Parte da Avane, prende ispirazione da Roma, coinvolge i ragazzi dell'Empolese: un quadro sul Calcio Sociale, che si propone di rendere tutti protagonisti a prescindere dalla provenienza
“Hai già fatto tre gol, basta, ora gioca per la squadra”. Accanto alla Vela di Avane, poco fuori Empoli, da qualche anno è stato costruito un campo da calcio in sintetico. Ci si allenano i giovani della Polisportiva, lo affittano gli amici per le partitelle della sera, ogni tanto c'è qualche torneo. Il lunedì pomeriggio, però, il campetto di Avane diventa il luogo dove il pallone prova a tornare un divertimento senza distinzioni. Dalle 15 alle 17 non è più calcio, o meglio, non è più solo calcio: è Calcio Sociale. Giocano ragazzi e ragazze di qualsiasi età, etnia, religione e quant'altro. Il calcio è solo un pretesto per superare i pregiudizi e le brutture di una società troppo arcigna.
Juri Stabile, 38enne monterappolese doc e tifoso dell'Empoli, ha un passato da esterno sui campi da calcio dell'Empolese - “giocavo largo tipo Benarrivo o Di Chiara” - e adesso fa l'educatore. Braccia conserte, sempre sorridente, è al bordo del campo di Avane a guardare i suoi ragazzi. Se arriva un pallone lo stoppa, rigorosamente di sinistro, e lo ributta sul terreno di gioco, ma non smette mai di incitare. Nonostante il caldo, in panchina c'è solo lui, in borghese.
Gli altri sono tutti dietro al pallone: c'è Alessandro, cresciuto a Avane e conosciuto da tutto il quartiere e non solo, c'è Johnny, che in porta è un gatto, c'è Davide, che ormai è un rigorista infallibile, c'è qualche richiedente asilo, alcuni ragazzi hanno una disabilità, altri arrivano da realtà difficili e altri ancora, invece, vengono a giocare solo per giocare. Uno di loro è accompagnato dal papà, che in quel momento non è al lavoro e si diverte a tirare due calci. Sarebbe un campo da sette contro sette, ma ci giocano quasi in venti, a volte anche di più. Non è la tecnica a interessare Juri: “Da loro voglio una crescita morale e di fiducia, non tanto tattica e tecnica, non siamo allenatori. Per quello ci sono le polisportive. Se uno in due anni non impara a tirare un rigore, pace. Voglio che i miei non facciano cavolate, che crescano come persone”.
Le regole sono semplici. Ogni calciatore può fare al massimo tre gol. Se una squadra è in vantaggio di quattro o più reti ed è in evidente difficoltà, si mischiano i giocatori. Non esiste la panchina, niente titolari o riserve. Non ci sono arbitri, ogni ragazzo deve assumersi la responsabilità di quello che fa, senza simulare o cercare di fare il furbo. Il calcio di rigore lo tira chi ha meno possibilità o chi ha più bisogno di tirarlo in quel momento, sia perché viene da un periodo nero sia perché è stato più in disparte. In ogni squadra c'è un educatore, che si occupa della parte relazionale, e un capitano, scelto tra i ragazzi. L'educatore ha il compito di tirare le fila, di far sentire tutti importanti.
Si sarà intuito che il Calcio Sociale è qualcosa di particolare. Ma, in definitiva, di cosa si tratta? La risposta la dà la scritta sulle casacche dei giocatori. Un sole, bianco e azzurro come l'Empoli Fc, con la didascalia Calcio Sociale, tutti sono protagonisti. Quando si dice che il calcio può abbattere le barriere, spesso si incappa in frasi fatte e manciate di retorica. Non a Avane, non con il progetto portato avanti dal Centro Giovani e dal centro di accoglienza di Empoli gestito dalla Cooperativa Il Piccolo Principe. Qui il calcio è davvero una livella sociale, racconta Stabile: “Quando si entra in campo si azzera quel che succede fuori. Non c'è più il ragazzo che ha una disabilità o quello che arriva con il macchinone, non c'è quello che ha problemi in famiglia così come quello che ha fatto la scuola calcio. Il calcio deve essere la molla per l'aggregazione, tutti devono giocare e sentirsi uniti”.
L'obiettivo del progetto è, dunque, far crescere i ragazzi che altrimenti avrebbero difficoltà. Come si rende possibile? Attraverso l'inclusione e l'integrazione. Il fine è nobile e per niente facile. Juri, educatore da una vita e 'folgorato' dall'obiezione di coscienza, sa bene che serve molto lavoro, ma si gode i frutti di anni di presenza sul territorio: “Siamo partiti da Avane, considerata il ghetto di Empoli. Andavamo a suonare i campanelli e a portare la gente a giocare in piazza. Volevamo andare contro i pregiudizi, anche se ancora oggi c'è chi ci bolla come calcio degli sfigati". I risultati ci sono: "Siamo passati da qualche rissa nel 2014 a gruppi di grandi amici. La nostra vittoria è vederli nel Giro di Empoli che escono tutti assieme il sabato. La soddisfazione più grande è sentire i genitori quando dicono 'mio figlio ora ha degli amici'”.
Il punto è proprio quello, Avane. Un quartiere che nella sua storia ha assunto una nomea probabilmente immeritata e che oggi sta cercando se non di gentrificarsi, almeno di mostrare miglioramenti. Empoli, città storicamente di sinistra, è uno dei pochi poli in cui il PD raggiunge percentuali alte. Come nel resto d'Italia l'aria è diventata meno respirabile. Lettere minatorie, lapidi sfregiate, tensione più alta del solito per via di una campagna elettorale perenne. Anche grazie al lavoro del Calcio Sociale - o di personaggi come don Fanfani - gli abitanti di Avane prima, e gli empolesi poi, sono riusciti a sentirsi parte di un tutto. Ma, attenzione: il Calcio Sociale non nasce a Empoli.
Era il 2013, in tv Dribbling mostrava le immagini del Corviale, il serpentone di Roma nato come progetto di architettura avveniristica e divenuto col tempo un quartiere dalla dubbia fama. “Vidi il servizio, parlava del pallone come strumento di unione – dice Stabile –. Proposi l'idea di portare il progetto a Empoli, caricammo un po' di ragazzi su un pulmino e partimmo alla volta di Roma. Lo scambio coi romani fu proficuo perché noi importammo il piano calcistico, loro invece presero spunto dal nostro Centro Giovani per il doposcuola”. Come detto il lavoro degli educatori empolesi non è venuto fuori solamente lì, ma da tempo Stabile e i suoi collaboratori suonavano campanelli per portare i cittadini a vivere Avane: “Abbiamo rimesso a posto il pallaio e ora se ne occupano gli anziani. Abbiamo portato un campo da basket. Facevamo e facciamo feste e iniziative perché gli abitanti sentissero più loro quella zona, la rinascita del comitato di quartiere è un esempio concreto”.
Il progetto prende il via ufficialmente nei primi mesi del 2014. Per riuscire nell'impresa di aggregare tutti, il pallone è l'asso nella manica: “C'erano dei ragazzi che non erano stati presi dalle scuole calcio, altri che avevano difficoltà mentali o a inserirsi con i loro coetanei. Abbiamo messo delle porte in piazza dei Cavalieri, distribuito le casacche e da lì è partito tutto. Iniziavamo le partite in dieci, si avvicinava qualcuno che timidamente voleva iniziare a giocare e finivamo in trenta. Questa costante, questo agganciare continuamente nuove persone è stato bellissimo e lo facciamo tuttora”.
Riccardo Maestrelli della Polisportiva Avane è il propulsore. Offre al Centro Giovani lo spazio – il campo regolamentare di via Magolo – e anche spogliatoi e attrezzatura. Non sarà l'unico mecenate, si unirà il Membrino, società di Castelfiorentino che donerà spesso maglie e scarpe ai ragazzi di Avane. I primi tempi, per Stabile e i suoi, non sono facilissimi: “Avevamo raggruppato un bel po' di giocatori dell'età delle medie, ma non solo. A molti di loro pareva di doversi allenare in una squadra vera, dato che le strutture erano importanti. C'era chi voleva affinare la tecnica, chi tirava le punizioni, chi pensava alla tattica. A noi non importava, anche se faceva piacere vedere tutto questo impegno. Volevamo che facessero gruppo, che utilizzassero la palla come mezzo per creare una struttura sociale”. E così avviene: ogni lunedì decine di ragazzi – addirittura cinquanta, in alcuni casi – si trovano a Avane e giocano. Per due ore si liberano dai pensieri e danno vita a un 'turbinio di colori strepitoso', come lo definisce Stabile. Certo, i ragazzi sono tanti, ma per l'educatore non è mai un problema: “Panchina? Macché. Si fa anche 18 vs 18, si gioca tutti e non esistono titolari e riserve, solo divertimento. Al massimo si giocherà col 5-5-5 alla Oronzo Canà...”.
Dal 2014 al 2018 ne è passata di acqua sotto i ponti, tuttavia qualcosa può migliorare. Ne è testimonianza l'estensione del progetto alla frazione di Fontanella, dove le cose non sono andate benissimo: “Non abbiamo attecchito perché in molti non capiscono che si può giocare solo per il gusto di giocare, non per forza con il massimo dell'agonismo”. Il fine principale del Calcio Sociale – l'inclusione – non è forse stato recepito da tutti. Nemmeno quando a giocare sono i migranti. Ogni anno tre o quattro richiedenti asilo si uniscono al gruppo a Avane per giocare a calcio. Alcuni di loro hanno stretto nuove amicizie in via Magolo e hanno partecipato di recente a Mediterraneo siamo noi, kermesse di Empoli dedicata alla multiculturalità.
I tempi moderni non vengono incontro a Stabile e al Centro Giovani. Domina la paura – se non l'odio – per il diverso, le etichette fioccano con facilità e anche il Calcio Sociale rischia di averne una: “Non vogliamo essere il calcio degli sfigati. Abbiamo migranti, giovani che arrivano da una 'messa alla prova', ragazzi con disabilità o che vengono da ambienti difficili, ma bisogna fare calcio con loro e non facendolo fare solo a loro. Combattiamo l'idea di ghetto. Il positivo prevaricherà, sono ottimista, ma c'è del lavoro da fare. Come per tutti i pregiudizi, poi, basta venire a Avane e accorgersi che la realtà dei fatti è ben diversa”. Mentre i ragazzi giocano sul campo, ad esempio, succede che un giovane, con problemi mentali, prende palla e salta tutti per andare a fare gol. La difesa lo lascia passare, ma Juri non è troppo d'accordo. “Bisogna stare attenti a non fare diventare il tutto una falsità – spiega –. Il campo da gioco deve essere una palestra di vita, non di pietismo. Dobbiamo cercare di far fare un gradino in più a tutti. Non siamo ruffiani”.
A proposito di soddisfazioni, grazie alle amministrazioni comunali della zona o anche alle realtà sportive locali, il Calcio Sociale ha tagliato traguardi di spessore. I ragazzi, in un momento di pausa dalla partita, ricordano volentieri quando salirono sul palco del La Perla per il Premio Aramini 2015, ricevuto dal sindaco Brenda Barnini. Oppure quando a Il Ferrale di Vinci andò in scena la cena per la raccolta fondi, con i quali il progetto va avanti tuttora. Parlano degli incontri con l'Aned per il Viaggio della memoria. O, ultima ma non per importanza, tirano fuori la giornata al Castellani. L'Empoli veleggiava a metà classifica con Marco Giampaolo nel 2015-16, i giovani del Calcio sociale incontrarono gli idoli in azzurro e scambiarono il pallone – e pure qualche autografo – con Maccarone, Croce, Paredes e compagnia bella. “Penso sia una delle cose più belle che abbiamo fatto. Portare tutti a fare il torello coi giocatori di Serie A è qualcosa che rimane” commenta Juri Stabile, mostrando alcuni ritagli di giornale che custodisce gelosamente nel suo ufficio.
“In cantiere ci sono degli incontri al Ferraris Brunelleschi. Un progetto a 360 gradi come questo può attecchire perché non ha vincoli di età”. Il costo annuale del Calcio Sociale è tra tremila e cinquemila euro, ma non ci sono problemi economici. Semmai c'è la volontà di diventare più simili a Roma, a quel Corviale dove i ragazzi hanno giocato nel 2016 in un evento che prevedeva pure incontri sull'integrazione. A Roma la classifica del Calcio Sociale prevede punti extra per chi pulisce, per chi dà da mangiare alla mensa dei poveri, per chi si dimostra 'sociale' nel vero senso della parola.
Quando la partita a Avane finisce, Juri Stabile fa i complimenti ai suoi giocatori, senza parlare del risultato. Si vede che è contento e si nota che per questi ragazzi vorrebbe ancora di più: “Se riusciamo ad avere uno spazio fisico con più ore, se collaboriamo con le scuole, se facciamo anche la partita 'extra-campo' come al Corviale, allora si cresce in tutto e per tutto. L'obiettivo principale deve rimanere comunque intatto, il progetto deve restare aperto a tutti. Se io ho maschi e femmine di culture diverse è Calcio Sociale, altrimenti diventa agonismo”.
Gianmarco Lotti
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