'Fotografo seriale' in centro, l'opinione di Danilo Cecchi: "Se fosse vietata l'arte di strada mai avremmo avuto maestri come Cartier-Bresson"

Sulla questione sorta nel centro storico a Empoli sul fatto che fosse giusto o meno che un cittadino fotografasse i passanti in continuazione, articolo che su gonews.it ha collezionato ben 7.300 visualizzazioni (dati Google Analytics) dal momento della pubblicazione alla mezzanotte di oggi, giovedì 10 settembre, pubblichiamo l'opinione dell'architetto Danilo Cecchi, fotografo, il quale ha voluto a sua volta dare un interessante spunto di riflessione il quale, di fatto, completa il punto di vista offerto dall'avvocato Simone Carboncini.

Di seguito il testo integrale della lettera.

"Ringrazio l’avvocato Carboncini per la sua difesa d’ufficio e per avere ricordato a tutti i lettori di gonews.it i diritti, di cui sono ed ero perfettamente conscio, avendo tenuto corsi di “Diritto d’Autore” presso la LABA di Firenze, di cui godono non solo i fotografi (professionisti e non), ma tutti i cittadini italiani, e direi, europei. Infatti l’avvocato non sottolinea in maniera (secondo me) abbastanza forte l’esistenza di quel diritto fondamentale sancito dalla “Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà Fondamentali” del 1950, in cui all’articolo 10 si fa riferimento esplicito alla “Libertà di Espressione”.

Inoltre non si fa il minimo accenno al “diritto di cronaca”. Si fa invece confusione invocando il diritto alla privacy, dato che il testo del 2003 non contiene nessun accenno alla immagine ed alla fotografia, ma esclusivamente ai “dati sensibili” degli individui (preferenze sessuali, religiose, politiche, stato di salute, etc.). Anche il riferimento all’articolo 96 della Legge 633 del 1941 appare improprio, dato che in tale articolo si parla di “ritratto” e (prevalentemente) di “commercializzazione”. Si sa che all’epoca in cui fu scritta la legge  il “ritratto” era cosa ben precisa, e non riguardava gli scatti effettuati in luogo pubblico ma le foto eseguite in studio ed in posa. Tutto ciò all’epoca in cui la fotografia consisteva nel processo negativo/positivo ed il fotografo aveva facoltà di “trattenere” il negativo, ovvero la matrice da cui trarre ulteriori copie anche dopo avere consegnato le copie richieste dal cliente. I diritti del fotografo in quanto autore vengono invece inseriti nella stessa legge circa trent’anni più tardi. Il che la dice lunga sullo “spirito” della legge.

In che modo ed in che misura  il contenuto dell’articolo 96 possa essere “esteso” alla foto di strada (street photography) (anche nel caso di esposizione o pubblicazione delle immagini) sia legittima, è cosa che non riguarda direttamente il caso di cui parliamo, ma è certamente un caso su cui discutere ed è una cosa che dovrebbe essere  messa finalmente in chiaro, ma nessuna delle associazioni professionali o amatoriali dei fotografi sembra interessata a farlo, confidando proprio nel fatto che nessuno è così folle da fare causa ad un fotografo che opera in luogo pubblico. Anche il fotografo Zappadu che ritrasse (stando all’esterno) con il teleobiettivo i festini di villa Certosa in casa Berlusconi è stato (giustamente) assolto.

Chi teme di essere fotografato in pubblico, o è un isterico (o isterica) o è un selvaggio (selvaggia) che teme di essere derubato (derubata) dell’anima. Altro caso non si pone. Del resto il furto di identità (cosa assai frequente) non riguarda affatto la fotografia, ma tutt’altro settore criminale. Nei paesi di cultura anglosassone il concetto di “diritto all’immagine” non esiste neppure. Chi scrive fotografa da oltre 45 anni, ha fotografato persone in tutte le parti del globo, dall’Europa all’Asia, dal Nord al Sud America, ed anche nel Nord Africa, ma mai ha avuto problemi nel fotografare le persone in pubblico. Solo una vigilessa empolese, che non conosce evidentemente la legge del suo stesso paese, ha avuto la malaugurata idea di interferire nell’esercizio della mia “libertà di espressione”. Mai, né i bobbies inglesi, i flics francesi, i policemen americani, i poliziotti messicani, russi, indiani o indonesiani, hanno avuto nulla da ridire circa l’essere fotografati in un luogo pubblico.

Se esistessero leggi limitative circa la ripresa di persone in luogo pubblico, non sarebbero esistite la “photographie umaniste” francese né la “street photography” americana, non avremmo avuto né un Henri Cartier-Bresson, un Robert Doisneau, un Marc Riboud, una Lisette Model, un Robert Frank, un William Klein, un Leonard Freed, un Garry Winogrand, e neppure una Vivien Maier. Senza contare tutti gli altri, e senza voler fare indebiti paragoni o essere annoverato in così prestigiosa compagnia. Chi pensa che fotografare in pubblico possa essere sottoposto a delle limitazioni è prima di tutto un ignorante culturale, che ignora tutto della storia della fotografia, prima ancora che un ignorante della legge.

E poi, come si fa a pensare di limitare le riprese fotografiche in un angolo cittadino in cui dozzine di telecamere riprendono di continuo la gente che passa, fotografandola centinaia di volte ogni giorno. Ma di che cosa parliamo?

Concludo con questa immagine scattata a Parigi nel 2010. Il pittore che espone il suo volto nell’autoritratto a fianco rifiuta nello stesso tempo di fare riprendere il suo volto dal fotografo. Esporre e negare contemporaneamente il proprio volto è un atteggiamento tipico (ed un poco schizofrenico) di chi, nascondendosi,  vuole solo mostrarsi ancora di più. Forse proprio come chi Le ha posto il quesito.

 

 

 

Danilo Cecchi

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