Uno studio appena pubblicato sulla rivista Science Progress ha identificato due nuovi fattori predittivi del rischio suicidario nei bambini under 12 e ha evidenziato che l’uso dell’intelligenza artificiale può essere di supporto ai medici per valutare il rischio suicidario stesso. Si tratta di un primo studio multidisciplinare, che apre la strada a possibili nuovi impieghi dell’intelligenza artificiale a supporto di una disciplina delicata come la neuropsichiatria, e che porta la firma di medici e ingegneri: coinvolto il team di Psichiatria dell’Infanzia e dell’adolescenza del Meyer, guidato dalla dottoressa Tiziana Pisano all’interno del Centro di eccellenza di Neuroscienze diretto dal professor Renzo Guerrini, insieme a colleghi del laboratorio congiunto T3Ddy (www.t3ddy.org) - del quale sono responsabili la professoressa Monica Carfagni per l’Università di Firenze e l’Ing. Kathleen McGreevy per Meyer - e a Giovanni Castellini, professore associato di Psichiatria Unifi.
Lo studio. Si tratta di uno studio osservazionale retrospettivo che ha analizzato i dati relativi a 237 pazienti ricoverati al Meyer per comportamenti e pensieri suicidari dal 2016 al 2020. Obbiettivo: identificare, a ritroso, quali fossero state le prime “spie”, i fattori predittivi, del rischio suicidario, in questi pazienti. Per ciascuno di loro sono stati raccolti dati epidemiologici e psicopatologici e sono stati divisi in due gruppi: quelli che avevano mostrato una vera e propria volontà suicidaria (ad alto potenziale di rischio per la salute fisica), e quelli che invece avevano manifestato una ideazione suicidaria meno strutturata. Qui sono entrati in campo l’intelligenza artificiale e la statistica: i dati sono stati organizzati e analizzati con modelli matematici e statistici (“metodo delle reti neurali”, “random forest” e “test del chi-quadro di Pearson”). Il risultato?
Due fattori di rischio nuovi. Lo studio di ciascuna variabile ha messo in luce due nuovi fattori statisticamente correlati ad un aumento del rischio di comportamenti suicidari nei bambini under 12: una precedente diagnosi di disturbo oppositivo provocatorio e una precedente diagnosi di disturbo esplosivo intermittente. Non solo: lo studio ha evidenziato che il cosiddetto “comportamento di volontà suicida” (quello per cui il paziente non mostra una reale ideazione suicidaria, ma lancia attraverso questo comportamento una richiesta d’aiuto) è un fattore di rischio importante e fino ad ora sottostimato.
Un nuovo strumento. Il modello predittivo messo a punto dal tandem Meyer-Unifi potrà dunque essere uno strumento in più per identificare precocemente “segnali d’allarme” nei giovani e giovanissimi, anche in quei casi considerati prima a basso rischio. E siccome, come ricorda anche l’OMS, i comportamenti suicidari mostrano una progressione (è cioè più probabile che il suicidio venga portato a termine se ci sono già stati comportamenti precedenti o tentativi autolesionistici) questo strumento potrà essere un supporto utile per mettere in moto azioni preventive e interventi terapeutici precoci: “Questo primo studio è molto promettente perché ci fa pensare che l’intelligenza artificiale possa dimostrarsi uno strumento in più da affiancare alla valutazione clinica dei pazienti, che non potrà ovviamente mai essere sostituita – spiega la dottoressa Tiziana Pisano, responsabile della Psichiatria dell’infanzia e dell’Adolescenza del Meyer – Avere nuovi strumenti per valutare precocemente i rischi per la salute neuropsichiatrica di adolescenti e bambini è fondamentale e sappiamo che il suicidio, tra i giovanissimi, è un’emergenza pubblica: i dati che abbiamo preso in analisi mostrano che il tasso di ospedalizzazione per comportamenti e pensieri suicidari tra il 2016 e il 2020 è passato dal 27,69 al 45,28% e il trend purtroppo è tuttora in aumento”.
Fonte: Aou Meyer IRCCS - Ufficio stampa
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