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Il canto di Eka accompagna in Italia i piccoli profughi ucraini

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Kateryna Zar'Kova con i bambini di Chernihiv

La testimonianza di Kateryna Zar’kova, cantante e musicista ucraina da anni a Firenze, che ha partecipato a due missioni con la Misericordia fiorentina

Il canto di Eka accompagna in Italia i piccoli profughi ucraini: "Il mio cuore è rimasto in quella frontiera"

“Riempite questo silenzio con la musica, raccontare le nostre storie”. È stato l’accorato appello del presidente ucraino Volodymyr Zelensky intervenuto lunedì scorso alla cerimonia dei Grammy Awards 2022. La musica, dunque, oltre alla funzione ‘interna’ di dare coraggio e momenti di serenità a una popolazione assediata e sotto le bombe, si eleva a narratore ‘esterno’ degli orrori che stanno avvenendo sul territorio ucraino.

Una missione che Kateryna Zar’kova, cantante e musicista, nonché insegnante di musica, conosce benissimo. Kateryna, in arte Eka, ha 35 anni ed è originaria di Zaporižžja. Vive in Italia da 15 anni, da 6 a Firenze, ed è stata protagonista in vari festival di musica tradizionale con la sua bandura, strumento popolare ucraino che incarna un incrocio fra un liuto ed una cetra. Attraverso il canto e pizzicando ben 64 corde, Eka ha presentato e rappresentato in varie occasioni la cultura del suo popolo. Non a caso, per diffondere un segnale di pace attraverso la musica, si è esibita il 9 marzo al Teatro comunale di Pietrasanta in un concerto che ha visto riuniti in un ensemble artisti di diverse nazioni, tra cui anche il tenore russo Vladimir Reutov. L’ultimo impegno martedì 5 aprile a Follonica, in un concerto di beneficenza per la popolazione ucraina, nell’ambito del festival chitarristico dedicato ad Alvaro Mantovani.

Eka, tuttavia, non poteva rimanere solo “voce” e di fronte alla sofferenza della sua gente ha deciso di farsi anche ‘presenza’. Dismesso momentaneamente il tailleur fucsia da palcoscenico, ha indossato l’uniforme gialla e blu della Misericordia e in qualità di traduttrice ha fatto parte del primo convoglio inviato dal coordinamento regionale della Confraternita, partito il 3 marzo dalla Mercafir alla volta di Dorohusk, al confine tra Polonia e Ucraina. Il 20 marzo l’artista è ripartita per la seconda missione ‘polacca’, questa volta con base Rzeszów (città visitata recentemente dal presidente Usa Joe Biden) per fare ritorno in Toscana domenica mattina, solo per qualche giorno, proprio per partecipare al concerto di beneficenza a Follonica.

“Quando la guerra è scoppiata, insieme ad alcune amiche e colleghe abbiamo creato la pagina Facebook Guerra in Ucraina: aiutiamo le vittime, in modo da fornire un riferimento unico a chi volesse dare una mano, dalla raccolta di generi di prima necessità alla messa a disposizione di abitazioni private per le donne e i bambini che stavano arrivando in Toscana. Grazie al sostegno di Misericordia, Comune di Firenze e Regione, abbiamo avuto in dotazione un capannone alla Mercafir. Il lavoro logistico, però, non mi bastava, volevo aiutare sul campo. Così, visto il grande aiuto da parte della Confraternita, appena si è presentata l’opportunità mi sono aggregata al convoglio in partenza verso la Polonia”.

Le due missioni di Eka: La "sua" Ucraina

Insieme alle Misericordie fiorentine e toscane, Kateryna giunge a Lublino, dove la colonna mobile di 12 mezzi e due camion ha consegnato gli aiuti ai volontari ucraini sul posto. Poi il convoglio ha raggiunto Dorohusk per accogliere e portare in Italia 26 persone, tra donne e bambini.

“Da lì è nata una forte collaborazione e quando mi hanno proposto di partecipare a una seconda missione, ho accettato subito e il 20 marzo sono ripartita. Sarei dovuta rimanere più a lungo, ma sono tornata in Italia per partecipare alla manifestazione a Follonica, un altro modo per aiutare gli ucraini”.

Questa volta, Kateryna ha utilizzato la sua voce non solo per tradurre, ma anche per cantare. Eka, infatti, ha portato con sé la sua bandura. Questo strumento ha un grande significato simbolico e spirituale: a utilizzarlo erano spesso viandanti che raccontavano attraverso le canzoni gli eventi accaduti, fra cui le imprese dei cosacchi, per mantenere alto il morale. Non a caso Stalin ne uccise e imprigionò parecchi perché le loro canzoni facevano riflettere. “Ho portato un po’ della mia musica ai bambini – spiega Eka – in modo da farli sorridere. Abbiamo cantato insieme una canzone che ho composto, ‘La mia ucraina’, dove appunto si parla di ucraini che vivono all’estero e che nonostante tutto amano e vogliono ritornare in Ucraina. Certo, quando l’ho composta mi riferivo a una lontananza ‘volontaria’ come la mia, però oggi è quanto mai attuale”.

Avendo Rzeszów come punto di partenza, Eka e gli operatori della Misericordia si sono spostati sul territorio verso i punti di frontiera per prendere e trasportare i bambini malati affinché i dottori li visitassero. Poi li trasportavano all’aeroporto, dove con voli messi a disposizione da Guardia di Finanza o ITA Airways avrebbero raggiunto l’Italia.

“Molti di questi bambini sono pazienti oncologici, affetti da leucemia o gravemente invalidi – spiega Kateryna –. Purtroppo le tante persone da gestire e i tempi stretti nel fornire informazioni non permettevano di concentrarci sul lato psicologico. Inoltre, dovevamo affrontare le difficoltà linguistiche il polacco: spesso non ci veniva inviata la posizione ma il nome della città in cui recarci. Altro ostacolo, poi, erano il freddo e le strade ghiacciate.

Le scene che ho visto alla frontiera – prosegue – mi hanno toccato nel profondo. I volti delle persone che arrivavano al confine trasudavano un misto di emozioni contrastanti e devastanti: disperazione per aver perso tutto o per aver lasciato parte della famiglia a combattere, felicità e speranza per essere finalmente al sicuro, confusione e smarrimento alle prese con procedure burocratiche per loro poco chiare. I volontari provenienti da tutto il mondo e gli stessi cittadini polacchi sono stati fantastici: hanno accolto e aiutato gli sfollati, dando loro cibo, medicini e articoli per bimbi; tutto con il sorriso per riportare la serenità. Ho percepito davvero un affetto grandissimo. I profughi venivano accompagnati in pullman nei centri di accoglienza e poi a lì avrebbero deciso se restare in Polonia o partire per altri paesi”.

E qui si apriva un altro capitolo del dramma, perché nemmeno nella tragedia tutti sono uguali: alcuni avevano parenti o amici che avrebbero potuto accoglierli, molti altri invece non solo avevano perso tutto ma neanche conoscevano qualcuno che avrebbe potuto ospitarli.

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Storie di frontiera: la famiglia spezzata e i bimbi bloccati

In questo mare magnum umano, si increspano le storie più diverse, accomunate dalla fuga disperata. “Una giovane mamma viaggiava con i figli, una bimba di 6 mesi e un maschio di 7 anni, e la nonna. Venivano da un paesino della parte occidentale, il marito era al fronte a combattere e avevano perso i contatti con lui, quindi quest’ultimo non sa che hanno lasciato il paese. Inoltre, il primo giorno in Polonia il bambino non si è sentito bene: ricoverato all’ospedale, i dottori hanno scoperto che aveva la leucemia. Poi c’era un’anziana in carrozzina, scappata da Kryvyj Rih, che ha raggiunto da sola la frontiera con il treno di evacuazione per poi finalmente arrivare in Polonia. Ai dottori che gli hanno chiesto di quali malattie soffrisse ha risposto che non lo sapeva perché era troppo povera per permettersi analisi mediche. ‘Vorrei andare in un posto caldo’ ci ha detto, quindi era molto felice di venire in Italia”.

La storia che probabilmente ha coinvolto di più Kateryna, tuttavia, è stata la vicenda degli orfani di Chernihiv, una delle città più bombardate. I bambini erano ospitati in un istituto ed erano già venuti varie volte in Italia: per tre anni, ogni estate e ogni inverno, erano stati accolti a Mascali, in provincia di Catania, grazie all’associazione Arca senza confini e all’assessore Carmelo Portogallo. I bambini avevano conosciuto diverse famiglie e si era creato un legame forte, tanto che alcuni di loro parlano un po’ di italiano.

“Iniziati i raid, quindi, la loro tutrice Lidia Yaroshenko ha chiamato l’assessore per chiedere accoglienza, il quale prontamente si è attivato. Anche noi siamo stati allertati per andarli a prendere al confine, ma arrivati alla frontiera abbiamo saputo che il governo ucraino aveva negato il nulla osta per farli passare. Per alcuni giorni i piccoli sono rimasti in un limbo burocratico e noi con loro: ogni volta che ci recavamo alla frontiera per prenderli ci veniva risposto un secco ‘no’, senza che ci venisse spiegato il motivo. Di fronte a questo muro di gomma, mi è venuta un’idea: durante un festival di musica tradizionale in Sardegna ho conosciuto Anthony Grande, il console onorario ucraino a Cagliari e siamo rimasti amici. Gli ho chiesto di darci una mano per scoprire cosa stesse succedendo. Grazie alle sue ‘conoscenze’ è riuscito ad accertare quale fosse l’ostacolo: alla tutrice erano stati proposti come paesi di accoglienza Belgio e Germania, ma Lidia aveva rifiutato perché lei e i bambini volevano venire in Italia. Così il ministero ha congelato la loro richiesta. Grande, quindi, ha smosso le acque e grazie al suo intervento i piccoli hanno potuto raggiungere la Sicilia. Anche noi volontari fiorentini ci siamo affezionati a quei bambini, tanto che durante il loro viaggio in pullman verso la Sicilia, hanno fatto tappa a Firenze e abbiamo trascorso qualche ora insieme”.

I programmi per il futuro, Kateryna li ha già fissati: “Se tutto va bene, domenica 10 aprile dovrei ripartire. Io sono in Italia, ma il cuore è rimasto in quelle frontiere, tra guerra e pace”.

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Giovanni Gaeta

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