Funziona il sistema giudiziario nei casi così frequenti e dibattuti di violenza di genere? E’ l’interrogativo a cui si prefigge di dare una risposta il convegno che si terrà mercoledì prossimo alla Scuola Normale. Il titolo dell’evento è “La violenza sulle donne: criticità e buone prassi del sistema giudiziario”: l’appuntamento, si diceva, è il 28 marzo alle ore 15 nella sala Azzurra del Palazzo della Carovana, in piazza dei Cavalieri 7 .
Interverranno Fabio Roia, magistrato, Presidente di sezione del Tribunale di Milano; Donatella Della Porta, sociologa della Normale; Giovanna Zitiello, coordinatrice del Centro Antiviolenza della Casa della donna; Maria Sandoval, ex presidente dell’associazione Donne in Movimento. Coordinerà l'incontro la giornalista Antonella Mollica, del Corriere Fiorentino.
Il convegno, organizzato dalle dottoresse Miriam Pagliarone e Patrizia Pagliarone, di TopMind Training, e dalla Normale, ha il patrocinio della Casa della Donna, del blog La 27esima Ora del Corriere della Sera e del Comitato unico di garanzia per le pari opportunità della Scuola stessa.
L'iniziativa vuole rappresentare un'occasione per riflettere collettivamente su un tema purtroppo di grande attualità, esaminando gli strumenti giuridici di prevenzione, tutela delle vittime e punizione dei colpevoli.
Fabio Roia, si occupa da oltre 25 anni di violenza sulle donne anche come studioso e formatore: è stato pubblico ministero, attualmente è giudice. Ha scritto recentemente il saggio “Crimini contro le donne - Politiche, leggi, buone pratiche”. E' stato componente del Consiglio superiore della Magistratura fino al 2010.
Nel corso del dibattito - osserva la dottoressa Patrizia Pagliarone - si parlerà delle diverse problematiche che possono emergere nel percorso giudiziario che la vittima di violenze deve affrontare quando trova il coraggio di denunciare. Il Giudice Roia sottolinea nel suo ultimo libro che nel processo penale la vittima subisce un vero e proprio processo di seconda vittimizzazione in quanto essa sovente viene trattata dagli operatori del sistema processuale in modo duro e brutale, subendo un ulteriore trauma psico-emotivo talvolta aggravato dai danni determinati dalle pressioni che subisce per ritrattare o contenere le accuse e dal tentativo di ribaltamento delle parti. Dobbiamo comprendere che il processo non deve essere fatto alla donna e che la testimonianza è una prova di verità non di coraggio e che non adottare le tutele oggi previste dalla normativa vigente, significa mettere la vittima in una arena gladiatoria ed alterare la genuinità del processo.
Costituiscono ulteriori fattori di vittimizzazione secondaria l'estrema durata del procedimento penale, il rapporto e il contatto con soggetti processuali non specializzati e la solitudine nell'affrontare l'intero percorso giudiziario e di uscita dal trauma.
Fonte: Ufficio Stampa
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