Don Guido, il 'sessantottino' che scelse Gesù: "La fede è un valore radicato a Empoli"
19 aprile 1973 – 19 aprile 2023, 50 anni a servizio della Chiesa per don Guido Engels, proposto di Empoli dal 2009 ed in città da molti anni prima. Un empolese di adozione, ormai, che riallaccia il nastro della sua vita fino all’adolescenza, quando decise di dedicare la sua vita a Gesù Cristo.
Come nasce la sua vocazione?
In vari modi. Prima di tutto da un progetto di Dio che mi si è chiarito col tempo e che ho visto da una serie di eventi.
Tipo?
Lasciando perdere piccoli segni, ce ne sono altri più importanti ed evidenti come il fatto che i miei genitori, ad un certo punto nel 1965, hanno deciso di tornare da Bologna a Firenze come sognavano di fare da anni. Se fossi rimasto a Bologna forse mi sarei sposato ed avrei fatto una vita diversa. Mi ero già riavvicinato alla chiesa tramite un mio compagno di banco presso una parrocchia salesiana che non era la mia di origine. Ma il momento decisivo per la vocazione fu a Firenze.
Cosa avvenne?
Era l’estate del ’64 e a Firenze c’era un’aria diversa, più in linea col cambiamento che stava avvenendo nella Chiesa durante il Concilio Vaticano II. Si viveva una chiesa diversa, più viva, più staccata dal tradizionale. E lì ho incontrato preti particolari fra i quali Beppe Pratesi, uno dei cosiddetti preti operai, che poi ho rivisto di nuovo personalmente nel 2022. A Firenze trovai anche un giovane Gualtiero Bassetti che fu molto importante per la mia vocazione, perché vedevo in lui un prete vicino alla gente.
In casa come fu vissuta la sua decisione?
Mia nonna era di chiesa, molto legata all’azione cattolica anche se sposata con un comunista, cosa strana a quei tempi. I miei genitori erano praticanti anche se immaginavano per me una vita diversa. All’inizio, così, non erano tanto convinti e mio babbo mi disse che, prima di prendere la decisione, avrei dovuto terminare il liceo, cosa che feci.
Quando entrò in seminario?
Era l’ottobre del 1967.
Chi la ordinò sacerdote il 19 aprile del 1973?
La mia fu una delle ultime ordinazioni di monsignor Ermenegildo Florit a cui successe Giovanni Benelli che, fra i suoi ultimi atti, mi trasferì a Empoli.
In quale parrocchia iniziò?
Finito il seminario nel 1972 sono stato un anno a Campi Bisenzio per il periodo di prova fino all’ottobre del 1973. Da lì 8 anni vice ai Santi Fiorentini di un grande parroco, don Onorio Masetti. Dopo, dal 1981, due anni a Empoli da vice di monsignor Cavini e, dal 1983 al 1988, parroco a Spicchio per decisione di Monignor Silvano Piovanelli. Al ritorno di don Piero Sabatini dal Brasile, andai a Ponzano dove ho fatto il periodo più lungo di servizio pastorale, ben 17 anni e mezzo. Avevo anche la parrocchia di Villanova. Dall’ottobre 2006 a fine settembre 2008 sono passato a San Giovanni Evangelista.
Perché solo due anni?
Non è che le cose non andassero bene, solo che nessuno voleva la responsabilità di essere proposto di Empoli ed Antonelli scelse me dopo aver sentito anche altri parroci dl Vicariato, come seppi da qualche colloquio con alcuni di loro.
Quando decise di entrare nel Cammino neocatecumenale di cui fa parte ancora oggi?
E’ un’altra storia che ha inciso molto sulla mia vocazione.
Perché?
Una volta entrato entusiasta in seminario, mi trovai di fronte ad un mondo che stava cambiando. Era l’ottobre del 1967 e già al liceo si sentivano avvisaglie della contestazione del ’68. Ebbi una crisi anche per le mie frequentazioni con i preti operai e si arrivò a pensare che, per cambiare la società, il Vangelo non bastasse più. Ci voleva una svolta rivoluzionaria e radicale figlia del clima che si respirava. Iniziai a mettere in dubbio il mio farmi prete per questo distacco fra il nuovo mondo e la chiesa che era più schierata verso il capitalismo.
Qui incontrò il Cammino?
Sì, la proposta di Kiko e Carmen con i quali, al tempo, collaborava anche Don Cuppini di Bologna.
Fu un completamento per lei?
Diciamo che fu la svolta. Capii che la vera rivoluzione è quella di Cristo che da Dio si è fatto uomo, pendendo su di sé i peccati del mondo, e dando la propria vita. Serviva una svolta iniziando da me e non dagli altri, questo mi convinse. Poi il mio cambiamento avrebbe coinvolto anche gli altri; e toccai con mano che, facendo le catechesi nelle parrocchie ed anche in altri ambienti, la gente accoglieva il messaggio. Era quello che si aspettava.
Era già consacrato quando aderì alla proposta di Kiko?
No, erano gli ultimi due anni di seminario. Lo iniziai nel dicembre del 1971, dopo aver lavorato l’estate prima in una fabbrica vicino a Francoforte che era la più grande in Europa per infissi e porte di acciaio e dove andai anche l’estate successiva.
Si può dire che senza il Cammino non sarebbe diventato prete?
Sicuramente ebbe un peso notevole. Correvo il rischio di diventare uno di quei rivoluzionari che frequentavo e che volevano la lotta armata. Non l’ho mai fatta, ma il rischio era reale. A quel punto forse prete non sarei diventato. Ci furono anche due che abbandonarono la tonaca mentre un altro, proprio col Cammino, restò e proseguì nel suo ministero.
Si dice che Dio, quando affida un incarico, da anche la forza di affrontarlo. L’idea di sostituire Monsignor Cavini la visse come un peso?
No, anche se speravo di restare a Ponzano. Poi San Giovanni Evangelista, nonostante sapessi del dispiacere dei ponzanesi, fu per me un salto di qualità perché il Cammino era forza trainante della parrocchia, forse trascurando anche altri aspetti che cercai di riequilibrare. A Sant’Andrea mi forzò il Cardinale Antonelli, perché c’era un gran lavoro da fare sia come prete che come organizzatore.
Vista ora ebbe ragione Antonelli?
Può essere, di fatto ho visto che, dopo alcuni anni molto duri all’inizio per indirizzare la parrocchia, ora mi trovo in una realtà dove ci sono molti gruppi che ho sempre accolto e sostenuto perché tutti possono dare un contributo importante. Al tempo mi confortò, oltre alla spinta di Antonelli, anche il fatto che molti parroci del vicariato avevano indicato me per la Collegiata.
Lei ebbe il Covid prima dei vaccini: come lo ha vissuto?
Mi prese in un buon momento perché molti problemi pratici, ovvero economici ed organizzativi, ma anche di rilancio spirituale si stavano risolvendo. Ero quindi tranquillo anche quando mi fu detto di andare in ospedale. In fondo era la prima volta che ci andavo in 73 anni di vita.
Ha avuto paura?
No, anche se sono stato in terapia intensiva e poi con il casco, vissi tutto serenamente, confortato anche dalla preghiera e dalla vicinanza delle persone.
Quando va in pensione Don Guido?
A novembre compio 75 anni e mando la lettera di dimissioni, riconsegnando il mio mandato di parroco al vescovo. Poi stabilirà lui.
Quindi i tempi non si sanno
No, anche se mi aspetto di essere ancora qui fino a settembre del 2024. Ma può essere anche diversamente.
Ma lei un successore l’ha in mente?
Sinceramente no.
Sarà nel clero empolese o non è scontato?
Non si può sapere. I miei vice-parroci mi hanno fatto notare una cosa, ovvero il rischio che restando in zona, anche in altra parrocchia vicina, non si finisce mai il rapporto affettivo con la gente e si viene continuamente richiamati a partecipare alla loro vita, finendo per aumentare a dismisura il lavoro pastorale.
Un rischio che però lei ha già corso
Se devo dire la verità, l’essere ormai da 40 anni a Empoli, mi consente di fare il Proposto perché, da una parte è un peso vista l’impossibilità di avere tempo libero, ma dall’altra è un’occasione per rilanciare in questa città il valore grande della fede e del Vangelo. Oggi ce n’è tanto bisogno.
Ma la fede è un valore presente in città?
Ci sono tante persone che la desiderano mentre altri restano un po’ a guardare. Ho visto in tutti questi anni in città una situazione inversa a quella nazionale. La gente non si è allontanata ma riavvicinata.
Il suo è un messaggio di speranza?
Sì. Anche se negli ultimi dieci anni questa tendenza si è un po’ fermata. Siamo passati ad una richiesta di un qualcosa di qualità. La gente vuole qualcosa di più serio, c’è una richiesta di una fede più matura che predilige la qualità alla quantità. Questo anche con i giovani che vanno ascoltati per dare loro risposte che non siano calate dall’alto.
La Chiesa è in grado di dare queste risposte?
La Chiesa che segue Gesù e gli apostoli lo è. L’uomo ha bisogno delle risposte fondamentali e di un certo tipo di vita, cosa che il Vangelo può dare.
Chiudendo possiamo dire che nel 2024 Empoli avrà il sindaco ed il Proposto nuovi?
Il sindaco sicuro, l’altro può essere.
Questa sera alle 18.30 in Collegiata è in programma una Santa Messa solenne concelebrata dai parroco del Vicariato per i 50 anni di sacerdozio di Don Guido
Marco Mainardi