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I segreti della Madonna Robbiana del Castello di Vinci
di Tiziana Berni
tempo di lettura: 4 minuti
Ogni anno migliaia di turisti visitano il Museo Leonardiano, ma la maggior parte dei cittadini di Vinci a volte sembra quasi dimenticare questo tesoro, forse perché troppo a portata di mano. Tuttavia, quando ospitiamo parenti e amici lontani, cogliamo l’occasione per tornare in Castello e ogni volta scopriamo cose nuove e interessanti.
Di recente ho accompagnato al museo un mio nipote con la giovane moglie, che lo visitava per la prima volta e che, oltre a essere rimasta entusiasta di tutto, è stata colpita anche dalla bellezza della Vergine di Giovanni della Robbia, la maestosa pala (2 metri per 1,50) che troneggia nella sala del podestà. Abituata fin da piccola ad ammirarla in quel luogo, non avevo mai dato l’importanza che merita a questa straordinaria pala d’altare di ceramica policroma, raffigurante la Vergine con Gesù Bambino e San Giovannino, realizzata dal grande Giovanni della Robbia. Eppure non è per niente scontata la sua presenza nella sala del castello dei Guidi e si devono all’interessamento dell’appassionato bibliotecario Renzo Cianchi il ritrovamento e la collocazione nel luogo originario.
Molti sono a conoscenza delle vicissitudini di questa pregevole opera, ma ripercorro volentieri alcuni momenti della sua incredibile storia che nasconde ancora oggi tanti punti oscuri. La pala fu commissionata da Giovacchino di Filippo Macinghi e dalla moglie Francesca di Manfredi de’ Rossi a Giovanni della Robbia per farne dono al paese di Vinci, del quale l’uomo era stato Podestà nel 1523 e difatti fu murata in una parete della sala di Consiglio del Castello. Alcune fonti riportano che il bassorilievo sia stato staccato dal muro, addirittura a pezzi, nel 1774, quando Vinci perse la sua autonomia a causa dell’accorpamento con Cerreto Guidi; caduto poi in mano ai trafficanti se ne persero le tracce. Altri studi invece avvalorano l’ipotesi che il tabernacolo sia stato asportato dalla sua dimora nel corso dell’Ottocento dai signori Martelli, allora proprietari del Castello, prima della vendita al Conte Masetti (così riporta il diario della “Gita a Vinci del 1872” di Gustavo Uzielli e Telemaco Signorini). Il Consiglio Municipale, il 1° maggio 1865, tentò con ogni mezzo di recuperare la scultura, ma gli innumerevoli cambi di proprietà cui era stata soggetta l’avevano resa del tutto irreperibile e dopo ulteriori vani tentativi, il 22 maggio 1871 decise di rinunciare a ogni diritto di proprietà. Per fortuna, nel 1893 uno scrupoloso studioso tedesco, certo Friedrich Deneken, ebbe l’idea di fotografare l’opera pubblicando anche un articolo con l’immagine. Si deve però aspettare la metà del Novecento per sapere che la pala è, o almeno è stata, in mano a un collezionista inglese: una notizia alquanto vaga, ma sufficiente per fare intravedere a Renzo Cianchi la possibilità di riportare a casa la Vergine Robbiana. La sua costante ricerca dette buoni frutti rivelando che la pala era stata esposta in una mostra parigina. Lo zelante archivista pubblicò nel febbraio 1957 sulla rivista francese Connaissance des Arts l’annuncio “Un Della Robbia perdu” [Un Della Robbia perduto, ndr] per reperire l’attuale proprietario dell’opera d’arte e, grazie a questo, venne a conoscenza che l’opera si trovava a Hyères, in Francia, presso il dottor Sekian, che però ne stava trattando la vendita con il direttore di un museo dell’Ohio per la cifra di sei milioni di franchi. Cianchi coinvolse immediatamente l’Amministrazione Comunale e riuscì a bloccare le trattative, ma il francese, pur dichiarandosi disponibile a vendere l’opera al Comune di Vinci, pretese lo stesso prezzo pari all’epoca a circa otto milioni di lire. Purtroppo il Comune non aveva la disponibilità della cifra richiesta e si dovette ricorrere al Ministero competente. Nel frattempo i circoli culturali e molti intellettuali si misero in movimento per ridare a Vinci la “sua” Madonna, tra questi Ardengo Soffici, che appoggiò l’iniziativa dell’infaticabile bibliotecario con un sentito articolo apparso sul Corriere della sera il 7 febbraio 1958, “Rintracciato dopo due secoli un capolavoro di Giovanni della Robbia”. Finalmente, nel 1968, grazie all’intervento della Direzione Generale delle Antichità e Belle Arti e al suo capo Bruno Molajoli, lo Stato italiano riuscì a riacquistare in una difficile asta londinese la pala robbiana che, dopo tante disavventure, tornò nella sua sede originaria.