Nello studio di Galileo Chini
Gli vengono dedicate un numero imponente di esposizioni e studi, è ormai opinione comune che Galileo Chini sia uno tra gli artisti più significativi del 900 italiano, realizzatore tra l’altro di mitici edifici, fino alla corte del Re del Siam. É invece meno noto il suo notevole impegno sanminiatese, dove fu artefice di una serie di importanti restauri, ma anche di decorazioni e affreschi. Quando Chini arrivò a San Miniato, a fine 800, non era ancora quel grande personaggio che sarebbe diventato; venne nel 1897, per aiutare lo zio Dario, nel restauro degli affreschi della sala del Consiglio Comunale, la cosiddetta Sala delle Sette Virtù, di cui diventò presto primo restauratore, dopo la scomparsa del parente, neanche un anno dopo. Galileo, aveva ventiquattro anni, era nato a Firenze nel 1873 e terminò il lavoro alla fine dell’anno dopo, quasi a fine secolo, nel 1898, operando un restauro nello stile del tempo; infatti, quando la pittura originale era assente o poco leggibile, si poteva intervenirci sopra, senza seguire ricostruzioni di tipo filologico. Gli affreschi della Sala delle Sette Virtù dimostrano un intervento diretto in molte delle loro parti, in particolare quelle basse di finto marmo, ma anche nel recupero di parti più importanti della stessa sala, ad esempio proprio nel grande riquadro che raffigura la Madonna, con le sette virtù teologali e cardinali che la circondano, in veste di sette fanciulle, ognuna in posizione particolare.
Ciò che ci interessa qui naturalmente è solo la qualità dell’intervento, un restauro che racconta molto di chi lo ha eseguito, proprio nei volti dei vari personaggi, e addirittura nei colori usati, insomma una mano felice, come quella di Chini, che interviene pesantemente nei profili delle figure, della Madonna, dello stesso Bambino, così come interviene in tutto il resto dell’affresco, che ricopre appunto l’intera sala e che, ai nostri giorni, è mostrato con giusto orgoglio all’interno di quello che è diventato un percorso museale.
Proprio questo dovrebbe, secondo noi, essere migliorato, realizzando una serie di indicazioni che denuncino in modo più chiaro, l’origine di questi affreschi e gli interventi connessi con essi, nel restauro appunto o addirittura nell’invenzione. Certo, perché l’impegno di Chini a San Miniato qui è soltanto all’inizio. In quegli stessi mesi del 1898, l’artista visionò i resti di alcuni affreschi medievali di cui era stata segnalata la scoperta all’interno della Chiesa di San Domenico, circa vent’anni prima. Chini, compiendo ulteriori saggi nelle cappelle laterali, scoprì le pitture tre-quattrocentesche della Cappella Rimbotti, e fu allora che ricevette l’incarico di eseguire il restauro.
Si trattava di un ciclo di pitture di grande impatto visivo, sebbene anche qui si intuisca quanto non si tratti di un semplice recupero, ma di un notevole impegno creativo, nel senso che Galileo riportò alla luce, qualcosa che per secoli era scomparso, intervenendo direttamente sull’opera del pittore originario e realizzando una serie di parti che erano andate perdute o non erano mai state dipinte. Ad esempio, nella volta della cappella centrale, che presenta in ognuno degli spicchi, le figure di quattro santi, cioè la Madonna, san Michele, san Pietro e san Domenico. Ognuno di questi, che presumiamo siano affreschi, è realizzato secondo tecniche neogotiche; assomigliando cioè alla pittura di un Medioevo che tornava prepotentemente a far sentire la sua presenza, anche in tutta la decorazione di contorno, con stemmi e riquadri di marmorino.
Davanti a Palazzo Formichini, oggi sede del Crédit Agricole, c’era – ancora un esempio - proprio un edificio in quello stile, dove crediamo abitasse Emilia Orabuona, prima innamorata di Giosue Carducci. L’edificio fu abbattuto dai tedeschi nel 1944, ma ne resta la memoria e alcune foto: anche qui il nostro Galileo Chini potrebbe aver fornito il suo impegno pittorico.
La presenza di Chini a San Miniato, in ogni caso è molto articolata e ulteriori studi potrebbero individuare altri interventi, come quelli nella cripta ancora della chiesa di san Domenico (l’attuale Aula Pacis), dove la decorazione – anche qui di finto marmo - è analoga a quella della sala delle Sette Virtù. Ci sono poi ancora opere a lui attribuite, come la Cappella del Rosaio o la Cappella Roffia-Del Campana, che potrebbe essere quella che negli ultimi anni è andata irrimediabilmente perduta, all’interno di Palazzo Roffia di proprietà della Misericordia, attualmente affittato per la sede del Crédit Agricole. Se la Cappella fosse quella, allora anche l’intervento di restauro delle pareti (anche queste di grande interesse e crediamo mai studiate) potrebbe essere di Galileo Chini, e allora il luogo pretenderebbe una maggiore attenzione da parte delle istituzioni e dello stesso istituto di credito.
Del resto, anche l’ultimo intervento da ricordare, dovrebbe avere una maggiore valorizzazione: fu realizzato, intorno al 1900, epoca della fine dei lavori sanminiatesi di Chini, all’interno del circolo Cheli, in via Guicciardini a San Miniato, di fianco a quella che oggi è piazza san Pio da Pietralcina, dove era edificato il mai ricostruito Teatro Verdi di San Miniato.
In quella sala c’è uno splendido soffitto, con una decorazione che introduce un discorso che va al di là di questo articolo. Non siamo infatti davanti alla riproposizione di un Medioevo in gran parte frutto di invenzione, ma di fronte ad una losanga fiorita più vicina alle grandi opere Liberty di cui Chini fu maestro. Lo accenniamo semplicemente, giacché la figura dell’artista è davvero moderna, proprio nel suo spaziare dalla manifattura ceramica ai dipinti, dai grandi affreschi realizzati o solo restaurati, fino alle importanti scenografie teatrali, come quelle per le prime rappresentazioni di “Gianni Schicchi” o di “Turandot” di Giacomo Puccini. Solo per quelle, su cui esiste una documentazione di grandissimo interesse, sia visiva che cartacea, Chini merita di entrare da protagonista in qualsiasi pubblicazione sull’arte in Italia e nel mondo, a partire appunto da quelli che, a rigore, possono essere i suoi inizi a San Miniato.
Più di un critico o anche divulgatore se n’è, in effetti, più o meno occupato, ma senza aver capito l’importanza di Galileo Chini nella città e soprattutto la sua articolazione, parlandone dunque senza la necessaria complessità.
Cronaca di Andrea Mancini