Restauro degli affreschi di Giotto in Santa Croce, al via le visite sui ponteggi
L’intervento condotto sulle Storie di San Francesco, narrate da Giotto nella Cappella Bardi in Santa Croce, apre un capitolo importante nella storia del restauro e costituisce una irripetibile occasione di conoscenza del maestro fiorentino, accostandoci anche al quotidiano operare di colui che fu uno straordinario innovatore. Ad annunciarlo sono Cristina Acidini, presidente dell’Opera di Santa Croce, ed Emanuela Daffra, soprintendente dell’Opificio delle Pietre Dure (OPD) a cui il restauro è stato affidato. Le motivazioni di questo impegno lungo e complesso sono da ricercare nelle precarie condizioni conservative del ciclo, che arrivavano anche a occultarne una corretta leggibilità.
Numerose e assolutamente preziose sono le informazioni già raccolte a conclusione della prima fase del restauro avviato nel giugno 2022, in forza della collaborazione tra l’Opera di Santa Croce e l’Opificio delle Pietre Dure, con il significativo contributo della Fondazione CR Firenze rappresentata oggi dalla vicepresidente Maria Oliva Scaramuzzi, e dell’Associazione per il Restauro del Patrimonio Artistico Italiano (ARPAI) per la quale è presente la presidente Dominique Marzotto Desforges.
Il progetto viene da lontano e nasce dalla determinazione del compianto Marco Ciatti, già Soprintendente dell’Opificio, che mise a punto e firmò il primo accordo tra OPD, Opera di Santa Croce e ARPAI per il sostegno all’intervento.
L’intervento, preceduto e accompagnato da un’approfondita campagna diagnostica pianificata e condotta dall’Opificio, vede il coinvolgimento attivo di centri di ricerca e professionisti di rilevo internazionale, sotto l’alta sorveglianza della Soprintendenza Archeologia, Belle arti e Paesaggio.
Il Comitato scientifico raccoglie esperti di restauro e alcuni tra i massimi studiosi dell’opera di Giotto: Cristina Acidini (presidente), Giorgio Bonsanti, Sonia Chiodo, Marco Ciatti (venuto a mancare nell’aprile scorso), Emanuela Daffra, Andrea De Marchi, Emanuela Ferretti, Mauro Matteini, Antonella Ranaldi, Serena Romano.
L’impegno economico complessivo è di oltre 1 milione di euro con il concorso dell’Opera di Santa Croce e dell’Opificio delle Pietre Dure, mentre Fondazione CR Firenze e ARPAI intervengono attraverso l’Art Bonus. La donazione di ARPAI è in memoria di Florence e Paolo Marzotto, fondatori dell’Associazione.
Si aggiungono inoltre alcune donazioni private, pervenute attraverso la raccolta fondi #Giving4Giotto, tuttora in corso. Fondazione CR Firenze, oltre all’importante contributo per il restauro, organizza e propone il ciclo di visite “A tu per tu con Giotto”, in anteprima al cantiere di restauro per i residenti a Firenze e Città Metropolitana di Firenze.
Sul ponteggio con Giotto e i suoi aiuti
Un restauro, dunque, che consente di salire sui ponti insieme a Giotto per ricostruire fasi operative e scelte di cantiere e immaginare l’originaria ricchezza di colori ed effetti di questo capolavoro maturo (fu realizzato sicuramente dopo il 1317), in cui l’artista piega le tecniche e i materiali della pittura a servizio di un racconto ricco di intensità, ispirato alla narrazione della vita di Francesco secondo la biografia di Bonaventura da Bagnoregio.
L’Opificio delle Pietre Dure ha utilizzato le sue competenze consolidate e ha fatto ricorso alle tecnologie più avanzate: preceduta da un’accurata fase di documentazione fotografica ad alta risoluzione in luce diffusa, radente e ultravioletta, la campagna diagnostica ha preso avvio dalle indagini strutturali, condotte mediante un’innovativa apparecchiatura no-touch e raffinate con l’ausilio di una termocamera, per comprendere le condizioni della muratura e individuare eventuali disomogeneità, costitutive o di degrado. Sulla base di un rilievo laser scanner è stato ottenuto il modello HBIM 3D dell’intera cappella sul quale integrare tutte le successive analisi.
Numerose le sorprese e tante anche le conferme riguardanti le modalità di lavoro dell’artista. È venuta alla luce una decorazione precedente, probabilmente geometrica; grazie alla termovisione sono state individuate le buche pontaie ed è stato possibile precisare l’andamento e la struttura dei palchi del cantiere giottesco: realizzati a partire dalla metà delle lunette per poter dipingere la volta e poi portati alla base di ciascuna scena. Altre tracce sono riconducibili alle sinopie e al disegno preparatorio, passaggi fondamentali per studiare la composizione pittorica delle scene sulle pareti.
Come nella prassi consolidata Giotto tracciava l’abbozzo di ciascuna scena per pianificare le “giornate” del tonachino, cioè dell’intonaco sottile su cui i pittori avrebbero steso i colori. Questa modalità permette di riscostruire il succedersi nel tempo del lavoro pittorico. La Cappella Bardi porta avanti le sperimentazioni circa l’utilizzo misto di pittura a fresco e a secco, gestito da Giotto con straordinaria capacità progettuale e tecnica.
La tecnica, infatti, e ce lo conferma la presenza delle giornate, era programmaticamente quella dell’affresco, ma il pittore su questa base interviene ampiamente con colori stesi con un legante organico, probabilmente uovo. Può così contare su una gamma di colori più ampia, ottenere effetti chiaroscurali e di tono più intensi, con esiti di accentuato realismo. Tali aree, in parte perdute, si possono ‘rivedere’ e apprezzare grazie alla nuova campagna fotografica in UV che può valersi oggi di una strumentazione molto raffinata.
Il contatto ravvicinato con le pareti rivela poi particolari che ci riportano accanto a Giotto e ai suoi aiuti, nel vivo del lavoro, come le pennellate di prova destinate a valutare il cambiamento di tono prodotto dall’asciugatura dell’intonaco, che sarebbero poi scomparse alla vista con la stesura cromatica a secco, e sono oggi visibili proprio per la perdita di queste campiture (vengono rivelate, ad esempio, ne Il transito di San Francesco).
Una vicenda conservativa tormentata
La cappella ha subito vicende conservative tormentate. Le pitture murali di Giotto, considerato non più alla moda, vengono addirittura nascoste. Nel 1730 sono state infatti coperte da uno “scialbo”, cioè un’imbiancatura a calce. All’inizio dell’Ottocento vengono poi inseriti due monumenti funerari all’altezza del registro inferiore delle pareti laterali che producono perdite irrimediabili.
Ci vorranno centoventi anni per riscoprire la magnificenza solenne e la forza comunicativa di Giotto e del suo Francesco fiorentino: solo nel 1851, mentre si pensa a una nuova decorazione, riemergono infatti porzioni della pittura trecentesca e uno tra i più celebri restauratori del tempo, Gaetano Bianchi, riporta alla luce le pitture di Giotto. Molte tra le diffuse abrasioni, graffi e perdite che segnano oggi in maniera tanto evidente le pareti dipinte, oltre che agli inevitabili danni prodotti dallo scorrere dei secoli, sono dovute proprio all’azione meccanica di rimozione dell’imbiancatura, mentre le grandi lacune che rendono le scene frammentarie derivano dalla rimozione dei due cenotafi. In quell’occasione tutte le mancanze vengono colmate con integrazioni in stile.
L’assetto con cui i professionisti dell’Opificio si sono confrontati e su cui sono intervenuti è però quello conseguente al restauro condotto, tra 1957 e 1958, da Leonetto Tintori che, con la guida del Soprintendente Ugo Procacci, scelse di rimuovere le aggiunte di Gaetano Bianchi per rivelare un Giotto il più possibile ‘autentico’, limitando al minimo le integrazioni pittoriche.
Tintori aveva fatto un ampio utilizzo di fissativi sintetici, soprattutto a base vinilica, la cui alterazione offuscava la cromia giottesca, così come profondamente alterate apparivano le stuccature, realizzate anch’esse con materiali sintetici, non compatibili con quelli originari. A ciò si deve aggiungere una consistente quantità di depositi di polvere, aree a rischio per distacchi tra gli strati di intonaco, fratture, sollevamenti e cadute di colore con una preoccupante presenza di sali.
L’intervento di restauro e le scelte per il futuro
Le diverse problematiche sono state affrontate selezionando materiali e metodologie dopo una preliminare fase di sperimentazione. Le porzioni di pellicola pittorica sollevate dall’intonaco sono state fatte riaderire al supporto con un adesivo acrilico. Per la delicata fase di pulitura sono stati impiegati impacchi di acqua calda deionizzata, mescolata a pasta cellulosica e argilla o strati di carta giapponese, mentre si è optato per solventi organici quando è stato necessario rimuovere i fissativi sintetici applicati nel corso dall’intervento del secolo scorso. Sui costoloni e sui medaglioni delle vele è stato necessario l’utilizzo dello strumento laser.
Questa prima fase, ormai conclusa, ha permesso di ritrovare nella pittura di Giotto una straordinaria freschezza e una ricchezza di dettagli - godibile in pieno soltanto in una visione ravvicinata - che è parte integrante dell’intensità del racconto, facendo ancor più rimpiangere quanto - molto - è andato perduto, che doveva impressionare per gli effetti di realismo e complessità spaziale.
Il risultato di queste operazioni è stato particolarmente eclatante nei registri superiori, le lunette e la volta, dove i sedimenti erano più abbondanti e le puliture precedenti meno attente.
I sali solubili sono stati ridotti mediante impacchi assorbenti, mentre il problema della mancanza di adesione tra gli strati che costituiscono il supporto pittorico è stato affrontato con malte premiscelate a base di calce idraulica iniettate sotto la superficie. Tintori aveva integrato le piccole lacune che segnano con la loro fitta trama l’intera superficie dipinta con impasti vinilici, rimossi e sostituiti con un impasto di calce e sabbia più compatibile con la materia originale.
È aperto, adesso, il confronto sul futuro. A pulitura ultimata è stata avviata la riflessione sulla conclusione del restauro e sulla presentazione finale del ciclo. Una presentazione che, pur senza nascondere i segni delle vicende storiche e conservative subite da un’opera capitale, consenta di ritrovare una visione d’insieme e di leggere in tutta la loro ricchezza le straordinarie invenzioni, soprattutto spaziali, che la caratterizzano.
Un patrimonio da condividere con tutti
La conclusione del restauro è prevista per l’estate 2025. L’Opera di Santa Croce e l’Opificio delle Pietre Dure hanno già concordato che il ponteggio di lavoro, a intervento ultimato, resti al suo posto almeno per ulteriori due mesi in modo da consentire le visite del pubblico che potrà così apprezzare l’opera di Giotto da vicino.
Da ottobre 2024 fino a luglio 2025 è prevista inoltre un’anteprima delle visite guidate nel cantiere di restauro, un regalo della Fondazione CR Firenze ad una parte territorio a cui la sua missione è vincolata. L’iniziativa è su prenotazione obbligatoria, tutte le informazioni sul sito fondazionecrfirenze.it
Giani: "Capolavoro dall'alto valore simbolico"
“La meraviglia di Giotto in Santa Croce, con le Storie della vita di San Francesco, capolavoro trecentesco il cui restauro giunge a un punto di svolta grazie al lavoro di un’eccellenza quale l’Opificio delle Pietre Dure e alla guida dell’Opera di Santa Croce, rappresenta un indiscusso capolavoro che assume un significato simbolico particolarmente alto in questo ottavo centenario delle Stimmate di San Francesco, celebrate con tanti eventi in tutta la Toscana, cui la Regione collabora. Gli affreschi di Giotto, padre della pittura, sono un’esaltazione della bellezza nel ‘tempio delle italiche glorie’, la Basilica di Santa Croce. Il restauro delle Storie di San Francesco nella Cappella Bardi di Santa Croce, che si concluderà nell’estate 2025, sta offrendo nuove preziose informazioni sull’opera di Giotto”.
Così si è espresso il presidente della Regione Toscana, Eugenio Giani, che ieri mattina, giovedì 19 settembre, si è recato in visita ai lavori di restauro delle Storie di San Francesco affrescate da Giotto nella Cappella Bardi di Santa Croce a Firenze.