Esprimiamo la nostra vicinanza e il nostro abbraccio alle famiglie dei due lavoratori morti al porto di Livorno, una tragedia che, quando l’abbiamo ascoltata al TG, ci ha fatto saltare sulle sedie, dopo 24 ore ancora un morto sui binari della stazione ferroviaria di Bologna: un bollettino di guerra. Dopo le dichiarazioni di rito, quella del Presidente della Repubblica e delle organizzazioni sindacali, fino al successivo morto sul lavoro non se ne parla più, sperando che non accada niente.
Partiamo da questa legge sulla sicurezza sui luoghi di lavoro, il T.U. 81/08, a nostro giudizio troppo generica e che non affronta i problemi, da quelli complessi a quelli più semplici, in modo organico e comprensibile. Ci sono degli obblighi per le imprese, spesso non sono rispettati perché la sicurezza ha un costo e il profitto non può perdere tempo e denaro facendo corsi e interrompendo la produzione, inoltre, a nostro avviso, questo modello di formazione lascia scarse tracce di responsabilizzazione ai lavoratori che li seguono.
Come possiamo pensare che quei ragazzi che hanno perso la vita sul luogo di lavoro ponessero davanti a tutto la sicurezza quando i tempi di lavoro incalzano da parte delle aziende e la regola è: “si lavora quando il lavoro c’è e si deve correre, anche di notte”. È di poche settimane fa la morte dell’operaio nel cantiere navale presso il fosso dei Navicelli, caduto dalle impalcature, avvenuto durante la notte con fasi operative quali la saldatura e la verniciatura che si svolgevano a 12 metri di altezza e nello stesso perimetro, molto ristretto. Prodotti chimici e fuoco avrebbero potuto creare un disastro e altri morti su quel cantiere.
143 morti sul lavoro dall’inizio del 2018 non sono e non possono essere considerati un caso, quindi la responsabiltà c’è e qualcuno se la deve prendere, gli imprenditori e la politica sono al centro di queste considerazioni. Un famoso filosofo ed economista del XIX secolo scriveva che “i padroni non sono interessati alla salute e alla sicurezza degli operai, se ne occupano solo se una legge li obbliga a farlo” con questi numeri le ragioni di quell’economista dell’ ”800 diventano molto attuali.
Riteniamo che i parlamentari, i quali puntualmente si avvicendano per legiferare, non abbiano la più pallida idea di che significa lavorare e farlo in sicurezza, se poi costa troppo Confindustria e le altre associazioni imprenditoriali potrebbero non essere d’accordo. Infatti, dagli anni “90, si abbozzano leggi sulla sicurezza e si sbandierano come soluzioni serie e definitive per fermare gli inforuni sul lavoro: non sono servite a niente perché si vuole spendere poco su questa materia, i controlli ASL sono ridotti all’osso e non si affronta la cultura della sicurezza come pane quotidiano di ogni giorno di lavoro.
Non è più accettabile che il lavoro abbia perduto qualsiasi dignità, messo in appalto e privato di qualsiasi sicurezza e tutela. Questa è la vera emergenza che dobbiamo affrontare, e su cui non faremo alcuno sconto a nessun governo nè a nessun gruppo parlamentare. Ormai esiste solo un obiettivo prioritario: nessuno più deve morire di lavoro.
Fonte: Cobas Pisa - Ufficio Stampa
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