I tedeschi non erano mai usciti nella fase a gironi dei Mondiali, ma 80 anni fa avevano subito un altrettanto cocente eliminazione
L’inopinata eliminazione della Germania dalla Coppa del mondo ha stabilito una “prima volta” nella gloriosa storia del calcio tedesco, che mai aveva dovuto abbandonare i Mondiali così presto. Da che esistono i gironi eliminatori, occorre precisare, poiché era già capitato che la Deutsche Fußballnationalmannschaft inciampasse sul primo ostacolo della fase finale.
Nel 1938, in occasione della terza edizione della Coppa Rimet, i bianchi furono estromessi al primo turno dagli svizzeri, i quali, come i sud-coreani di ieri, non partivano certo favoriti. Non che la Germania avesse già stabilito la sua pressoché incessante supremazia calcistica internazionale (per quello ci sarebbero ancora voluti una trentina di anni), ma la recente annessione dell’Austria al Terzo Reich aveva improvvisamente rafforzato l’undici teutonico, che poteva ora contare sui formidabili membri del Wunderteam, come la nazionale austriaca era stata soprannominata negli anni ’30 per la classe dei suoi giocatori, fra i quali spiccava soprattutto l’esile centrattacco Matthias Sindelar.
Adolf Hitler e i suoi gerarchi avevano sempre guardato con sospetto al football, considerato troppo imprevedibile e quindi poco affidabile per i loro scopi di propaganda e di prestigio. Il dittatore aveva assistito forse alla sua prima partita alle Olimpiadi di Berlino del 1936, persuaso dal Gauleiter di Danzica a presenziare a quella che aveva tutta l’aria di trasformarsi in una facile vittoria contro la modesta Norvegia. Nei suoi diari, Joseph Goebbels, l’onnipotente Ministro della propaganda, annotò: «Il Führer è molto eccitato, anch’io a malapena riesco a controllarmi. La folla è infiammata. Una battaglia mai vista prima», che però si concluse con l’inatteso successo degli scandinavi per 2-0. Hitler non avrebbe più visto una partita di calcio in vita sua e, con molto senno di poi, è stata una fortuna che il nazismo non si sia potuto intestare alcun trionfo calcistico. Nel dopoguerra, il calcio è così potuto risorgere relativamente incontaminato e diventare l’emblema della nazione tedesca, soprattutto dopo la sorprendente vittoria nella Rimet del 1954.
Inizialmente, tutti pensavano che Germania e Austria avrebbero entrambe partecipato alla rassegna iridata, ma in marzo la federazione austriaca informò la FIFA della sua dissoluzione e quindi dell’impossibilità di inviare una selezione nazionale. Felix Linnemann, il presidente della Deutscher Fußball-Bund (DFB), fece sapere all’allenatore tedesco Sepp Herberger che, per ordini provenienti direttamente da Berlino, avrebbe dovuto sempre mandare in campo una formazione che rispettasse la proporzione 6:5: sei tedeschi e cinque austriaci, o viceversa. L’intento di Hitler era quello di dimostrare l’esistenza di una tangibile solidarietà fra i due popoli di lingua tedesca.
Herberger seppe subito di aver ricevuto una missione quasi impossibile, vista l’aperta ostilità che aleggiava fra le due fazioni, alimentata da consistenti motivi politici e dal senso di superiorità calcistica degli austriaci. Nel tentativo di suscitare un maggior cameratismo, Herberger organizzò pure un’amichevole fra il “vecchio Reich” e la cosiddetta “Marca orientale”, che finì 9-1 per i tedeschi, aggiungendo così risentimento alla già conclamata antipatia reciproca.
Inoltre, nonostante l’insistenza del selezionatore, Sindelar ottenne di non venir convocato per i Mondiali: Herberger capì che il fuoriclasse viennese si rifiutava di vestire i colori del paese che aveva fagocitato il suo, benché fossero una larga maggioranza gli austriaci che avevano salutato l’Anschluss con euforia.
La nazionale che si presentò ai nastri di partenza della Coppa del mondo era dunque una compagine dilaniata da profondi dissidi interni. Il sorteggio la mise di fronte alla Svizzera, che pochi giorni prima di partire per la Francia aveva superato a Zurigo i maestri inglesi, grazie principalmente all’acume tattico del tecnico austriaco Karl Rappan, il quale aveva teorizzato un abbottonatissimo sistema difensivo, in cui spiccava l’uso di una sorta di “libero” alle spalle di tutti i difensori. Il 4 giugno 1938, al Parco dei Principi di Parigi, Germania e Svizzera si affrontarono negli ottavi di finale. Il pubblico francese era compattamente schierato per i rossocrociati e per tutta la gara bersagliò i tedeschi con bottiglie, uova e pomodori. Gli esecrati rappresentanti del nazismo riuscirono comunque a passare in vantaggio, venendo però repentinamente raggiunti prima dell’intervallo. Tutta la ripresa e i supplementari non servirono a spareggiare le sorti del match, anche se agli occhi di Herberger era sempre più evidente che tedeschi e austriaci giocavano di fatto gli uni contro gli altri, pur indossando la stessa divisa.
Cinque giorni dopo, andò in cena la ripetizione. L’allenatore tedesco cambiò sette titolari, pur rispettando la suddivisione 6:5. Stavolta, la Germania si issò sul 2-0, ma nel secondo tempo la musica cambiò. Guidata dal centravanti Georges Aeby, incurante di una larga ferita alla testa che lo costrinse a giocare con una vistosa fasciatura sopra i punti di sutura, la Svizzera sgretolò gli avversari, chiudendo con un sonante 4-2.
Per i nazisti fu un colpo durissimo. Prima del match, Goebbels aveva adeguatamente istruito i giornali. «Sessanta milioni di tedeschi giocheranno a Parigi!», aveva annunciato con gran ricorso alla retorica nazionalista il Völkischer Beobachter, l’organo del Partito nazista, e così la stampa elvetica poté ridicolizzarli con ironica eleganza, scrivendo che a loro, per vincere, erano bastati undici calciatori!
Paolo Bruschi