Giorno del Ricordo. L'ANPI invia testo (non letto) al consiglio comunale aperto: "Fu dramma. No a strumentalizzazioni"

Ieri 13 febbraio, si è tenuto a Cascina un Consiglio Comunale Aperto per la ricorrenza del Giorno del Ricordo. A nome dell'Anpi di Cascina avevo mandato alla Presidente del Consiglio un contributo scritto pregandola di leggerlo durante lo svolgimento dei lavori. La mia assenza era dovuta a impegni strettamente familiari.

E' stato deciso di non inserire fra gli interventi il mio contributo, inoltre di tale decisione non sono neanche stati informati i cittadini presenti in Consiglio spiegandone le ragioni! Un altro sfregio all' Anpi è stato consumato, dopo quello compiuto durante la celebrazione del Giorno della Memoria, quando mi fu impedito di parlare in Aula.

Questo l'intervento inviato all'aula:

Signor Presidente, Signore e Signori della Giunta e del Consiglio Comunale, inanzitutto voglio salutare Claudio Bronzin e coloro che sono venuti a Cascina, in questa ricorrenza, a portare la testimonianza delle loro sofferenze dovute alle terribili vicende vissute e all’esodo dalle loro terre natie. A loro e ai familiari desidero rivolgere la vicinanza dell’Anpi di Cascina. La nostra Associazione locale ha tenuto qualche giorno fa una conferenza dibattito rivolta alla cittadinanza e alla quale hanno partecipato anche rappresentanti del Consiglio Comunale, intitolata “Dal silenzio al ricordo” inserendosi nel solco individuato, da tempo, dall’Anpi nazionale nell’approfondire la tragedia che coinvolse negli anni 1943/45 migliaia di italiani.

Alla nostra iniziativa era presente il prof. Pietro Finelli, direttore della Domus Mazziniana; ma i nostri studi sono stati condotti avvalendosi di importanti storici e studiosi per arrivare ad un’analisi libera da pregiudizi, con la pacatezza di chi sa che si sta parlando di vicende estremamente dolorose, che hanno colpito persone e famiglie, in maniera indelebile. L’Anpi l’ha fatto anche per mitigare asprezze, per avvicinare posizioni diverse fra loro. Per troppo tempo sono state dimenticate le storie, le vicende, le identità di migliaia di persone; ma è anche accaduto che le ragioni della ricerca storica siano state sopraffatte da quelle della strumentalità politica. Da ciò un insieme di banalizzazioni, rimozioni ed enfasi, di polemiche, di faziosità, di veleni. L’Anpi ritiene che il filo della storia, in ogni sua sfaccettatura, vada tenuto saldamente nelle nostre mani. Non è in discussione il giudizio relativo al dramma delle foibe, che riguarda l’uccisione, nel 1943 e nel 1945, di migliaia di persone, senza processo o con un processo sommario.

È però necessario aprire una finestra sul contesto storico che precedette quell’infamia che lutti e sofferenze causò alle popolazioni istriane e giuliano-dalmate. Con la fine della Prima Guerra Mondiale, la Venezia Giulia e la Dalmazia furono amministrate dall’Italia, ma oltre la metà della loro popolazione era composta da sloveni e croati. Fin dall’inizio lo Stato Italiano non ebbe la capacità politica e culturale di prendere in considerazione la possibilità di riconoscere alle popolazioni venute a far parte dell’Italia il diritto a mantenere le proprie istituzioni e a partecipare alla gestione amministrativa del territorio in posizione di parità con la componente italiana. Con l’avvento del fascismo le cose peggiorarono. Mussolini nei suoi comizi dichiarava: “Di fronte ad una razza inferiore come la slava, non si deve seguire la politica dello zuccherino, ma quella del bastone.” Molti furono i campi di concentramento realizzati dall’esercito italiano, ove trovarono la morte, per fame e malattie, vecchi e bambini.

E un generale fascista, riferendosi alle persecuzioni nei confronti della popolazione locale affermò: “Qui si uccide troppo poco” invitando le truppe italiane ad essere più crudeli. Si tentò, in sostanza, un vero e proprio genocidio che mirava all’annientamento, delle persone, delle culture e delle tradizioni croate e slovene. Dopo la caduta del fascismo si scatenò la vendetta dei partigiani jugoslavi di Tito contro gli italiani. Vennero perseguitati tutti coloro considerati “nemici del popolo”, arrestati, torturati e poi gettati nelle foibe. E dopo le persecuzioni, le violenze e la morte nelle foibe, circa 250 mila italiani dovettero abbandonare quei territori passati sotto il controllo jugoslavo. I giuliani dell'epoca chiamarono “Esodo”, termine di evidente ascendenza biblica, tale massiccio spostamento. L’obiettivo che questo mio breve e sintetico intervento si prefigge è quindi quello di arrivare, attraverso lo studio, il confronto e l’approfondimento con il sostegno degli storici ad una condivisione di quelle tragiche vicende che hanno segnato il nostro Paese. Grazie!

Fonte: ANPI Cascina

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