Poco più grande di 10 km2 e praticamente piatta, con un’altezza massima sul livello del mare di appena 29 metri. Sono queste le misure di Pianosa, una delle isole più caratteristiche dell’Arcipelago Toscano che inaspettatamente, nel sottosuolo, ospita un’importante riserva idrica oggi purtroppo a rischio. Proprio per tenere sotto controllo questa risorsa, in accordo con il Parco Nazionale dell’Arcipelago Toscano, un team di geologi guidati da Roberto Giannecchini del Dipartimento di Scienze della Terra dell’Università di Pisa e da Marco Doveri dell’Istituto di Geoscienze e Georisorse del CNR dal 2014 ha avviato una rete di monitoraggio in continuo e svolge regolarmente tre o quattro campagne di campionamento e misurazioni annuali sull’isola.
Nota sin dall’epoca romana, la falda acquifera di Pianosa ha da sempre dissetato gli abitanti dell’isola, anche più di 1.500 alla fine degli anni ‘80 del Novecento quando il penitenziario, oggi piccola sede distaccata di Porto Azzurro, raggiunse il suo massimo sviluppo. Ma il sovrasfruttamento e la pressione antropica hanno messo a rischio questa risorsa sia in termini di volume, sia per l’ingresso di acqua di mare e di contaminanti nella falda, in particolare nitrati, legati alle attività agro-zootecniche associate al penitenziario.
“Pianosa oggi si regge praticamente su un unico pozzo vetusto, il solo superstite della trentina un tempo esistenti - spiega Roberto Giannecchini dell’Ateneo pisano - il nostro obiettivo è quindi quello di studiare il funzionamento di questo particolarissimo sistema acquifero, i suoi meccanismi di ricarica e la sua vulnerabilità rispetto allo sfruttamento e alla contaminazione del mare, grande nemica delle falde sotterranee, specialmente nelle aree insulari”.
Intanto, uno dei primi risultati è stato capire l’origine dell’acqua a Pianosa. Infatti, se da tempo molti ipotizzavano origini lontane (isola d’Elba o addirittura Corsica), i dati scientifici attualmente a disposizione suggeriscono che la risorsa idrica pianosina sia alimentata essenzialmente dalla poca acqua piovana che cade sull’isola e che trova un terreno permeabile per infiltrarsi e immagazzinarsi. Per il 2018 sono previste almeno 4 campagne, ciascuna di durata di circa una settimana.
“Dal punto di vista logistico, le campagne di studio a Pianosa sono sempre piuttosto avventurose, non ci sono infatti strutture ricettive specifiche per i ricercatori e anche il servizio marittimo è saltuario – racconta Giannecchini – ma nonostante le difficoltà, Pianosa rappresenta un luogo unico, pieno di fascino, un habitat pressoché incontaminato che fa dell’isola un laboratorio scientifico strategico nel contesto più ampio del Mediterraneo”.
“Per il sostegno alle nostre ricerche – conclude Giannecchini – è infine doveroso menzionare la direttrice Parco Naturale dell’Arcipelago Toscano Franca Zanichelli e il consigliere Alessandro Damiani, geologo elbano, e non ultimi i detenuti e l’Amministrazione della Casa di Reclusione di Porto Azzurro per l’indispensabile supporto logistico”.
Foto 1, 2: paesaggi dell’Isola di Pianosa
Foto 3: ricercatori a lavoro su un pozzo.
Foto 4: alcuni componenti del gruppo di ricerca. Da sinistra: Marco Doveri (IGG-CNR PI), Chantal Maglia (laureanda DST-UNIPI), Enrico Calvi (IGG-CNR PI), Sandra Trifirò (IGG-CNR PI), Roberto Giannecchini (DST-UNIPI), Luciano Giannini (IGG-CNR FI). La foto è di Matia Menichini (IGG-CNR PI)
Fonte: Università degli Studi di Pisa
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