Intervento robotico su una fibrosi retroperitoneale a Pisa: è la prima volta in Italia
Per la prima volta in Italia, e la quinta al mondo, una paziente è stata operata di fibrosi retroperitoneale con tecnica chirurgica robotica. Ha eseguito l’intervento il professor Riccardo Bartoletti, direttore dell’unità operativa Urologia 1 dell’Azienda ospedaliero-universitaria pisana, coadiuvato dal professor Alessandro Zucchi, dell’Università di Pisa. La paziente – di circa sessant’anni e proveniente dalla provincia di Lucca – è stata operata e, nell’arco di due mesi, ha pienamente recuperato la funzionalità di entrambi i reni.
La fibrosi retroperitoneale è una malattia rara – si registrano circa 0,5 casi l’anno ogni 100mila persone – caratterizzata dalla formazione di tessuto infiammatorio e fibroso nella parete posteriore dell’addome. Tra i sintomi ha un dolore sordo e costante ai fianchi, al dorso o all’addome e, quando sono coinvolti gli ureteri, il dolore può essere di tipo colico. Si possono infettare le vie urinarie e si può infine ostruire l’uretra, portando alla perdita di funzionalità di uno o entrambi i reni. Oltre il 40% dei pazienti può sviluppare una malattia cronica del rene e oltre l’8% è costretto alla dialisi.
Infatti la paziente – costretta a portare per lungo tempo una fastidiosa derivazione urinaria causata dell’ostruzione determinata dalla malattia – era in cura nell’unità operativa Nefrologia trapianti e dialisi, diretta dal professor Vincenzo Panichi.
Non rispondendo ai trattamenti medici e di fronte a un peggioramento delle condizioni, è stata scelta la strada chirurgica. La collaborazione fra urologi e nefrologi su questa patologia era già iniziata da qualche anno, culminando nella redazione di un articolo pubblicato nel marzo scorso da "Urologia internationalis" (Idiopathic retroperitoneal fibrosis: what is the optimal clinical approach for long-term preservation of renal function?). Generalmente, in questi casi, si opera "a cielo aperto" o per via laparoscopica, ma si è preferito utilizzare il robot per puntare a una più ridotta degenza postoperatoria e a un rapido recupero funzionale.
Fonte: Aoup - Ufficio Stampa