Guerra Ucraina, Montelupo è Partecipazione: "Anche responsabilità NATO. Serve il dialogo, non armi"
La condanna dell’attacco della Russia all'Ucraina, motivato proprio per quanto previsto nell’art. 11 della Costituzione, non può far dimenticare la strada che ha portato a questa tragica decisione.
In quell’area si sommano una serie di questioni che sono state colpevolmente ignorate per molti anni:
1) Innanzitutto l’espansione della NATO ad Est, che in un trentennio è arrivata alle porte della Russia, non può essere considerato un fatto secondario. La NATO è un’alleanza militare con una chiara connotazione geopolitica. L’obiezione che sia un’alleanza difensiva e che i paesi scelgano liberamente di aderirvi è vera solo per chi ne fa parte, non certo per i paesi che non aderiscono e che la vedono come avversario, se non direttamente come nemico. Il superamento della NATO sarebbe una delle condizioni per permettere una più autonoma politica estera (adesso inesistente) dell'Unione Europea;
2) Lo scontro armato in Ucraina, che data dal 2014, ha fatto circa 14.000 morti. Non vogliamo qui ripetere la storia di quel conflitto, ma la conoscenza dei fatti è indispensabile per chi di professione fa il politico. Sono anni che vengono lanciati allarmi sulla situazione del Donbass, totalmente ignorati;
3) la presenza di truppe dichiaratamente naziste, quali quelle che compongono il battaglione Azov, è gravissima, stante la storia della stessa Ucraina, che vide, durante l’invasione tedesca dell’URSS, la partecipazione diretta allo sterminio degli ebrei.
Questi punti avrebbero dovuto essere messi da anni all’ordine del giorno sia dell’agenda politica sia di quella dell’informazione, al fine di comprendere e discutere delle ragioni di tutti in un dibattito pubblico come si conviene a un Paese democratico.
Il ruolo dell’ITALIA in questo contesto avrebbe potuto essere quello di un Paese di pace, e, se si iniziasse a parlarne con chiarezza, potrebbe esserlo ancora.
La capacità di dialogare con tutti i Paesi, che dal secondo dopoguerra fino a qualche anno fa aveva caratterizzato la nostra politica estera, e indispensabile, ora come allora, per la nostra posizione nel mediterraneo, si è trasformata in un accodamento come mai nella storia ad interessi non coincidenti, o addirittura confliggenti, con quelli del nostro Paese.
Una conferenza di pace a Roma, per esempio sotto l’egida del Papa, avrebbe rilanciato una immagine straordinaria dell’Italia e non quella che ne esce oggi, dai proclami guerreschi e grotteschi che si sono visti in questi giorni da parte di ruoli istituzionali e di politici di diversi schieramenti
La decisione di inviare le armi ad uno dei due contendenti (che non è nella UE e, per nostra fortuna, neppure nella Nato) è un vulnus senza precedenti al già sofferente e bistrattato art. 11 della Costituzione. Da un Paese che “ripudia la guerra (…) come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali” non si inviano armi ad un Paese in guerra, ma si mettono in atto tutti gli sforzi diplomatici perché si aprano tavoli di trattativa tra le parti.
E se poi il motivo per cui viene fatto è, come è, di un cinismo assoluto (ovvero mantenere viva una specie di guerra per procura sulla pelle degli Ucraini e dei Russi, ottenendo così una balcanizzazione del conflitto del tutto irresponsabile foriera di effetti disastrosi) ci si allontana del tutto da uno dei principi fondamentali del nostro ordinamento giuridico.
Non si tratta, come da più parti si dice, con una leggerezza inqualificabile, di non aiutare chi è aggredito, si tratta di non lavorare per la guerra, per non aumentare le sofferenze della popolazione.
E questo non lo si fa inviando armi: questo, oltre che far continuare la guerra sine die, fa correre il rischio reale di collocarci in una posizione pericolosissima.
Il paese aggressore infatti, per quanto ridimensionato negli ultimi decenni, rimane la seconda potenza nucleare del mondo. Avvitarsi in uno scontro che potrebbe portare ad un confronto diretto fra la Nato e la Russia è indice di un comportamento oltre il limite dell’irresponsabilità.
Un incidente, o un qualsiasi elemento che portasse a questo, porterebbe ad una escalation il cui risultato potrebbe essere la fine della civiltà così come l’abbiamo conosciuta.
Per questo, condanniamo l’aggressione e protestiamo vigorosamente contro l’invio di armi mentre rilanciamo l’avvio di una conferenza di pace seria che potrebbe e dovrebbe vedere, se non l’Unione Europea, perlomeno l’Italia come primo promotore.
Capogruppo Consiliare
Francesco Polverini