra: da Volterra a Palaia e a San Miniato, le truppe anglo-americane e non solo, avevano subito pesanti perdite, soprattutto di uomini, nell’affrontare i valorosi veterani tedeschi sotto la guida di Kesserling e dei suoi generali von Senger e Baade e i colonnelli della 26° Panzerdivision e della 90° Panzergranadier. Le caratteristiche del terreno erano tali da favorire un esercito in ritirata ma non in rotta.
Scrive Claudio Biscarini in I giorni della liberazione, FM Edizioni, 1999: “I Diavoli Blu americani si aprirono la strada verso l’Arno combattendo aspre battaglie a Lajatico e a Palaia”. Questo stallo fu anche la dimostrazione che le Brigate partigiane e patriottiche potevano fare ben poco contro la potente macchina tedesca ancora capace, pur senza copertura aerea e con ridotti mezzi corazzati, di fronteggiare le truppe del Generale Clarck. Certo ci furono episodi valorosi come le azioni della Brigata Pannocchia che portavano gli alleati sui campi minati e sui nidi di mitragliatrici, e che tendevano imboscate con ramponi di ferro rallentando notevolmente la marcia delle colonne germaniche.
Quando finalmente il 1° settembre del 1944 gli americani, dopo avere attraversato l’Arno alle Buche di San Romano, si presenteranno a Castelfranco e a Santa Croce, tranne una pattuglia di sbandati che si consegnarono armi e bagagli, di militari tedeschi non c’era più neanche l’ombra. A Santa Croce in particolare, i carri armati Sherman, secondo la testimonianza di Carisio Barontini, scorrazzarono per Corso Mazzini e le contrade fino all’Arno senza incontrare ostacoli. La gente cominciò a fumare le Camel e mangiare cioccolato e razione K. Iniziò a ricostruire case e conce. Era la libertà.
Valerio Vallini
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