La ricerca sulle microplastiche? Deve essere “plastic free”
Quando si studiano le microplastiche c’è il rischio che i risultati siano “inquinati”, per questo è importante che le ricerche siano “plastic free”. Uno studio dell’Università di Pisa appena pubblicato sulla rivista Science of the Total Environment ha posto l’attenzione proprio su questo aspetto con riferimento alle indagini sulle acque sotterranee.
“Lo studio delle microplastiche nelle acque sotterranee è un argomento relativamente nuovo. Per evitare possibili contaminazioni, all’inizio della ricerca abbiamo definito un protocollo di campionamento e trattamento dei campioni assolutamente “plastic free”, come del resto prescritto dalla comunità scientifica – racconta il professore Stefano Viaroli dell’Università di Pisa - Arrivati sul campo però ci siamo trovati di fronte a pozzi e piezometri con rivestimenti e tubazioni in PVC e quindi ci siamo chiesti se e quanto questi elementi plastici potessero compromettere la qualità dell’acqua e i risultati complessivi”.
Il campionamento delle acque sotterranee si basa infatti su pozzi di monitoraggio e pozzi d'acqua preesistenti, spesso costruiti con rivestimenti o tubi in PVC che pur convenienti in termini di qualità-prezzo presentano, come in questo caso, aspetti problematici.
Il team di ricerca ha quindi intrapreso una indagine a tappeto sugli studi esistenti, anche se spesso nei vari lavori le caratteristiche di questi pozzi non sono sufficientemente dettagliate. Dai risultati preliminari è emerso che se il PVC supera il 6% della concentrazione totale di microplastiche nei campioni di acqua, è probabile che i rivestimenti e i tubi in PVC siano una fonte locale di inquinamento, inficiando i risultati analitici. Il fenomeno infatti non prefigura allarmi ambientali, anche se studi di fisica o scienza dei materiali avranno in futuro il compito di definire i tassi e processi di invecchiamento del PVC con una quantificazione del possibile rilascio di microplastiche.
“I pozzi essendo un accesso per raggiungere direttamente le falde possono essere un canale preferenziale di contaminazione, sia di microplastiche che di qualsiasi altro contaminante proveniente dalla superficie. Per questo motivo – conclude Viaroli – è importante che siano correttamente protetti con particolare cautela nel caso di campionamento, per ottenere un dato più significativo sul reale stato dell’intera falda acquifera e non solo del singolo punto”.
Il lavoro pubblicato su Science of The Total Environment si inserisce nell’ambito di SPONGE, una Postdoctoral Fellowship finanziata dalla Commissione Europea all’interno delle Marie Skłodowska-Curie Actions e coordinata dall’Università di Pisa partito nel 2022 che ha come obiettivo lo studio delle microplastiche e di altri contaminanti emergenti nelle falde acquifere urbane.
Per l’Ateneo pisano hanno partecipato alla ricerca docenti dei Dipartimenti di Scienze della Terra, di Chimica e Chimica Industriale e del Center for Instrument Sharing (CISUP): Stefano Viaroli, Roberto Giannecchini, Riccardo Petrini, Viviana Re e Valter Castelvetro. Hanno inoltre collaborato docenti dell’Eastern Institute of Technology (China), della Southern University of Science and Technology (SUSTech) (China) e della Kangwon National University (Corea del Sud).
Fonte: Ufficio Stampa Università di Pisa