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Nello studio montopolese di Mauro Petralli, tra i suoi 'giochi antichi'

(foto Antonio Prugna)

Vive dentro il suo nido d’infanzia, anche se presto, con non poca sofferenza, se ne distaccherà. Si tratta di uno spazio di forte suggestione, appena fuori dal centro di Montopoli, dove il padre aveva la sua bottega di maniscalco e fabbro. Sulle pareti, annerite dal fumo, ce ne sono ancora le tracce, con i ferri, sparsi un po’ dappertutto. Adesso i suoi quadri, stesi lungo tutto lo studio, ne aumentano se possibile la magia, pare di entrare nella fucina di un mago, o forse nell’antro di antiche streghe.

Mauro Petralli dipinge da sempre, fino dalle scuole medie, alla fine degli anni 60 – quando era allievo di un grande Paolo Ciampini, che gli avrebbe poi insegnato anche presso l’Istituto Magistrale. Il ragazzo, non ancora pittore, mostrava già i segni di una notevole capacità tecnica e anche ideativa. Forse era predestinato a frequentare l’Accademia di Belle Arti, a Firenze o altrove, ma – lui dice – “Montopoli è un piccolo centro, e l’esempio di Menotti Pertici non era dei più felici, un bravo pittore, ma anche un uomo di economie modestissime”.

Un morto di fame, diciamo noi, come molti artisti, destinati a vite marginali. Per questo la famiglia di Mauro Petralli scelse per lui un’altra strada, che però non ha mai voluto dire dimenticarsi dell’arte e della pittura. Tante mostre, numerose affermazioni, anche se – andandolo a trovare – scopriamo che vive in un mondo tutto suo, fatto di sogni, di ricordi di infanzia, spesi nel particolarissimo luogo che, prima di lui, è stato l’officina dove suo padre, per tutta la vita, ha fatto il maniscalco e fabbro. Questo spazio, con le pareti bruciate dal fuoco, è pieno di ferri di cavallo, ma anche di tanti attrezzi per lavorare i metalli: il pesantissimo martello, la grande incudine, la forgia, la morsa, e poi altri oggetti realizzati negli stessi materiali, ad esempio quelli creati per i lampadari, della ditta di terrecotte di Dante Milani, dove in molti artisti collaborarono, da Silvio Bicchi a Menotti Pertici, fino appunto al padre del nostro Petralli, che era solo un bravo artigiano.

Insomma, in questa, che assomiglia alla grotta delle streghe del Macbeth, Mauro ha il suo laboratorio, il regno delle fantasia, ma anche quello dove ha elaborato una notevole capacità tecnica, che qualcuno ha chiamato “acqua-fresco”. Infatti, nei suoi quadri – come nell’affresco - è necessaria una grande quantità di acqua, che impregna l’opera, penetrando nei pori del materiale, lì la calce, qui una tela particolare che si chiama fiselina. Petralli parte dalla struttura stessa dell’opera, cioè l’esecuzione – da bravo artigiano – dell’anima in legno, sulla quale in genere applica una tavola leggera, su questa inizia la pittura vera e propria, stendendo colori, sempre tenui: rosa fucsia, azzurro pallido, verde e marrone di poca intensità.

Colori stesi senza intuirne i contorni, contorni che naturalmente sono già nella mente dell’artista. Su un quadro che a noi non dice ancora niente, Petralli può cominciare a parlare per minuti, forse addirittura per ore, raccontando, o meglio evocando visioni straordinarie, momenti della sua infanzia, in luoghi che non sono più quelli di un tempo, dove Mauro rivede i giorni che magari vi ha passato. Pensiamo ad esempio all’asilo di Montopoli, tenuto dalle suore, nell’edificio che oggi ospita il Museo Civico. Un giorno Petralli ha “rivisto” la giostra della sua infanzia, una povera giostra fatta girare a mano, con i cavallini che da allora, ha cominciato a dipingere nelle sue opere, come se – appunto – riaffiorassero, neanche troppo nitidamente, nel ricordo dell’artista.

Sono opere, realizzate in una forma particolare, ottenuta con l’applicazione di uno strato di fiselina (una tela che si usa per dare corpo alle strutture degli abiti, ad esempio la parte delle spalle nelle giacche, ma anche zone interne dei pantaloni o delle gonne). Questa preparazione rende il soggetto del quadro più distante dalla vita reale, con le cose e le persone che rimangono evanescenti, vicine appunto al sogno.

Petralli è riuscito a lavorare la tela sia da dietro, prima di applicarla sulla tavola, che da davanti, quando il procedimento è nella sua fase finale. Usando tinture particolari, tra l’altro una lastra di ferro arrugginito, che “sporca” la fiselina, rendendo l’opera più astratta. Poi applicando colori acrilici sopra al supporto, trattato soprattutto con molta acqua, che serve a diluire il colore durante tutto il procedimento.

La fiselina – dice Petralli - può “essere disegnata e dipinta sia sul davanti che sul retro, una volta asciugata e scelto il lato che interessa, questo supporto viene intelaiato e il dipinto portato a termine. La caratteristica dell’acquafresco è che il colore penetra a fondo all’interno della fiselina, dando effetti di velature e sfumati molto particolari”.

Il tutto per creare un’atmosfera onirica, con una serie di elementi ricorrenti, abbiamo parlato dei cavallini, ci sono poi fanciulli un po’ d’antan, che assomigliano a quelli della Classe Morta di Tadeusz Kantor, ventagli, stelle marine, conchiglie, vecchi treni, figure con ombrelli, poi numeri, lettere, fossili e altri elementi che possono contribuire ad aumentare la distanza tra le sensazioni dell’artista e quelle di chi osserva il quadro, che spesso si lascia vincere dalla suggestione, per un’infanzia povera, semplice, ma anche felice, un momento della vita ricco di piccoli giochi, di piccoli sentimenti, ma evidentemente per Petralli di particolare importanza.

Poi Mauro inizia a raccontare il suo rapporto con il pittore Romano Masoni, da cui ha imparato l’amore e le possibilità dell’espressione artistica, ma anche ad usare la fiselina, a sua volta sperimentata secondo tecniche assolutamente originali. E ancora con tanti altri pittori, che nei primi anni 80 ruotavano intorno ad un laboratorio importante, com’era il Centro di attività espressive di Villa Pacchiani a Santa Croce sull’Arno. Petralli descrive la suggestione provata negli incontri con questi compagni di viaggio e davanti alle mostre dei grandi pittori, viste intorno a quegli anni, magari insieme agli amici artisti.

Ma, mentre si racconta, dice anche che questa è la storia passata, adesso il suo più grande appagamento è poter passare qualche ora nel suo studio, anche durante la notte, lasciandosi prendere dal gioco della memoria, creando mondi che vivono poco più in là della sua mente, ma che possono interessare a molti. Per una sorta di pittura vintage, che va sempre a cercare un passato mai troppo recente, per restituirlo attraverso un vero e proprio diaframma, qualcosa che lo distanzia, ma anche lo avvicina al cuore di chi ha una sua sensibilità.

Così appunto Mauro Petralli, un uomo che mal si accorda con la contemporaneità, ma che può – se vogliamo – farci giocare con le sue palline colorate, o con altri giochi antichi. Senza una vera nostalgia, semplicemente restituendo una vita anche alle foglie morte, alle storie del passato, che possono tornare utili anche in un tempo come è il nostro presente, sempre più distratto sulle cose che davvero contano.

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