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"Nello studio di Enzo Giani", pittore tra San Miniato e Firenze

Cronaca di Andrea Mancini

Di Enzo Giani, San Miniato conserva alcune opere importanti, come una piccola ma intensissima porta, che si apre verso la terrazza di casa Lotti e che riproduce, da una parte – quella interna, più nascosta - una strada di San Miniato, un po’ alla Rosai; mentre dall’altra ci sono quattro scorci della città, con in alto un’immagine di piazza Buonaparte, in un vuoto metafisico, oggi purtroppo difficile anche da immaginare. Enzo Giani ha molti motivi di merito, tra l’altro quello di essere stato padre di Eugenio, il governatore della Toscana, certo un fatto importante, sebbene c’entri poco con la sua carriera artistica, semmai ci spiega una sorta di trasmissione della sensibilità per le cose d’arte, che caratterizza oggi, anche la massima autorità della nostra Regione.

Per il resto Giani (1924-2011), che era originario di San Miniato Basso e che si trasferì a Firenze nei primi anni 60, dopo la prematura scomparsa della prima moglie, va segnalato per una sorta di doppia carriera, quella di operatore nelle Ferrovie dello Stato (era capo stazione anche a San Miniato- Fucecchio, poi a Firenze), e l’altra – che qui ci interessa di più – di pittore. C’è stata una mostra abbastanza recente (2017), curata da Angela Zizzi e Carlo Giani, e con un saggio critico di Luca Macchi, che raccontava tra le altre cose, la realizzazione del decoro murario dell’Oratorio dei Santi Sebastiano e Rocco, in piazza Buonaparte, con la tecnica dell’affresco. Giani partecipò “attivamente a quell’impresa”, realizzando “la decorazione dell’arco trionfale che sovrasta l’altare”.

Alla sinistra di chi guarda “dipinge la figura di un chierichetto” (in molti vi hanno visto raffigurato il figlio Eugenio). Il bambino sposta con una mano una tenda rossa, mentre con l’altra mano porta un cero, creando – dice Luca Macchi - “una simmetria con la porta che esiste sulla destra e che immette nella sagrestia”. Ancora sopra le porte “dipinge due vasi di fiori simmetrici, con una elegante teoria di angioletti che vanno verso l’alto”. Per questo lavoro è possibile - lo nota ancora Macchi – confrontarsi con i molti studi presenti nella casa fiorentina di Giani, che testimoniano “la serietà con cui affrontò l’impresa nonché le modifiche e i cambiamenti avvenuti in corso d’opera”.

Lo aveva coinvolto il pittore Dilvo Lotti, amico e maestro di tutta una vita; Enzo, tra l’altro, lasciò nella casa di Dilvo, in via Maioli 22, a pochi metri dal citato Oratorio, una interessantissima porta, che conferma, se ce ne fosse bisogno, la maestria del personaggio, e che ce lo fa studiare anche oggi, a partire appunto da una mostra che ha rimesso insieme una vasta parte della sua produzione. Ebbene, siamo davanti a quadri, a volte non completamente risolti da un punto di vista tecnico, ma straordinari dalla parte dell’espressività. Come a dire: davanti a noi c’è un grande artista, così come testimoniato da una serie di opere di notevole interesse, sebbene alcune mostrino limiti tecnici, dovuti ad una educazione da autodidatta, che però ha sempre avuto l’arte come fine ultimo.

Sono ad esempio straordinari i paesaggi che testimoniano l’abbattimento, da parte delle truppe tedesche in ritirata, della Rocca Federiciana; con San Miniato rimasta senza il suo simbolo - quell’alta torre voluta dall’Imperatore - che si ergeva da qualsiasi parte si guardi: dal senese, come dal fiorentino, dal pistoiese e dalla lucchesia, come dalle colline pisane. Per quasi quindici anni, dal 1944 al 1958, San Miniato non ha avuto la sua Rocca, ma nessuno o quasi ne ha dato testimonianza, non esiste quasi niente che lo racconti, se non – appunto – una serie di opere di forte drammaticità dipinte da Enzo Giani, che probabilmente guardava alla città dalla fine di viale Marconi, località Stazione dei treni, e ne vedeva la distruzione, mettendola con rara efficacia sulla tela o su un altro supporto.

Nel catalogo della mostra di palazzo Grifoni c’è una foto che racconta proprio questo lavorio, il pittore è di spalle, sta realizzando la sua opera, siamo nel 1956, la ricostruzione deve ancora ricominciare, davanti a lui c’è una lunga tavola e sullo sfondo il paesaggio. Si tratta di un oggetto importante – e anche un po’ inquietante - nella storia della città. Sono del resto diverse, le opere di Giani che possono turbare l’interlocutore, raccontano una San Miniato molto particolare, una città vista con gli occhi del dramma, spesso con una ambientazione contemporanea del martirio di Cristo o di altri santi (ad esempio nel quadro dedicato a Santo Stefano, dove si riconosce lo stesso pittore), il tutto risolto con tecnica espressionistica. Potevamo scrivere “alla Dilvo Lotti”, se queste opere non mostrassero una loro forza, una loro autonomia e originalità, che le rende appunto di grande interesse in assoluto. Non è certo per caso che, in un’altra mostra su “L’immagine di San Miniato”, realizzata più di recente a Palazzo Grifoni, dallo stesso Macchi, grazie alla Fondazione San Miniato Promozione, i quadri di Giani, fossero in posizione privilegiata, proprio perché imprescindibile testimonianza di un momento storico, ma anche perché di grande interesse artistico.

C’è poi un’ultima parte nella carriera di pittore, quando, almeno a partire dalla fine degli anni 60, Giani si è lasciato vincere dal colore, arrivando all’astrattismo, ad un cromatismo che era vicino alle sue prime opere, ma con soggetti che adesso esaltavano il colore e non la forma. Noi abbiamo visto soprattutto paesaggi alcuni assolutamente informali, anche se ce n’è uno che richiama di nuovo l’immagine di San Miniato (1995). Siamo assai più in là nel tempo, sembra una specie di ritorno a casa. Anche quest’opera era esposta nella monografica su Giani del 2017, il quadro è ottenuto grazie a riquadri di colore, tra i quali spesso fanno la loro comparsa le facciate di piccole abitazioni, ma si intuisce il cielo e su quel cielo una Rocca, finalmente ricostruita, riaperta al pubblico che da lassù, nei giorni di sereno, vede gran parte della Toscana.

Alla fine della loro presentazione, Angela Zizzi e Carlo Giani scrivono a proposito dell’esposizione da loro ordinata, che la mostra non è organizzata solo per far vedere “l’arte di Enzo Giani o i suoi scorci di San Miniato che comunque rappresentano un’utile documentazione storica di questo territorio, bensì per tentare di dare una visione a tutto tondo di un uomo che nella sua riservatezza ha rappresentato un modello di forza, di integrità e rettitudine (…), non per decantarne le glorie… ma per mostrare il percorso che ha compiuto, un percorso fatto di continua ricerca, studio, impegno e sacrificio. Il percorso della sua vita”.

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