GoBlog - Alfonso D'Orsi
Reaching for the Stars a Firenze: i nuovi linguaggi, le provocazioni e noi
Quanto è lontana l’arte contemporanea dalla contemporaneità? Difficile stabilirlo visto che i numeri delle visite e degli ingressi alle mostre d’arte contemporanea sono altissimi.
E’ opinione diffusa che l’arte contemporanea sia difficile da capire, da leggere per il grande pubblico. Il visitatore medio storce il naso di fronte ad un monocromo di Piero Manzoni.
L’arte astratta ed ancora meno quella concettuale non hanno avuto molto collante. Si tratta tuttavia di fenomeni artistici vecchi ormai di quarant'anni che di contemporaneo hanno poco o nulla. Basta guardare agli artisti dei giorni nostri. Forse per il cambiamento di rotta dei tempi, così vanno i movimenti artistici, ma sono spariti gli astrattisti, i concettuali, i materici.
Insomma, quando andiamo ad una mostra di arte contemporanea c’è di nuovo qualcosa da vedere.
Non è tutto, però, semplice come sembra. Potrebbe capitare di trovarci di fronte ad un fantoccio di uomo impiccato. Realissimo, tanto fedele alla realtà da sconcertare.
Tranquilli, è il solito Maurizio Cattelan.
Oggi parliamo della mostra aperta alla Fondazione Palazzo Strozzi: Reaching for the Stars. Da Maurizio Cattelan a Lynette Yiadom-Boakye, mostra che propone una celebrazione delle stelle dell’arte di oggi attraverso oltre 70 opere dei più importanti artisti contemporanei italiani e internazionali, tra cui Maurizio Cattelan, Cindy Sherman, Damien Hirst, Lara Favaretto, William Kentridge, Berlinde De Bruyckere, Sarah Lucas, Lynette Yiadom-Boakye.
Promossa e organizzata dalla Fondazione Palazzo Strozzi e Fondazione Sandretto Re Rebaudengo, Reaching for the Stars esplora le principali ricerche artistiche degli ultimi anni.
Perché visitare questa mostra.
Al di là di ogni speculazione di critica ed analisi dell’opera d’arte, la mostra si concentra su quei protagonisti che hanno davvero imposto un nuovo linguaggio.
Questo non significa che siano per forza di cose dei rivoluzionari dell’arte ma sicuramente pesano sulla considerazione che il pubblico ha oggi dell’arte. Artisti che formulano immagini più immediate a livello di percezione visiva e che pongono il visitatore ad interrogarsi su temi sociali e politici. Le opere qui esposte si collegano a fatti accaduti ancora presenti nello sviluppo della nostra contemporaneità; attraverso riferimenti a eventi storici come l’11 settembre 2001 o le lotte per i diritti civili.
Guardare il cielo
La mostra comincia con l’imponente razzo di Goshka Macuga, posizionato nel cortile, che punta letteralmente alle stelle e sembra in attesa di venir lanciato. Evocando la speranza di salvezza del genere umano in altri mondi, Macuga vuole portarci verso nuovi pianeti, incoraggiandoci a guardare il cielo. Atterriamo su un nuovo pianeta per incrociare le figure partorite dalla mente degli artisti come replicanti ibridi di Avery Singer, i paesaggi galattici e stellari fotografati da Thomas Schütte.
Di cosa parla l’arte a Palazzo Strozzi?
Parla di noi, del corpo e dell’individuo come sistema all’interno di una collettività. Curata da Arturo Galansino, Direttore Generale della Fondazione Palazzo Strozzi, l’esposizione si pone come celebrazione dei trent’anni della Collezione Sandretto Re Rebaudengo, una delle più famose e prestigiose raccolte d’arte contemporanea a livello internazionale, restituendone in modo aperto la varietà, l’evoluzione e il suo essere costantemente in progress.
L’arte contemporanea è Donna
Fortissimo è il ruolo e l’immagine della donna nella società di oggi. La presenza di artiste in questa mostra è preponderante. E’ meraviglioso, ad esempio, vedere l’artista iraniana, Shirin Neshat, che aveva già iniettato la dose di coraggio che oggi sostiene le donne nella lotta per i diritti civili in Iran.Nella stessa sala troviamo l’opera: Untitled Film Still (1978-1980) di Cindy Sherman.
Lei proviene da un altro mondo, benché Occidentale, la donna di Sherman è un pretesto per affrontare i linguaggi massificati che imprigionano l’estetica femminile. Due donne a confronto. Due forme di dittatura del sistema: spogliarsi e coprire.
Il corpo della donna è il centro del dibattito
In mostra troviamo Barbara Kruger, oggi artista affermata che con l’opera: Untitled (Not ugly enough) del 1997. Kruger utilizza ingrandimenti di foto in bianco e nero tracciati da stringati aforismi nelle font Futura Bold Oblique o Helveticama sovraimpressi su fasce rosse o nere; realizza opere con soggetto femminile che esaminano l’ideologia dei mass media da una prospettiva femminista. Proprio lei che tra gli anni Sessanta e Settanta, lavora come grafica e photo editor per riviste come “Mademoiselle”, “Vogue”.
Troviamo l’artista rumena, Andra Ursuţa, classe 1979, è nata nella piccola cittadina di Salonta, che lascia nel 1997 per trasferirsi negli Stati Uniti. Nell’arte di Andra il corpo femminile è una figura surreale e misteriosa, che allude a corpi in movimento, a corpi femminili autoritratto, combinati con elementi spettrali della cultura popolare, come teste acefale.
Vanessa Beecroft pone al centro del suo lavoro la rappresentazione del corpo femminile, in una sperimentazione continua tra performance – che attingono, oltre che all’attualità socio politica, alla storia dell’arte con citazioni di opere del passato – e la pratica disegnativa, come attesta il Disegno qui esposto. Il laconico titolo indica il punto di partenza del modus operandi dell’artista, che nella figura anoressica pone l’accento sul tema del rifiuto del proprio corpo.
Il ritorno alla Pittura
Non solo copri e sculture. L’arte del domani si riappropria della pittura, sempre in dialogo con astrazione e figurazione ed è forse questa la sua salvezza. In mostra troviamo la ricerca pittorica di artisti molto giovani come Lynette Yiadom-Boakye, Sanya Kantarovsky, Michael Armitage, Cecily Brown, Avery Singer.
Le star italiane dell’arte di oggi
Tra gli artisti che incontriamo lungo il percorso espositivo, troviamo la milanese Paola Pivi.
Il suo è un linguaggio immaginario, ancestrale che modifica il confine tra ciò che è reale e ciò che non lo è: così come il grande Orso polare bianco che sonnecchia sul pavimento della sala. E’ un'immagine tenerissima ma allo stesso tempo inquietante; le sue opere sono tutti soggetti che rendono reale una dimensione onirica e che ridefiniscono al contempo il concetto di “impossibile”
L’arte deve continuare ad essere provocazione
Qui troviamo il maestro della provocazione, della carica dissacrante dell’arte, Maurizio Cattelan, che con Bidibidobidiboo, 1996, ci porta uno scoiattolo tassidermizzato ed una formica, stecchiti in bella posta al centro di un tavolino. E con La rivoluzione siamo noi, 2000 che Cattelan ci porta al punto più alto dell’eredità dell’arte Dadaista.
L’opera è curiosissima. Ci troviamo di fronte ad un Cattelan in miniatura, appeso a un attaccapanni (disegnato da Marcel Breuer); vestito come Joseph Beuys con una tuta di feltro - che il compianto artista tedesco aveva indossato nel durante la sua performance Isolation Unit nel 1971. L’opera è stata presentata per la prima volta al Museo Migros di Zurigo nel 2000. Così come allora, il suo manichino- fantoccio dell’arte, occupa una grande sala e sembra rannicchiarsi timidamente, apparentemente imbarazzato come uno spettatore ignorante.
Drammaticamente ironico è Lullaby, opera ancora di Cattelan, sacco che raccoglie le macerie dell’attentato mafioso del luglio 1993 al PAC di Milano, costato la vita a cinque persone.
Concedetemi un focus su uno degli artisti più sensazionali della nostra epoca: Josh Kline (Philadelphia, 1979). Esordisce in Italia a Torino, proprio alla Fondazione Sandretto Re Rebaudengo nel 2017.
Con Thank you for your years of services; Wrapping Things Up del 2016, Kline ci presenta
dei corpi umani, due impiegati chiusi in sacchi trasparenti. Scarti umani! I due lavoratori, chiusi in un sacco di plastica e pronti per essere gettati nell’immondizia, prefigurano un futuro distopico in cui si assisterà alla cancellazione della dignità delle persone, “forza lavoro” eliminata e sostituita da macchinari e dall’intelligenza artificiale.
Sculture, ovviamente, ma che ci riportano alla mente le immagini della cronaca più nera, o peggio, alle forme fantasiose di morte degli esseri umani colonizzati da intelligenze aliene.
Sono i corpi dell’umanità spazzatura, vittima di un progresso tecnologico che ha sbagliato qualcosa con noi.
Il medium del Video sempre più attuale.
Artisti come Fabrizio Plessi e Bill Viola, quarant'anni fa lo avevano già immaginato che lo schermo sarebbe diventato la cornice dell’opera d’arte. La video arte chiude la mostra ed il nostro percorso con un’ampia sezione dedicata alle opere manifesto di artisti quali William
Kentridge, presente con History of Main Complaint (1996), Douglas Gordon e Philippe Parreno, con la celebre videoinstallazione Zidane. A 21st Century Portrait (2005) e Ragnar Kjartansson con The End – Rocky Mountains (2009). E’ molto suggestivo il video dell’egiziano Wael Shawky, che rilegge le Crociate da un’ottica musulmana, trasformando la narrazione in uno spettacolo musicale di marionette grottesche.
Reaching for the Stars è un viaggio intergalattico nel cosmo dell’arte, un itinerario lungo e articolato, attraverso fenomeni e figure chiave del contemporaneo: le stelle che ci indicano il cammino. E proprio una stella è il simbolo della collezione formata da Patrizia Sandretto Re Rebaudengo di cui questa mostra celebra il trentennale, dalle prime acquisizioni nella Londra ruggente di inizio anni Novanta fino alle ultime commissioni agli artisti emergenti degli anni Venti del nuovo millennio.
Alfonso D'Orsi
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