
Dalla risposta ai detenuti di Sollicciano alla donazione del suo testamento, il Papa che ha scelto di stare con gli ultimi, anche dietro le sbarre
Un uomo vicino agli ultimi, agli 'scarti', come amava definirli Papa Bergoglio stesso. L’unico che ha dedicato parte del proprio tempo e del proprio cuore a chi vive ai margini. A pochi giorni dalla morte del pontefice, Don Vincenzo Russo - ex cappellano del carcere di Sollicciano e presidente dell’Opera Madonnina del Grappa - racconta il filo rosso che ha legato il Santo Padre alla realtà carceraria, e in particolare al penitenziario fiorentino.
“È stato l’uomo della profezia - dice Don Russo -. Ha donato dignità a tante realtà lasciate indietro da un sistema che troppo spesso ignora la sofferenza”. A distanza di pochi giorni dalla scomparsa del pontefice, il Governo ha proclamato cinque giorni di lutto nazionale, ma Don Russo si interroga: “Quanta di questa vicinanza istituzionale è autentica, e quanta solo di facciata? Le carceri, ad esempio, restano abbandonate, in condizioni disumane”.
Quando era cappellano a Sollicciano, Don Russo racconta di come i detenuti scrivessero al Governo italiano e perfino all’Unione Europea per denunciare la situazione. “Non arrivò mai una risposta. Ma quando scrissero al Papa, in poco tempo ricevettero una sua lettera. Per la prima volta si sentirono ascoltati”.
Una vicinanza concreta, che ha avuto un prezzo. “Quello scambio epistolare con le istituzioni segnò una frattura: alcuni detenuti furono trasferiti, io stesso fui allontanato dal carcere - racconta con amarezza Don Russo -. Perché dentro quelle mura non c’è legge, non ci sono diritti. E chi parla, dà fastidio”.
Ma Papa Francesco non si è limitato a parole. Il suo ultimo gesto prima della morte, contenuto nel suo testamento, ha lasciato commossi e spiazzati: ha donato 200mila euro, cioè tutto ciò che possedeva, ai detenuti del carcere minorile di Casal del Marmo. Un gesto carico di significato: “Ci aspettiamo che ora anche l’amministrazione penitenziaria ritrovi un po’ di umanità”, afferma Don Russo.
La vicinanza di Francesco al mondo carcerario non è stata episodica. Fin dal suo insediamento, ha scelto di celebrare il Giovedì Santo all’interno delle carceri, lavando i piedi ai detenuti uomini e donne, cristiani e musulmani, adulti e minori. Dal carcere minorile di Casal del Marmo nel 2013, passando per Rebibbia, fino a Regina Coeli, dove si è recato anche nel 2018 e poco prima della sua scomparsa nel 2025.
Nel dicembre 2024, ha compiuto un gesto mai visto: ha aperto la Porta Santa del Giubileo proprio nel carcere di Rebibbia, come segno di speranza per chi ha sbagliato ma desidera ricominciare.
Un atteggiamento in piena continuità con la scuola di Don Giulio Facibeni, da sempre vicina agli ultimi e agli emarginati e e alla quale anche Don Vincenzo Russo è legato per impegno e sensibilitào. “Papa Francesco e Don Facibeni - sottolinea Russo - parlavano la stessa lingua: quella dell’amore concreto, della fede che si fa gesto, accoglienza, dignità”.
Niccolò Banchi
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