Il ricordo di scioperi e deportazioni del '44. Giani: "Allora come oggi. Contro le dittature"
Quasi ottanta anni fa le deportazioni ad opera di nazisti e fascisti, che rastrellarono per strada semplici passanti e chi aveva partecipato agli scioperi del marzo 1944 organizzati dal Comitato di liberazione nazionale nell’Italia ancora occupata; ed oggi l’aggressione all’Ucraina e la sofferenza di tanti altri civili. Come in ogni guerra. Come in ogni occupazione. Per colpa, anche stavolta, di un dittatore.
A legare le due tragedie, quella di ieri e quella di oggi, è il presidente della Toscana Eugenio Giani, che stamani ha partecipato a Firenze alla cerimonia per ricordare il treno che l’8 marzo, settantotto anni fa, partì da Santa Maria Novella con destinazione Mathauseen, il campo di sterminio nei dintorni della cittadina austriaca. Sul convoglio, che strada facendo agganciò a Fossoli e a Verona vetture provenienti da Torino e Milano cariche di altri lavoratori arrestati, erano rinchiuse in carri bestiame piombati 597 persone.
“Quello che accadeva allora – sottolinea Giani - è qualcosa di molto simile a quello che sta accadendo oggi. Anche il popolo ucraino sta vivendo infatti l’aggressione di un dittatore, Putin, e si sta difendendo strenuamente con una Resistenza simile a quella che noi ci trovammo a vivere”. “Quello che è accaduto può sempre riaccadere – aggiunge il presidente -: per questo ricordiamo ogni anno quanto accaduto l’8 marzo. La storia ci insegna che dove c’è un dittatore c’è pericolo. Nell’auspicare la pace bisogna stare dalla parte giusta. E la parte giusta è quella della democrazia, della libertà e dell’autodeterminazione dei popoli, al centro della nostra Costituzione e del nostro vivere civile. Per questo siamo vicini al popolo ucraino”.
La commemorazione di stamani a Firenze ha ricordato la stagione degli scioperi che furono organizzati nel marzo del 1944: fu quella una mobilitazione senza precedenti e nazisti e fascisti reagirono con una caccia all’uomo che in Toscana iniziò subito dopo le manifestazioni, a Prato, dove ampia era stata l’adesione, nell’empolese e a Firenze. Tutte le persone fermate dalle milizie fasciste e dai carabinieri furono trasferite alla Scuole Leopoldine del capoluogo. Poi il viaggio verso i lager.
Sul convoglio partito da Santa Maria Novella l’8 marzo 1944 con destinazione Mauthausen, tra le 597 persone sigillate nei carri bestiame c’erano 341 toscani e solo 64 di loro tornarono vivi da quell’inferno affogato nella neve alta dove si veniva accolti dai colpi dei bastoni delle SS.
Almeno tredici milioni di persone in tutta Europa - sei milioni di ebrei, un milione e mezzo di dissidenti politici e poi ancora milioni e milioni fra prigionieri di guerra, rom e sinti, malati di mente, omosessuali, partigiani, resistenti o soldati italiani che dopo l’8 settembre dissero “no” alla Repubblica di Salò – furono inghiottite dai campi di sterminio e scomparvero.
I nomi dei tanti che dalla Toscana sono partiti e non sono mai tornati sono raccolti e custoditi assieme su una targa, affissa nel 2012, a Firenze: 1821 vite (857 ebrei e 964 deportati politici) ad affollare una parete intera della Galleria delle Carrozze al piano terra di Palazzo Medici Riccardi, nella centralissima via Cavour. Storie di uomini, donne e bambini, come quelle che si possono leggere anche on line sulle pagine del Museo della deportazione di Figline a Prato (