In mostra a Torino le opere della Toscana restaurate con il programma di Intesa Sanpaolo


È in corso alla Reggia di Venaria (Torino) fino al 16 settembre 2018 l’esposizione conclusiva della XVIII edizione di Restituzioni, il programma di salvaguardia e valorizzazione che Intesa Sanpaolo conduce da quasi trent’anni a favore del patrimonio artistico nazionale.

In Toscana il programma Restituzioni ha permesso il recupero di importanti opere d’arte, oggi esposte in mostra, rappresentative della storia del territorio e della ricchezza delle sue collezioni:

  • Giovanni Domenico Ferretti (Firenze, 1692-1768)

Transito di san Giuseppe, 1742. Olio su tela; 451 x 251

Firenze, chiesa di San Paolo Apostolo, detta di San Paolino

Il dipinto rappresenta uno dei momenti più alti dell’attività di Giovanni Domenico Ferretti, ricco di pathos e drammaticità, pur nell’utilizzo di una tavolozza chiara e luminosa dove le luci e le ombre sono modulate con estrema perizia. L’opera in esame è stata oggetto di un restauro integrale che ha permesso di recuperare a pieno la godibilità del dipinto. L’opera ha subito un primo intervento di pulitura che ha rivelato delle peculiarità come la tela in un’unica pezza, singolare per un dipinto di tali dimensioni, e le due strisce di tessuto sul retro, apposte dall’artista e agganciate alle traverse con lo scopo di dargli una maggiore stabilità. Liberata la superficie pittorica dal nero del fumo delle candele, dal pulviscolo atmosferico e da uno strato di colla organica, sono emersi un colore luminoso, ricco di passaggi cromatici, e soprattutto la presenza di alcuni pentimenti dell’autore.

 

  • Donato Creti (Bologna, 1671-1749)

Santa Francesca Romana presenta al suo confessore il Bambino Gesù, 1731. Olio su tela; 296 x 183,5 cm.

Lucca, Archivio Arcivescovile

Il restauro, eseguito nell’ambito di Restituzioni, ha riportato in luce firma e anno 1731, finora non rilevate perché illeggibili, sotto la coltre di sporcizia e ossidazione delle vernici. Ciò anticipa di un anno la datazione comunemente accettata per questa tela dove emerge la caratteristica predominante della grande opera di Donato Creti: la sorprendente esiguità della materia pittorica ridotta veramente all’essenziale. Sia le figure che lo sfondo sono risolti con leggerissime velature di tempera a olio su una preparazione color salmone. I minimi spessori cromatici e una loro consunzione, provocata dal tempo, dalla manutenzione poco attenta e dall’attuale esposizione (a fianco di una grande finestra) ha provocato, in alcune zone, una semitrasparenza degli strati pigmentati, tanto da fare intravedere molte delle correzioni e dei pentimenti del pittore cremonese.

 

  • Giuseppe Maria Crespi (Bologna, 1665-1747)

Assunzione della Vergine, 1730-1732. Olio su tela; 305 x 184.

Lucca, Archivio Arcivescovile

Assieme alla contemporanea pala di Donato Creti l’opera illustra la fase in cui la pittura bolognese raggiunge la massima divergenza, derivando da una comune tradizione: immersione nella materia e

espressione di interiorità psichica per l’uno; opposta estraniazione in un’estetica di classica trasformazione delle pulsioni sensibili in purezza delle idee, per l’altro. Altro non è che l’avvio dei due grandi modi portanti dell’arte moderna che, tra estetiche neoclassiche e romantiche, qualificheranno i cento anni successivi all’ultimo quarto del XVIII secolo.

 

  • Maestro di San Pietro in Vìllore (attivo in Toscana meridionale nell’ultimo quarto del secolo XII)

Croce dipinta ultimo quarto del XII secolo. Tempera e oro su tavola di quercia; 177 x 116,5 x 12 cm (dimensioni massime, compreso lo spessore del nimbo di restauro)

Pienza (Siena), Museo Diocesano di Palazzo Borgia

L’opera, prima del restauro nell’ambito di Restituzioni, presentava problemi conservativi molto seri,

dovuti in gran parte a un intervento sul supporto troppo invasivo (1956), che aveva creato notevoli

tensioni a livello superficiale, con sollevamenti e distacchi della pellicola pittorica. Proviene da una chiesa romanica che reca il titolo di San Pietro in Villore, storpiatura vernacolare di San Pietro in Vincoli. Gli studi hanno sempre sottolineato la stretta corrispondenza che corre tra questa Croce e quella giunta al Museo Civico e Diocesano d’Arte Sacra di Montalcino dalla grande abbazia di Sant’Antimo in Val di Starcia, a una quindicina di miglia da San Giovanni d’Asso. Entrambe si potranno riferire dunque a un pittore o a una maestranza da battezzare con il nome di Maestro di San Pietro in Villore.

 

  • Taddeo di Bartolo (Siena, 1362 circa - 1422)

La Madonna “Belverde” 1405 circa. Tempera su fondo oro su tavola; 150,7 x 65,7

Siena, Basilica di Santa Maria dei Servi

Il restauro realizzato nell’ambito di Restituzioni ha portato alla luce la straordinaria ricchezza della Madonna “Belverde” per la chiesa di Santa Maria dei Servi a Siena. La Vergine indossa abiti di disegno particolare e un mantello dorato di un raro color verde che dà origine alla sua denominazione. Dal primo Seicento la Madonna “Belverde” è stata attribuita a Jacopo, maestro di Taddeo di Bartolo. Fonti antiche ricordano che il dipinto fu commissionato a Jacopo dalla famiglia Petroni per testamento nel 1363, ma essi eressero una cappella soltanto dopo il 1390 e la tavola “Belverde” sembra datare attorno al 1405. La dibattuta attribuzione a Jacopo di Mino è risolta dallo stile del dipinto e dalla scoperta di una parziale iscrizione «eus», in fondo alla composizione, logicamente parte di «Tadeus».

 

  • Goro di Gregorio (Siena, documentato dal 1311 al 1326)

Crocifisso, secondo quarto del XIV secolo. Legno intagliato e dipinto; 156 × 152 × 35 cm (Cristo)

Roccalbegna (Grosseto), arcipretura dei Santi Pietro e Paolo

Con la delicata operazione di asportazione delle numerose ridipinture – realizzata nel corso del restauro nell’ambito di Restituzioni – è riapparsa la prima stesura pittorica, che era oscurata da un denso strato di sporcizia e dalla vernice fortemente alterata. Erano queste le ragioni per le quali le sculture naturalisticamente dipinte nell’età tardomedievale sono state nel corso dei secoli più volte rinnovate nella policromia, quasi sempre con interventi diminutivi della situazione pittorica originale. Nel caso in esame la fortuna, le moderne metodiche del restauro e le esperte mani di Silvia Bensi hanno permesso un eccellente recupero degli antichi colori, stesi su un sottile strato di gesso, necessario per rifinire l’intaglio ligneo della scultura, addolcendone le membra e dandole l’aspetto del vero: elemento indispensabile per una figura sacra, la quale assolveva alla funzione di rappresentare Gesù crocifisso per tutto il periodo dell’anno e il Deposto dalla croce per le celebrazioni del venerdì santo.

 

  • Tessuti Bargello

Firenze, Museo Nazionale del Bargello

 

  1. a) Manifattura italiana (Lucca)

Due frammenti di tessuto operato a figurazione animale e vegetale prima metà o metà del XIV secolo

I manufatti del Bargello rientrano nelle produzioni seriche di lusso italiane del XIV secolo e la loro struttura tecnica sembra richiamarsi alla tipologia dei ‘baldachini’ realizzati a Lucca. Un dato esecutivo di particolare interesse, perché probabile indice di una fase sperimentale nella tessitura, è emerso nel restauro – realizzato nell’ambito di Restituzioni – durante il rilevamento delle zone deteriorate. I reperti si presentavano in un generale stato di degrado ed è stato evidenziato come molte aree di cedimenti e rotture dei filati corrispondessero ai punti dove i colpi della trama metallica broccata si andavano a inserire tra le trame di fondo seriche.

 

  1. b) Manifattura italiana (tessuto principale) - Manifattura spagnola o italiana (?) (croce e colonna)

Pianeta in velluto operato con croce e colonna a ricamo; metà del XV secolo (tessuto principale); metà del XV secolo (croce e colonna) XV secolo con rimaneggiamenti nel XVIII secolo (confezione)

La pianeta è composta da numerosi frammenti e il suo aspetto attuale è evidentemente frutto di rimaneggiamenti. Il restauro realizzato in occasione di Restituzioni ha permesso un’attenta mappatura della sua confezione e sono emersi alcuni aspetti inediti sulle vicende del manufatto prima del suo ingresso al museo. I principali materiali utilizzati in questa veste liturgica risalgono al XV secolo.

 

  1. c) Manifattura spagnola (Granada)

Due frammenti di tessuto operato con ogive e palmette, XV secolo (epoca nasride)

Dati tecnici e stilistici, come il fondo raso del lampasso, l’assenza di filati metallici sostituiti dalla seta gialla, l’acceso cromatismo e l’impianto compositivo a ogive e motivi vegetali stilizzati, permettono di collocare questo tessuto nella stagione finale della dinastia nasride, l’ultimo regno islamico di Spagna caduto per mano cristiana nel 1492, o negli anni immediatamente successivi, quando le manifatture islamiche di Granada erano ancora attive al servizio. Le condizioni frammentarie del reperto del Bargello non permettono di ricostruire l’originaria destinazione d’uso del manufatto.

 

  1. d) Manifattura dell’Italia centrale (Umbria?)

Tovaglia rettangolare con bande decorate, XV-XVI secolo

Il Manufatto rientra nella categoria delle cosiddette ‘tovaglie perugine’, una definizione coniata da eruditi e studiosi tra il XIX e il XX secolo, facendo riferimento all’ininterrotta tradizione in ambito umbro di tessiture artigianali in lino o lino e cotone a fondo saia, con bande orizzontali decorate solitamente in blu a motivi animali e vegetali stilizzati. La presenza di numerose macchie di natura diversa rilevate in fase di restauro lascia intendere un uso continuato nel tempo prima della sua musealizzazione, in ambiti che potevano corrispondere o meno alla sua funzione originaria.

 

  1. e) Manifattura italiana (Firenze?)

Due teli rettangolari in velluto operato a grandi ogive e motivi vegetali, ultimo quarto del XV o inizio del XVI secolo

Durante il restauro, realizzato nell’ambito di Restituzioni, sono emersi ulteriori dettagli della lavorazione che davvero permettono di considerare i due teli come un concentrato di tutti i più sofisticati espedienti tecnico-ornamentali dell’epoca, conseguibili solo nelle manifatture più affermate. Le aree del disegno definite dal pelo tagliato, sebbene di piccole dimensioni, constano infatti di due diverse altezze, realizzabili solo con l’impiego di ferri di forma diversa. In funzione del decoro variano anche gli effetti bouclé ottenuti da uno dei due fili metallici della trama lanciata, ossia quei piccoli riccioli d’oro rilevati dal fondo. Un ultimo elemento di complessità per i manufatti del Bargello riguarda infine la loro altezza da cimosa a cimosa, corrispondente alle dimensioni del telaio.

 

  1. f) Manifattura dei Paesi Bassi

Paio di guanti nuziali, fine del XVI o primo terzo del XVII secolo

I guanti sono confezionati in pelle beige, il cui tono originario doveva essere piuttosto chiaro, come emerso dalla pulitura effettuata durante il restauro nell’ambito di Restituzioni. La tipologia del manufatto e la natura della decorazione permettono di classificare i guanti del Bargello come oggetti profani ornamentali, investiti di funzioni simboliche e rappresentative più che di effettive finalità pratiche.

 

MATERIALE STAMPA, FOTO E SCHEDE APPROFONDITE AL LINK: http://bit.ly/Restituzioni2018

La mostra La fragilità della bellezza. Tiziano, Van Dyck, Twombly e altri 200 capolavori restaurati, sotto l’Alto Patronato del Presidente della Repubblica, organizzata in collaborazione con il Consorzio delle Residenze Reali Sabaude, resterà aperta al pubblico fino al 16 settembre 2018. L’esposizione presenta 80 nuclei di opere, per un totale di 212 manufatti restaurati grazie a Intesa

Sanpaolo nel biennio 2016-2017. Le opere appartengono a 17 regioni italiane: oltre a Piemonte, Lombardia, Veneto, Emilia-Romagna, Marche, Liguria, Toscana, Abruzzo, Lazio, Campania, Calabria e Puglia, già interessate nelle precedenti edizioni, per la prima volta sono state coinvolte Friuli Venezia Giulia, Umbria, Basilicata, Molise, Sardegna e si conta anche una presenza estera, proveniente da Dresda.

In questa edizione Intesa Sanpaolo ha collaborato con 44 enti di tutela (Soprintendenze, Poli Museali e Musei autonomi) e sono 63 gli enti proprietari. Un imponente lavoro di recupero, che ha coinvolto 205 professionisti del restauro in tutta Italia, incluso il Centro Conservazione e Restauro “La Venaria Reale” con cui Intesa Sanpaolo ha stabilito da tempo una collaborazione continuativa.

La mostra copre un arco cronologico di quasi 40 secoli, spaziando dall’antichità al contemporaneo fornendo così un ampio panorama del patrimonio artistico italiano. Tra le opere esposte, gli affreschi della Tomba di Henib, dal Museo Egizio di Torino; la preziosa Testa di Basilea, dal Museo

Archeologico Nazionale di Reggio Calabria; il Ritratto di Caterina Balbi Durazzo di Anton Van Dyck, da Palazzo Reale di Genova; San Girolamo penitente di Tiziano, dalla Pinacoteca di Brera; San Daniele nella fossa dei leoni di Pietro da Cortona, dalle Gallerie dell’Accademia di Venezia, fino a opere di Morandi, Burri e Twombly. Nella grande varietà non mancano oggetti particolari come il Mantello Tupinambà, realizzato con penne e fibre di cotone, giunto tra XVI e XVII secolo in Italia dal Brasile, oggi conservato alla Pinacoteca Ambrosiana, o il seicentesco Clavicembalo dipinto, dal Museo Nazionale degli Strumenti Musicali di Roma.

Dal 1989 ad oggi, sono ormai oltre 1300 le opere “restituite” alla collettività: una sorta di ideale museo, con testimonianze che spaziano dalle epoche proto-storiche fino all’età contemporanea, dall’archeologia all’oreficeria, alle arti plastiche e pittoriche. Sono più di 200 i musei, i siti archeologici, le chiese, garanti della destinazione pubblica dei propri tesori, che hanno beneficiato di questo programma, centinaia i laboratori di restauro qualificati, distribuiti da Nord a Sud, incaricati dei restauri ed altrettanti gli studiosi coinvolti nella redazione delle schede storico-critiche per i cataloghi. Un curriculum a cui si aggiungono gli interventi di restauro realizzati su opere di scala monumentale come, ad esempio, i mosaici pavimentali paleocristiani della Basilica di Aquileia, gli affreschi di Altichiero e Avanzo nella Cappella di San

Giacomo nella Basilica del Santo a Padova, gli affreschi di Lanfranco della Cappella di San Gennaro nel Duomo di Napoli, fino al recente restauro della Casa del Manzoni, a Milano, vero e proprio monumento “nazionale”. In quest’ambito inoltre, nel giugno 2009, in concomitanza col compiersi dei vent’anni di attività di Restituzioni, sono stati portati a conclusione i restauri degli affreschi trecenteschi di Stefano Fiorentino nella chiesa dell’Abbazia di Chiaravalle, alle porte di Milano.

Oltre al progetto Restituzioni per la salvaguardia del patrimonio pubblico, Intesa Sanpaolo esprime il suo impegno in ambito culturale anche attraverso la valorizzazione a livello nazionale e internazionale del suo cospicuo e prestigioso patrimonio storico, artistico, architettonico e archivistico, in particolare nelle tre sedi delle Gallerie d’Italia a Milano, Napoli e Vicenza, nell’intento di condividerlo con la collettività. Le iniziative in ambito culturale si concretizzano in un piano triennale di interventi denominato Progetto Cultura, che prevede mostre, incontri, attività didattiche e formative oltre ad attività sinergiche con altre importanti istituzioni culturali nazionali e internazionali.

Fonte: Ufficio Stampa

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